Le vite nascoste dei gay tunisini
Articolo di Di Rhida Kefi tratto da kelma.org, liberamente tradotto da Domenico Afiero
Le coste della tunisia evocano a molti l’idea del sole e del mare. In pochi si chiedono o sanno cosa c’è e come si vive al di là del muro che separa i villaggi vacanza per turisti dal resto della società tunisina che sebbene mediterranea, non è forse una delle più liberali in materia di costumi sessuali, ma neanche una delle più repressive.
La tunisia, come le altre società del mondo arabo-mussulmano, ha nei confronti dell’omosessualità una specie di duplicità in cui la tolleranza e l’intolleranza, la tentazione e la repulsione, praticare l’omosessualità e non dirlo al contempo, sono le due facce di una stessa medaglia. Così, il piacere, vissuto nella colpevolezza, è spesso consumato nel silenzio. Come ci raccontano alcuni gay tunisini.
Halima, una donna minuta e stanca, sulla sessantina, abita in uno di quei quartieri poveri e popolosi che circondano la capitale tunisina. Un giorno, il telefono squilla dal droghiere dell’angolo. La si cerca.
Dall’altro capo del telefono, uno sconosciuto la informa che suo figlio Alì, emigrato da molto tempo in Italia, arriverà quella sera stessa con un volo Alitalia proveniente da Roma. All’aeroporto, l’attesa si fa lunga quando, all’improvviso, sbucata dall’ammasso multicolore di altri passeggeri, una bella donna bionda, con cappotto, miniabito e trucco da star, le si avvicina, la prende tra le braccia e la stringe fortissimo contro il suo seno polposo.
L’anziana donna cerca di divincolarsi dalla stretta della sconosciuta quando quest’ultima, con gli occhi pieni di lacrime, di colpo, le dice: “Mamma, non mi hai riconosciuto? Sono tuo figlio Alì!”. Sentendosi cedere la terra sotto ai piedi , è mancato poco all’anziana madre per svenire.
Ali e’ un giovane tunisino come tanti altri. La cosa che lo distingue è che è omosessuale e le sue maniere un po’ effeminate lo tradiscono. Partito per l’Italia , in cerca di un lavoro senza nessun tipo di qualifica professionale, frequenterà subito gli ambienti della prostituzione maschile. Dopo alcuni anni, prenderà gusto alla vita di travestito sino a subire, su consigli si qualche amico modaiolo, un trattamento di chemioterapia ed una serie di operazioni chirurgiche per ‘diventare’ ciò che ha sempre creduto di essere in cuor suo: una donna.
Tuttavia, il suo paradiso italiano gli sarà confiscato in seguito ad un banale controllo d’identità. I carabinieri lo arresteranno e lo metteranno su un aereo con destinazione il suo paese natale. Un rimpatrio forzato, dunque, e un duro ritorno ad una cruda realtà. Lo choc non sarà mai superato davvero!
Il destino di Alì è certamente eccezionale, perché in tutto il Maghreb i transessuali si contano sulle dita di una sola mano. Un destino non meno significativo delle difficoltà che la minoranza gay, in questa parte del mondo arabo-mussulmano, prova a vivere la sua differenza sessuale diversamente da quella della colpevolezza , della vergogna e del segreto.
“L’omosessualità è , ufficialmente, una patologia occidentale che sarebbe estranea al costume del Maghreb. Come ogni pecca sociale, di cui si temono le manifestazioni, quella dell’omosessualità è grava di ostacoli e di proibizioni”, scrive in proposito Ahmed Rouadjia (ndr autore di L’état du Magheb libro collettivo curato da Camille et Yves Lacoste, Editions Cérès Productions, Tunisi, 1991), uno dei rari sociologi maghrebini a essersi interessato all’omosessualità. Infatti, a parte pochi romanzi, quali Il Ripudio (Edizioni Lavoro) di Rachid Boujedra ; La tribù felice (Mondadori) e Le fleuve détourné ( Robert Laffont Editions) dello scrittore Rachid Mimouni, non vi sono testimonianze scritte, storie di vita o inchieste giornalistiche che rievochino questa realtà sociale circondata da un velo di silenzio.
“Il clima sociale magrebino , caratterizzato da una forte devozione e dominio della collettività sull’individuo, il che non aiuta a ostentare la propria omosessualità”, continua Ahmed Roudjia. Per Wadi Bouzar, un suo collega, questa forma di devianza sessuale è, nel Magreb, la “condotta sociale la più vituperata”.
Tuttavia, Wadi Bouzar colloca l’omosessualità in un contesto più generale, definendola “miseria sessuale” che inferisce nelle società islamiche in generale, dove l’ombra del peccato della carne aleggia su ogni forma di relazione sessuale diversa da quella che si consuma nel matrimonio . Eppure, l’omosessualità è stata sempre tollerata in terra islamica infatti, Abou Nûwas, celebre poeta della dinastia degli Abbasidi a Bagdad (VIII sec. dopo Cristo), ha cantato l’amore omosessuale in maniera provocatoria.
Lo scrittore arabo Al-Jahiz (IX sec. dopo Cristo) , in “Kitah al-Ghilman “ (epistola dei ragazzi) , scrive , invece, una sorta di apologia delle relazioni amorose tra maschi. Questi due intellettuali non sono i soli scrittori arabi a ‘osar scrivere ’ circa le relazioni tra maschi in opere così scandalose.
Le Mille e una notte, con il buoncostume poco ortodosso delle sue principesse e dei suoi principi, costituisce un monumento della letteratura erotica e libertaria mondiale. Questo velo di proibizionismo, di cui ogni forma di devianza sessuale è attualmente circondata, risale, dunque, ad un’epoca recente.
Cervello di donna in un corpo di uomo
François è un giovane cameraman 28enne, gay e di nazionalità francese. Ha scoperto l’omosessualità magrebina durante un recente soggiorno in Tunisia e spiega in proposito: “La società magrebina tollera male l’omosessualità .
Considera l’ omosessuale un essere ibrido , una sorte di cervello di donna in un corpo di uomo”, azzardandosi perfino ad un confronto : “
In Europa, un gay è , prima di tutto, un uomo che pensa ed agisce come un uomo, cercando di stabilire un equilibrio tra la parte maschile e quella femminile della sua personalità”.
Mounir, un ingegnere di ventinove anni, ha vissuto un’esperienza diversa da quella di François. Come gay magrebino, Mounir ha vissuto in Francia per parecchi anni e vi ha frequentato l’ambiente omo. Per questa ragione, Mounir arriva a questa conclusione: “Tutto sommato, i gay magrebini non hanno molto da lamentarsi della loro sorte”. Ma cosa spinge Mounir a questo giudizio?
Mounir, allora , si spiega meglio: “Nelle società arabe , gli uomini vivono spesso tra loro e sviluppano una certa sensualità maschile: si toccano, si danno delle pacche sulla spalla , vanno insieme all’hammam o dormono perfino nello stesso letto.
Tutto questo non suscita una minima reazione di condanna! Cosa che non capita in Europa, dove i gay sono subito additati ed etichettati come tali e , quindi, da escludere. Così, i gay europei, per vivere la loro diversità , finiscono per frequentare locali fatti ad uso e consumo proprio : saune, discoteche e negozi gay”.
Mounir sostiene che sono piuttosto le società europee a mostrarsi meno tolleranti nei confronti dei loro gay ed esemplifica : “ci sono gruppi organizzati di skinheads o bande omofobe , la cui occupazione preferita è quella di braccare i gay nei parchi e di aggredirli, non se ne trovano a Tunisi, a Casablanca o ad Algeri”.
Samir, 22enne, disoccupato e gay effeminato , risponde volentieri quando gli si rivolge col nome femminile di Madiha. Anche lui non si lamenta per come sono trattati i gay. Tuttavia , ammette che ‘la gente istruita è spesso la più comprensiva verso l’omosessualità. Personalmente, ho amici medici, avvocati o direttori di società che mi accettano e mi rispettano per quello che sono.
Una sera, in un hotel frequentato da gente di un certo peso sociale,qualche amico mi ha invitato a ballare . Vestito da danzatrice orientale per l’occasione, non ho potuto resistere a lungo alla tentazione. Subito dopo, si erano messi tutti a ballare intorno a me. Gente nota ha perfino accettato di essere fotografata in mia presenza!’. Così, l’omosessualità diventa , lungi dall’ispirar vergogna o disprezzo, spettacolo, ornamento, una specie di chicco di sale indispensabile alla festa.
Per il 21enne Chaker, cuoco e modellista disoccupato , le testimonianze di Mounir e Samir sono troppo riduttive per i suoi gusti. Per lui, la gente delle grandi città costiere è spesso più comprensiva nei confronti dei gay rispetto alla gente di città e villaggi più remoti del Paese.
Chaker ricorda un suo amico gay che abitava in una città all’interno del Paese . Un amico che ha tentato parecchie volte il suicidio, in quanto non sopportava il disprezzo o essere deriso interminabilmente dai suoi.
Mounir conferma questa differenza di considerazione che si ha nei riguardi dell’omosessualità a seconda delle diverse aree di una medesima società: “ Infatti, l’omosessualità è vissuta , nelle aree rurali, nella vergogna. In certe famiglie, una volta scoperta è addirittura la causa di drammi”.
La società tunisina, sebbene mediterranea e , dunque, molto sessuata in un certo modo, non è forse una delle più liberali in materia di costumi sessuali, ma neanche una delle più repressive.
Nel mondo arabo-mussulmano, il paradosso sessuale si riassume , nella pratica, in una specie di duplicità comportamentale in cui la tolleranza e l’intolleranza, la tentazione e la repulsione, praticare l’omosessualità e non dirlo al contempo sono le due facce di una stessa medaglia. Così, il piacere, vissuto nella colpevolezza, è spesso consumato nel silenzio.
Non è tanto la pratica della devianza sessuale a scandalizzare chi governa la morale, ma divulgarne il segreto . Quindi, in virtù del proverbio arabo “nascondi l’errore e sei già perdonato” (ndt – in originale: “faute cachée est à demi-pardonnée!”), i gay possono sempre darsi alle pratiche devianti, ma in clandestinità, lontano dagli occhi indiscreti della gente, correndo il rischio di macchiarsi di “aîb” (infamia) e di macchiare di “ar” (disonore) la famiglia.
L’antropologo Malek Chabel sostiene che , nel mondo arabo-islamico , più che in qualsiasi altra parte del mondo, ‘l’amore e la seduzione sono codificati e devono piegarsi alle esigenze del veto sociale , il quale agisce come una temibile cappa di piombo “. L’antropologo aggiunge:” Donne e uomini sanno sino a che punto il loro potere di seduzione può andare, conservando una nuvola vaporosa e protettrice che li circonda” (cfr. L’Etat du Maghreb).
Non osavo confessare la mia avversione per il calcio
Il venticinquenne Samir, uno studente universitario gay, testimonia la difficoltà a confessare la sua diversità. “Ho sempre vissuto di nascosto la mia omosessualità. D’altronde è la mia prima volta che ne parlo apertamente. Di solito, quando qualcuno si mette a parlare in mia presenza di questa ‘cosa’ mi astengo dall’esprimere un mio parere per timore di smascherarmi da solo”.
D’altronde, una delle pratiche più ricorrenti nei gay tunisini è quella di celare la propria identità . Si hanno una decina di nomi da utilizzare a seconda della circostanza .Questo comportamento diffidente è dovuto dalla paura che i parenti possano scoprire quello che deve rimanere un segreto. La maggior parte dei gay, infatti, nasconde le sue inclinazioni sessuali. Certi corteggiano anche le ragazze per barare meglio .
Samir, grazie anche ai suoi brillanti studi, ha imparato a vivere la sua diversità e ad accettarsi meglio; ‘ quando ero giovane’, confessa, “non osavo neppure svelare la mia avversione per il calcio , perché a un ragazzo deve piacere , per definizione, il pallone”.
I giovani tunisini della mia età’ , continua Samir, ‘sognano di sposare una bella donna , di comprare una bella macchina , di costruirsi una casa o avere dei bei figli. Personalmente, ho altre preoccupazioni e questa diversità non mi fa più vergognare ‘. Allora, cosa sogna Samir? A Samir piace sognare la libertà , l’arte , gli studi ed i viaggi.
Testo originale