Omosessualità. Tabù cattolico?
Dibattito a cura di Laura Bellomi con Francesco D’Agostino, Presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani; Aristide Fumagalli, Sacerdote e docente di teologia morale al seminario di Venegono; Giorgio Ponte, Scrittore e insegnante di religione; Antonietta Potente, Suora domenicana, teologa moralista; Eduardo Savarese, Magistrato e autore del libro “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” (Edizioni e/o). Articolo pubblicato sul mensile JESUS n.6 del Giugno 2016,pp.28-38
Pochi argomenti riescono a infiammare le discussioni o, viceversa, ad appiattirle su sterili posizioni di principio che inibiscono il dialogo sul nascere specie nel mondo cattolico. Parlare di omosessualità è, ancora oggi, difficile. Sarà perché spesso si ragiona per sentito dire e si portano avanti le proprie opinioni facendo leva su poche nozioni, magari già superate dalle conoscenze scientifiche e antropologiche, ma spesso ad avere la meglio sono i pregiudizi, le letture parziali e, di conseguenza, le incomprensioni. Quando, poi, si allarga il campo a temi come appartenenza ecclesiale, ruoli educativi o incarichi formativi, e Matrimonio, la questione diventa una bomba a orologeria.
Di omosessualità e diritti si è parlato parecchio nei mesi scorsi, al bar come in Parlamento. Dopo limature e compromessi, a maggio il disegno di legge Cirinnà è stato approvato e oggi, in Italia, le unioni civili sono realtà. Ora sarà interessante vedere come la società – comprese le diverse anime del mondo cattolico vivrà questo cambiamento.
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha contestato la legge perché sancirebbe «un’equiparazione delle unioni civili al matrimonio e alla famiglia». Il tutto in attesa del «colpo finale», ovvero la pratica dell’utero in affitto. La redazione di Jesus ha deciso di approfondire il tema coinvolgendo chi, per professione, vissuto o vocazione ha riflettuto a lungo sulla questione. Vista l’ampiezza dell’argomento, abbiamo deciso di concentrarci su alcuni temi specifici: l’omosessualità nella Bibbia, gli spazi di accoglienza nella Chiesa e la pastorale, l’orizzonte dei sacramenti. Fra ragionamenti, idee e provocazioni, ne è scaturito un dibattito ricco: ai lettori la possibilità di dire la loro commentando sulla pagina Facebook Jesus San Paolo o scrivendo a jesus@stpauls.it.
Iniziamo dai testi sacri: come vanno interpretati i passi biblici in cui si allude all’omosessualità? Qual è il giudizio che ne emerge? Si può parlare di condanna?
FUMAGALLI «Il giudizio che nella Bibbia viene dato sull’omosessualità non può essere semplicemente trasferito all’oggi. Là dove i passi più noti della Scrittura la condannano, lo fanno sempre entro un contesto che non ha come primo obiettivo l’omosessualità stessa, ma altri elementi. Pensiamo per esempio al testo di Sodoma e Gomorra: lì il problema non è tanto la pratica dell’omosessualità, quanto la mancata ospitalità e la violenza nei confronti dell’ospite.
Così pure nel Levitico ci sono passi di condanna inequivocabile per l’atto omosessuale, ma siamo entro un registro che tende a definire l’impuro e il puro, e a condannare ogni forma che non tenga conto dell’ordine creativo. Il problema è arrivare, attraverso la rilettura che in ogni epoca la Chiesa fa dei suoi testi e del sedimento della rivelazione, a una nuova interpretazione.
Due aspetti sono comunque da tenere presente. Innanzitutto, che la riflessione teologica e il magistero oggi hanno assunto la distinzione tra atti c inclinazione; in secondo luogo, che l’esercizio della sessualità omosessuale entro una relazione stabile e duratura nella Bibbia non è conosciuto. Detto questo, per la Chiesa il giudizio sull’omosessualità non può essere tratto dai singoli passi biblici, ma in riferimento al disegno complessivo attestato nella Bibbia, che qualifica la differenza di genere come essenziale qualora l’amore voglia esprimersi a livello sessuale.
Con buona probabilità la parola sesso deriva dal verbo latino secare, ovvero tagliare, e indica una distinzione, una differenza. È curioso notare come nella parola “omosessualità”, il prefisso “omo-” (simile) tende a escludere la differenza che il termine “-sessualità” esigerebbe di riconoscere».
POTENTE «Concordo che quando si parla di omosessualità, così come per tutti i temi, bisogna tenere presente il contesto culturale. Nella Bibbia l’omosessualità è spesso legata all’idolatria, all’essere o non essere puri. La chiave di lettura delle Scritture, che però non tutti i cattolici in Italia seguono, prevede di tenere presente il contesto dei testi: di cosa parlano e a quale epoca appartengono. Più che l’omosessualità mi sembra che nella Bibbia il problema siano la prostituzione e l’amore falso: queste sono le perversioni, e possono essere omosessuali come eterosessuali».
D’AGOSTINO «La Bibbia condanna platealmente non solo le pratiche omosessuali, ma tutti i comportamenti che allontanano l’uomo da Dio e lo incentrano su se stesso. Per questo essa non ci fornisce né una definizione dell’omosessualità, né più in generale una teoria della sessualità. Credo che soltanto da un secolo a questa parte si sia presa sul serio la sessualità nel suo complesso. Isolare l’omosessualità da quelle che un tempo erano chiamate le perversioni e che oggi possono avere denominazioni meno conturbanti, come la denominazione di parafilia induce ad allontanarci dalla vera comprensione del fenomeno. Tradizionalmente si sosteneva che l’omosessualità fosse una perversione espressione che ripudio – ma teniamo presente che anche nell’eterosessualità abbiamo impressionanti possibilità di perversione. La vera questione sta nel perché la sessualità sia così intrinsecamente priva di equilibrio, in tutte le sue dimensioni. La risposta classica che un cristiano potrebbe dare è riferita al peccato originale che ha alterato la sessualità, l’intelletto e in generale l’ontologia della persona umana. Ma, se non vogliamo darci una risposta confessionale, l’unico modo per riflettere sull’omosessualità è reintegrarla nella questione generale della sessualità».
Nella Chiesa ci sono spazi di accoglienza per le persone, le coppie e i figli di omosessuali?
FUMAGALLI «Fino al Concilio Vaticano lI, che sull’onda del personalismo ha messo in luce come la sessualità e il suo esercizio sia finalizzata anche alla comunione delle persone, la pratica sessuale è stata concepita secondo la finalità procreativa. Tutto quello che non rientrava in questa finalità era sostanzialmente condannato. Una non adeguata distinzione dei livelli porta oggi taluni a pensare che l’omosessualità sia contro natura (perché non permette la procreazione), cioè che la persona omosessuale abbia una natura non legittimabile. Nel discorso occorre, quanto meno, distinguere tra la persona, l’orientamento e il comportamento: non possiamo dissociarli, ma non possiamo neanche fare un cortocircuito, altrimenti il giudizio che la Chiesa emette sugli atti omosessuali diventa un giudizio complessivo sulla persona».
PONTE «Innanzitutto bisogna chiedersi cos’è l’omosessualità. lo non la considero una condizione innata né un’identità. E se non è un’identità, non posso classificare una persona come omosessuale ma, semplicemente, con tendenze omosessuali. In questo caso la Chiesa non condanna nessuno: avere tendenze non è peccato, eventualmente è una tentazione, dunque un’occasione per esercitare la libertà.
Se invece diciamo che omosessuali si nasce e condanniamo l’atto sessuale, di conseguenza ci sarebbero persone costrette a una continenza non voluta, perché nate “difettose” con una “natura contro natura”. Ciò che ho visto – a partire dalla mia esperienza – è che l’omosessualità non è una condizione innata. Si è uomini, prima di tutto. La tendenza nasconde il desiderio di identificazione o un rapporto non del tutto bilanciato con il mondo maschile. Semplificando, è un cercare nell’altro uomo l’uomo che non si trova in se stessi.
Nel sesso questa cosa è ancora più amplificata, perché è come se fisicamente si desiderasse rubare la mascolinità all’altra persona o, sottomettendosi, di riceverla da lui.
Trovo molto saggio che nel Catechismo la Chiesa si concentri solo sull’atto e non entri nel merito di sentimenti ed emozioni, perché dentro il cuore dell’uomo può entrare Dio soltanto. Inoltre, anche se l’atto è sbagliato, ciò non vuol dire che la persona che lo compie sia sbagliata. Chi ha tendenze può decidere cosa fare con la sua inclinazione.
Non potendo entrare nel merito delle ragioni psichiche dell’omosessualità che, sempre nel Catechismo, si definiscono “in parte inspiegabili”, la Chiesa si pronuncia solo sull’atto sessuale, che nella sua modalità appare evidentemente contro natura, poiché il corpo non è fatto per essere utilizzato così. E chiunque lo abbia provato lo sa».
SAVARESE «Io tornerei un attimo alla Bibbia: non credo che nelle Scritture ci sia una condanna assoluta dell’omosessualità, però tutto il pensiero teologico cristiano e cattolico è orientato a impedire l’espressione di questa natura. A questo punto o – come diceva prima di me Giorgio Ponte l’espressione di questa natura è una cosa che non va, oppure l’omosessualità, quando non si esprime – come per altro può avvenire per l’eterosessualità – in forme perverse, è un’espressione possibile della natura umana e, nella misura in cui non danneggia l’altro, non è suscettibile di condanna.
Pensiamo alle leggi della fisica o della biologia o a un ordinamento giuridico: ci sono norme generali ed eccezioni, e tutte insieme costruiscono un sistema. Rimanendo ancora sulla distinzione tra natura e atto, di fatto accade che la Chiesa, soprattutto in alcuni suoi sacerdoti, apporti singoli gesti di misericordia e di accoglienza. Ma è insufficiente rispetto alla generale condanna dell’espressione della natura omosessuale in quanto tale.
Per quanto mi riguarda, come cattolico mi sento dentro la Chiesa e mi sembra evidente che la mia relazione con un uomo, affettiva e sessuale, non lede affetto l’ordine naturale delle cose. La distinzione che la Chiesa fa tra la persona con tendenza omosessuale e la messa in atto di tale tendenza non funziona più, perché è fuori dai tempi. E non intendo che i tempi siano peggiori della sapienza del magistero, si badi.
Il ventesimo secolo ha apportato alla conoscenza della natura umana importanti, fondamentali acquisizioni psichiche, neurologiche, antropologiche: l’unitarietà dell’uomo fa del sesso una componente rilevantissima della personalità e dell’espressione del sé. E privo di senso, innaturale, foriero di dolorose separazioni, distinguere tra orientamento e messa in atto.
In un’espressione libera del sé le due prospettive sono inscindibili: penso si dovrebbe cercare di distinguere tra sessualità che si esprimono in un modo sano, che siano omosessuali o eterosessuali, e tutte quelle forme che, in qualche, modo non sono sane».
D’AGOSTINO «La Chiesa è stata omofoba ma tutte le culture umane lo sono state. Il problema dell’omosessualità è un problema antropologico, prima che religioso e confessionale. Fino a quando l’umanità temeva l’estinzione o il crollo demografico, l’omosessualità appariva pericolosissima perché sterile: di qui la criminalizzazione della tendenza. Il destino delle donne, a parte coloro che entravano in comunità religiose, era quello di andare spose indipendentemente dalle loro inclinazioni e di mettere al mondo figli.
Per questo la consapevolezza del lesbismo c recentissima.
Oggi l’omosessualità è un dato di fatto, che si è cercato anche di quantificare statisticamente: si parla del 4 o 5% della popolazione mondiale, qualcuno arriva a ipotizzare il 12%. L’omosessualità crea problema come lo crea l’eterosessualità. La distinzione tra orientamento sessuale e pratiche sessuali funziona abbastanza bene a un primo livello di approfondimento, ma se cerchiamo di andare oltre i problemi diventano micidiali.
Tutte le nostre pulsioni – ad esempio, io sono iracondo – chiedono di essere guidate c controllate. Ecco perché la distinzione “l’orientamento è neutrale, la pratica va invece valutata” è molto più fragile di quanto non si creda».
Qual è la vostra esperienza personale nella Chiesa e quale approccio pastorale pensate sarebbe possibile oggi?
PONTE «La mia esperienza di Chiesa è stata straordinaria. Ho incontrato sacerdoti capaci di accogliermi con amore e in verità. La persona che più mi ha aiutato è stata una suora, la mia insegnante di religione a Palermo. Vivevo da vittima, pensavo che Dio e il mondo fossero contro di me e, visto che avevo tanto soffeerto, ritenevo che tutti dovessero stare ai miei piedi.
Sono stato molto fortunato, ma so che molti non hanno avuto la mia stessa fortuna. Nonostante la Lettera ai vescovi sulla cura pastorale per le persone omosessuali parli di accoglienza dell’intera comunità verso chi vive questa situazione, la realtà è diversa.
Infatti anche se i movimenti gay hanno sdoganato il tema, con l’effetto che a livello di singoli e di società non sconvolge più parlarne, nelle comunità parrocchiali oggettivamente chi dovesse vivere una situazione simile teme ancora di aprirsi, non sapendo se e come verrà accolto. Il tabù esiste, anche a causa di un sottobosco conosciuto e taciuto di tanti sacerdoti con tendenze omosessuali più o meno manifeste. Un silenzio che però non aiuta in primis quei sacerdoti stessi a vivere la vocazione».
POTENTE «E arrivato il momento che la pastorale per gruppi omosessuali non sia più vista come “clandestina” ma diventi una pastorale “normale”. Tra l’altro gruppi ed esperienze di questo genere esistono da tempo. Penso anche però che dovremmo smettere di considerare gli altri come diversi, di una diversità che ha sempre bisogno di essere istruita.
Una volta che nell’esegesi si tiene presente questo sguardo, come si tiene presente ad esempio lo sguardo delle donne, credo che gli omosessuali si dovranno preparare, come si preparano lutti gli altri, a occupare anche i posti nella formazione.
Oggi, sulla scia di quanto propone papa Francesco, tutti vogliono diventare misericordiosi, ma la società non può essere composta sempre da coloro che fanno misericordia e da un’infinità di gente che la deve ricevere.
Pensare che l’opzione per i poveri sia una scelta di destinatari e non di strutturazione nuova della comunità pastorale è una mania del cristianesimo. Bisogna portare il discorso sull’autenticità delle persone: non più fare ghetti ma, con normalità, pensare nuove forme di essere Chiesa, oltre le parrocchie».
FUMAGALLI «Grazie all’esperienza ho imparato che non esiste l’omosessualità ma le persone omosessuali. Vi è una bussola, ed è il comandamento nuovo che Gesù ha lasciato, a prescindere da condizione e stato di vita: “Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato”.
Quel “come” oggi non è sufficientemente qualificato. Appena detto questo comandamento, Gesù chiosa: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”. Ora credo che, qualificato in senso cristiano, l’amore sia ciò che vitalizza un altro.
Allora questo criterio, anche in riferimento a persone omosessuali, è diventato il sentiero su cui muoversi. Io penso che oggi persista, in riferimento alle persone con tendenza omosessuale, quello che sino a tre decenni fa avveniva per le persone divorziate risposate e per i conviventi, cioè una invisibilità all’interno delle comunità cristiane, una sorta di tabù.
Le diocesi cercano di organizzare percorsi pastorali che non abbiano la funzione di ghettizzare, ma di avviare cammini nella comunità cristiana. La necessità di riguadagnare all’Evangelo questo ambito così decisivo della vita umana sta ritrovando, di questi tempi, lo stimolo adeguato, anche perché la sessualità non è una dimensione che può privarsi della Buona notizia.
Il tema è ancora molto congelato, ma ciò che è avvenuto nella società civile a partire dalla rivoluzione sessuale ha indotto la Chiesa ad assumere la questione. Come dice anche il Papa nell’ultima esortazione Amoris laetitia, le attuali sfide sono opportunità».
Cosa pensate della legge sulle unioni civili? Quale opinione avete sul tema delle adozioni da parte di coppie omosessuali? Alcune Chiese cristiane sperimentano la benedizione di coppie omosessuali: qual è il vostro giudizio in proposito?
POTENTE «Credo che nessuno oggi possa mettere in discussione le unioni civili e il riconoscimento delle coppie omosessuali. Poi certo bisogna interrogarsi su quale nucleo familiare si ha in mente. Ne ho parlato anche con le comunità cattoliche omosessuali al convegno Le strade dell’amore promosso a Roma nell’ottobre 2014 dal Forum europeo di cristiani LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender), in vista del Sinodo dei vescovi: la famiglia, anche in ambito cattolico, va ridiscussa.
Il concetto è cambiato, la famiglia non è più quella realtà e quello spazio ben definito che una volta la società doveva difendere. Gli omosessuali che vorrebbero rientrare in questo concetto di famiglia, a mio avviso, non possono ritrovarcisi; come, d’altra parte, non ci si ritrovano le donne che hanno acquisito una coscienza femminista. Il classico modello di famiglia patriarcale, che penso abbia in niente la maggior parte dei sacerdoti, non dà la possibilità di riconoscere un’unione omosessuale.
Sempre in occasione del convegno cui ho accennato, ho consigliato ai cattolici omosessuali di aprire l’orizzonte verso una nuova sacramentalità dell’amore, che non sia per forza legata al Matrimonio.
Bisogna valorizzare e riconoscere l’autenticità del legame e del servizio libero nella comunità sociale e religiosa. Cercare di rientrare a tutti i costi in ruoli matrimoniali, per altro così difficili oggi, non mi sembra la strada giusta.
Come religiosa, per esempio, io ho scelto di non avere una famiglia classica ma di coltivare altri legami. Non capisco allora perché non dare spazio alternativo a testimonianze di amore vero ed eticamente autentico, pur con tutte le difficoltà. Nelle coppie omosessuali vedo quasi una forma di profezia, un aprire brecce dall’esilio: un ruolo profetico, non istituzionale.
A monte di questo pensiero è però indispensabile acquisire i diritti civili e religiosi, ovvero la piena partecipazione alla comunità dei credenti e ai Sacramenti, alla formazione e all’essere formatori. Rispetto invece all’adozione da parte di coppie omosessuali, conosco molte persone che vivono bene la genitorialità e i bambini non ne risentono.
Da un punto di vista femminile sento però che per la donna, anche se non nasce da sé, una maternità è più possibile. Vivere con tante madri è sempre stato più facile. In ogni caso penso che la nostra società sia poco aiutata dal pensiero cattolico: non so se siamo in grado di supportare chi fa queste scelte».
D’AGOSTINO «Credo che sia sbagliato valutare la legge Cirinnà come se si trattasse di un problema italiano. E un problema che coinvolge tutto l’Occidente secolarizzato e, probabilmente, sta andando anche al di là dei confini dell’Occidente. Io credo che dovremmo prendere atto, con molti sforzi, che il modello del matrimonio civile è fallito. In Francia nascono più bambini da coppie di fatto che da coppie sposate.
Negli Stati Uniti da qualche anno il numero dei conviventi ha superato il numero dei coniugi. La Chiesa oggi è l’ultima grande istituzione che difende il matrimonio e dunque anche il matrimonio civile. Credo che il riconoscimento delle unioni di fatto sia il segnale che stiamo vivendo un passaggio storico, e nessuno sa quali saranno i tempi di questo mutamento.
La vera domanda, che però pochi in Italia si pongono, è semplicissima: ha senso il matrimonio, da un punto di vista civile, quando sappiamo che nella società attuale uomini e donne hanno una loro attività lavorativa e le loro fonti di reddito, e che è superata la differenza tra figli legittimi e figli illegittimi?
Le polemiche sulla stepchild adoption, in particolare omosessuale, non nascono tanto perché si ha il timore che una coppia gay non possa voler bene a un bambino e allevarlo, lo, per lo meno, non ho alcun pregiudizio al riguardo: per adottare bambini senza famiglia è probabilmente meglio una coppia gay che un istituto.
Il problema è imporre legalmente a un bambino, che ovviamente non può dare il suo consenso, una genitorialità omosessuale che potrebbe, una volta cresciuto c diventato adulto, costituire per lui un problema. Se invece riduciamo l’adozione, come era nell’antico diritto romano e direi fino alla metà del Novecento, a un nobile e necessario formalismo politico che non pretende di negare la procreazione naturale, ma di tutelarla in casi di bisogno, il problema potrebbe essere risolto.
Onestà vorrebbe anche che si potenziasse l’adozione, la si allargasse a individui singoli e coppie gay, ma senza mettere il rigido presupposto che l’adozione crei una genitorialità legale superiore alla genitorialità naturale. Adozione e genitorialità naturale devono andare insieme, naturalmente quando la genitorialità naturale c conosciuta».
SAVARESE «Credo che la legge sulle unioni civili sia importante, una forma di riconoscimento pubblico fondamentale per il diritto individuale e di coppia. Penso che oggi, per chi non crede, dovremmo avere un’unione civile uguale per tutti, facilmente gestibile con contratti e scioglimenti brevi; poi dovremmo avere, ma solo per chi crede e osa darsi a una volontà che è superiore, eterosessuali e omosessuali che siano, un vincolo sacramentale.
Personalmente non sono solo favorevole a una generica benedizione, ma anche a un vincolo sacramentale per tutti. In mancanza di questo, che è una forzatura e un’utopia probabilmente, ritengo che il momento della benedizione sia importante. Questa, se posso, è la bellezza della vita religiosa rispetto alla vita del diritto civile contemporaneo.
Ma se la comunità non è empatica con la relazione, non accetterà neanche l’idea della benedizione. Io penso che questa pratica potrebbe diventare possibile se si conoscesse ciò di cui si parla, cioè che cosa sia davvero l’affettività omosessuale e come si esprime. A questo proposito nelle comunità parrocchiali ho trovato grande sensibilità e interesse».
PONTE «Dal mio punto di vista, la legge non è rispettosa delle persone omosessuali che, non più considerate uomini o donne, vengono categorizzate in funzione del desiderio sessuale, e per questo ritenute bisognose di diritti diversi. Questa privazione di identità per me è più discriminante di qualsiasi insulto omofobo».
FUMAGALLI «A me sembra invece che il riconoscimento delle unioni civili di persone dello stesso sesso avvenga e possa avvenire – a mio giudizio legittimamente non tanto sulla base della loro relazione strettamente sessuale ma sul fatto che, prendendosi cura l’uno dell’altro, offrono un bene sociale.
Nell’attuale situazione, l’introduzione di una benedizione in ambito ecclesiale andrebbe a complicare la questione. A maggior ragione l’eventualità di un sacramento, che non è ridefinibile semplicemente in base alla nostra creatività pastorale e liturgica.
Non escludo invece una prospettiva che vada verso un riconoscimento ecclesiale delle forme amorose diverse da quelle del Matrimonio, secondo una logica di gradualità. Ma questo comporta che ci si ponga sempre nel tentativo di interpretare quale sia il bene che “Dio intende dire” sulle esperienze umane.
Bisogna chiedersi se quel tipo di relazione effettivamente vista come buona da Dio.
Ecco allora che si torna alla questione di cui si parlava poco fa, e che è anche la sfida che la Chiesa è chiamata a raccogliere, cioè come, a fronte di questo nuovo modo di considerare la sessualità, possiamo intendere il rapporto tra la persona e il suo corpo, e il matrimonio stesso».