Il volto etico dell’omosessualità
Riflessioni di Geronimo Gentile tratte dal Bollettino Il Guado del novembre 2001
L’omosessualità, come ogni altra condizione umana, può essere vissuta eticamente oppure no. Per quel che so, almeno nella cultura occidentale, è stata sempre considerata una condizione e un’esperienza abnorme. Le eccezioni che si invocano per la Grecia classica sono più circoscritte di quanto non si creda. Perché questa premessa, per offrire una sponda alla tesi dell’omosessualità contro natura? No.
La natura, nella sua realtà effettuale, non conosce schemi né posizioni estreme. Sgombrato il campo da questo eccesso non si deve cadere nell’eccesso opposto dell’assoluta indifferenza delle distinzioni e dei comportamenti sessuali. La distinzione è iscritta indelebilmente nell’anatomia e nella fisiologia del corpo umano.
La fonte dell’etica cristiana è l’amore; di conseguenza, fonte di ogni peccato è l’egoismo. Grazie al recupero di un’etica fondata sulla relazionalità è stato possibile, per il matrimonio, mettere fra parentesi la svalutazione paolina dell’unione coniugale. È lecito auspicare che, nello stesso spirito, si approfondisca il discorso sull’intera sessualità?
L’uomo aperto al prossimo di cui parla il Vangelo non può essere una monade, bensì una relazione con un altro essere personale. Applicata alla condizione omosessuale, quest’espressione ci dice (per chi non scelga volontariamente la castità) che la forma più consona alla Bibbia è il rapporto a due, mentre l’avventura sporadica o il consumismo erotico senza spessore è (pure all’interno del matrimonio) una “masturbazione a due”.
Come si colloca tutto ciò rispetto alle modalità consuete del mondo omosessuale? Il cristiano non può accettare il globalismo GLTB (gay, lesbian, bisexual, transgender), o altre… possibilità (non fatemele nominare!…) perché almeno in un caso (nella bisessualità) c’è possibilità di scelta, mentre il transessualismo, più che a una categoria, va ricondotto a problematiche personalissime e giudicato sulla base di esse.
Il cristiano neppure può sottoscrivere il consumismo erotico, neanche nella forma più blanda del sesso come strumento di conoscenza reciproca, ancora meno può difendere l’indifferenza per i comportamenti erotici indiscriminati ed estremi. Resta la domanda se, indicata la strada di una convivenza duale, se ne debba chiedere il riconoscimento giuridico, aspirando magari alla possibilità di avere figli propri o adottivi.
Credo si debba avere il coraggio di riconoscere che l’omosessualità è, comunque, una sessualità mutilata, perché, in radice, esclusa dalla genitorialità. Le vie traverse (inseminazione eterologa per le donne, l’adozione per donne e uomini) sono funzionali agli aspiranti genitori e non tengono conto degli interessi del generato o dell’adottato che, salvo eccezioni da verificarsi caso per caso, ha diritto di avere accanto a sé un modello femminile e uno maschile, perché solo così si pongono le premesse per una crescita armonica.
Si obietterà: “Ma bisogna pur uscire e far capire!”. Convengo. E per rispondere mi rifarò a una domanda che m’è stata posta: “Ma ti rendi conto che due omosessuali che si amano non possono camminare per strada tenendosi per mano?”. Lo riconosco. Ma ritengo che due persone dello steso sesso che, senza esibizionismi, camminano per strada tenendosi per mano, siano più produttive, per il riconoscimento del diritto degli omosessuali all’affettività, che non dieci “Gay Pride”.
La premessa perché l’omosessualità sia accettata è che la persona omosessuale si accetti. Non solo nell’accezione che di solito si attribuisce a questa formula (la fatica ad arrendersi alla propria omosessualità), ma anche la serena accettazione di questa sessualità “monca” che si deve imparare a vivere per quella che è, senza assurdamente pretendere di viverla come se fosse integra.