Le tentazioni omofobiche che lacerano l’Indonesia
Articolo di Julie Jeannet pubblicato sul sito dell’associazione Stop Homophobie (Francia) nel giugno 2016, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Dall’inizio del 2016 vari ministri indonesiani se la sono presi con le minoranze sessuali dichiarando che l’omosessualità è incompatibile con i valori del Paese. Da allora sono state messe in atto inquietanti misure omofobiche: “L’agenda della comunità GLBTI (persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e intersex) è più pericolosa di una bomba nucleare”; queste parole sono state pronunciate dal ministro della difesa indonesiano Ryamizard Ryacudu il 23 febbraio scorso. Da allora le dichiarazioni omofobiche fioccano da parte degli ufficiali del governo e sono state prese misure inquietanti. È il ministro della ricerca, della tecnologia e dell’istruzione superiore Mohammad Nasir che ha dato fuoco alle polveri, accusando il gruppo di sostegno e il centro di documentazione sugli studi di genere e sulla sessualità dell’Università di Giacarta di “non essere in linea con la morale sessuale del Paese”, emanando poi un divieto per i gruppi di sostegno GLBTI di operare all’interno dell’Università, prima di fare marcia indietro. Il 7 febbraio, il governatore dell’est di Giava ha condannato un evento organizzato per prevenire il virus HIV rivolto agli uomini omosessuali di Surabaya. L’undici febbraio Ismael Cavidu, portavoce del ministero della comunicazione e dell’informazione, ha chiesto che le applicazioni delle messaggerie ritirassero dal commercio gli emoticon che rappresentano coppie gay, in quanto “passibili di turbare l’ordine pubblico”. Il 23 febbraio la commissione indonesiana degli audiovisivi ha annunciato il divieto di diffondere qualsiasi programma televisivo che mostri uomini effeminati, per impedire che l’influenza della comunità gay si diffonda nel Paese.
GLBTI vietate nei campus universitari
Ferena Debineva è la fondatrice e presidentessa dello SGRC, organizzazione incriminata dal ministero dell’educazione superiore. Da due anni organizza seminari sui temi del genere, dell’orientamento sessuale e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Ma da quando il ministro ha fatto dichiarazioni omofobiche, ha dovuto cessare le sue attività: “Noi e le nostre famiglie abbiamo ricevuto minacce da parte di gruppi religiosi e anche da parte di un professore. La madre di uno dei nostri attivisti, che è un gay dichiarato, ha dovuto chiudersi in casa per vari giorni dopo essere stata minacciata dai vicini. Un altro membro è stato insultato dal direttore del suo dipartimento, che gli ha ingiunto di stare alla larga dagli studenti e che avrebbe fatto di tutto per impedirgli di proseguire la sua attività nella facoltà”.
Secondo Papang Hidayat, ricercatore di Amnesty International in Indonesia, il clima omofobico attuale è particolarmente inquietante: “Anche se da sempre i politici e i religiosi hanno frequentemente intimidito la comunità GLBTI, i recenti attacchi sono stati ancora più gravi dato che provengono da esponenti del governo e sono in aumento. Ad aggravare il quadro c’è da dire che vari attacchi fisici e intimidazioni sono state compiute in febbraio da gruppi estremisti contro gay e trans, nella città di Yogvakarta, sull’isola di Giava”. La comunità GLBTI gode tuttavia di una certa libertà d’azione in Indonesia, rispetto ad altri paesi asiatici come la Malesia: “Dopo la caduta del regime di Suharto nel 1988 i militanti GLBTI hanno saputo organizzarsi. Oggi il paese conta circa 140 organizzazioni GLBTI” spiega il ricercatore di Amnesty. Déde Oetomo milita da 35 anni nei gruppi gay e ha fondato l’organizzazione Gaya Nusantara a Surabaya. Constata un’evoluzione della mentalità abbastanza positiva: “Quando ho iniziato la mia militanza negli anni Ottanta eravamo molto pochi, ci prendevano per matti. Oggi la comunità GLBTI si è organizzata, scriviamo libri e veniamo invitati a dibattiti televisivi. Ma oggi, sfortunatamente, molte persone ci considerano come una minaccia. Abbiamo dovuto anche rinunciare ad andare in ufficio per varie settimane per motivi di sicurezza”.
Frustate ad Aceh
L’Indonesia non ha leggi nazionali che vietino l’omosessualità, come il Pakistan o la Malesia. Tuttavia nella provincia autonoma di Aceh, nel nord ovest di Sumatra, è applicata la sharia. Dall’ottobre del 2015 le relazioni extramatrimoniali, comprese quelle omosessuali, sono condannate a frustate e vari mesi di detenzione. Nonostante qualche passo in avanti positivo avvenuto dopo la caduta di Suharto nel 1998, mostrarsi omosessuali in Indonesia è ancora molto difficile e pericoloso: “Le minoranze sessuali devono affrontare molte discriminazioni, in particolare nel mondo del lavoro” spiega Papang Hidayat. “Il nostro primo nemico è l’ignoranza” ci confida Ferena Debineva: “Gran parte degli indonesiani non sa distinguere tra sesso, orientamento sessuale, genere e identità di genere. Pensano che tutte le persone che non sono eterosessuali abbiano problemi e che siano diversi dagli altri, quindi potrebbero commettere violenze o omicidi”. L’arcipelago è uno dei Paesi meno tolleranti verso le minoranze sessuali. Secondo un rapporto del Pew Research Center pubblicato nel 2013, il 93% degli indonesiani ritiene che l’omosessualità non dovrebbe essere accettata dalla società.
Molestati dagli estremisti
Alcuni membri del Front Pembela Islam (Fronte dei difensori dell’islam) hanno molestato i partecipanti a un seminario sull’accesso delle persone GLBTI alla giustizia che si teneva a Giacarta il 4 febbraio scorso. Una donna transgender è stata attaccata da un gruppo di radicali a Yogyakarta. Inoltre, la più alta istanza del clero musulmano indonesiano, il Consiglio degli Ulema, ha dichiarato che sta preparando una fatwa (parere giuridico-religioso) che condanna tutti i musulmani che partecipano a gruppi o attività GLBTI.
Il silenzio del presidente
Secondo l’organizzazione GLBTI Arus Pelangi è poco probabile che il governo e il parlamento adottino leggi che incriminino la comunità GLBTI: “Il vicepresidente e il ministro degli interni si sono dichiarati contrari al varo di leggi omofobiche: temono che le reazioni internazionali possano compromettere la reputazione del Paese” afferma l’organizzazione. Tuttavia, nonostante i numerosi inviti a pronunciarsi sul tema, il presidente Joko Widodo ha mantenuto un silenzio inquietante che lascia capire che le violenze alla comunità GLBTI vengono tollerate e che si aprono le porte a nuove discriminazioni. Le posizioni omofobiche ufficiali sono in contrasto con gli impegni sottoscritti dal Paese in occasione della ratifica del trattato internazionale sui diritti civili e politici, che vieta ogni forma di discriminazione legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere. HAM, la commissione nazionale indonesiana sui diritti dell’uomo, fa pressioni sul governo perché si posizioni chiaramente a favore dei diritti GLBTI: “Abbiamo il dovere di costruire una nazione inclusiva, che rispetti i diritti dei cittadini, minoranze sessuali comprese” afferma l’organizzazione.
Testo originale: Amnesty International s’inquiète des « sursauts homophobes » qui déchirent l’Indonésie