Lettera aperta a Mara Carfagna. Dei diritti e della speme
Riflessioni* di Lidia del gruppo Bethel di Genova del 10 luglio 2010
Onorevole Mara Carfagna, lei ricorderà senz’altro le tre virtù teologali della chiesa cattolica, fede, speranza e carità. Pensi che sul sito del Vaticano, all’interno della sezione dedicata al catechismo, è presente una descrizione di questi veri e propri stati dell’essere che anela a congiungersi con Dio e la descrizione che ne viene fatta è la seguente: «Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell’uomo idonee alla partecipazione alla natura divina.
Le virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino».
In particolare la speranza viene definita, sempre in quella sezione, come il mezzo attraverso il quale l’essere umano ambisce a raggiungere il regno dei cieli e la vita eterna e, nel momento in cui questi si affida con totale abbandono al Cristo e alla grazia dello Spirito Santo, essa «assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna (…) preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità».
Stando così le cose, ben più di qualche cattolica o cattolico avrebbe dovuto provare un certo stupore di fronte alla dura presa di posizione nei Suoi confronti da parte di alcuni prelati i quali, all’indomani della Sua dichiarazione secondo cui il Pride di Roma 2010 è stato «una manifestazione gioiosa, serena e partecipata», si sono scagliati contro di Lei (attraverso il sito internet Pontifex) con commenti dalle parole dure, perentorie e – mi passi il termine – prive di speranza.
Il punto dell’intera faccenda sta, in parte, proprio qui: nella mancanza, all’interno di quei commenti, di un elemento che dovrebbe animare sempre i ministri del culto cattolico in quanto tali ovvero nel loro ruolo di attivisti religiosi investiti, dalla superiore autorità papale, del nobile compito di condurre le pecorelle smarrite verso la retta via, mediante un percorso di anime predestinate a raggiungere la felicità eterna accanto al Padre Celeste.
Invece, in quei giudizi così netti, che non predispongono certo l’interlocutore al dialogo aperto e pacato, manca proprio quella che i poeti chiamavano speme ovvero quell’insieme di sentimenti positivi che purificano l’essere umano e lo portano per mano fino al regno dei cieli, espandendo il suo cuore e ponendolo al riparo dalle tante situazioni negative che lo indurrebbero a vacillare.
Insomma, in essi manca l’amore, l’unica cosa certa nelle nostre vite di sofferenza insieme a quella spes che, per i Latini, è ultima dea.
C’è dell’altro, ministro Carfagna. Riassumendo in poche parole i commenti di quei poco avveduti uomini di chiesa, Ella è stata definita «un’incauta ragazzina che dovrebbe chiedere scusa per le sue affermazioni fuori luogo», senza parlare del fatto, assai grave, di aver messo in discussione il Suo ruolo di ministro della Repubblica italiana all’interno dell’attuale governo Berlusconi.
Vede, Onorevole Carfagna, il nucleo di questo increscioso accadimento è costituito da elementi che vanno ben oltre le scriteriate asserzioni fatte da persone il cui pensiero e le cui azioni dovrebbero essere animati sempre e soltanto dalle tre virtù teologali e dalle quattro virtù cardinali, la prima delle quali è proprio – e non è un caso – la prudenza.
Come Lei saprà – e sempre secondo le linee guida del Vaticano – essa è «la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo.
La prudenza è la “retta norma dell’azione”, scrive san Tommaso (…). È detta “auriga virtutum – cocchiere delle virtù” (…) dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza.
L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare».
Alla luce di tutto ciò, come giustificare, quindi, l’errata condotta dei prelati che si sono scagliati contro di Lei?
Ben lungi dal voler avviare, con il Suo ministero, un dialogo cristiano, infatti, essi si sono spinti ad un punto tale di presunzione e superbia da giungere a mettere in dubbio persino le decisioni del capo del governo italiano quando si è trattato di attribuire proprio a Lei, ministro Carfagna, il dicastero delle Pari opportunità.
In realtà, Onorevole, leggendo fra le righe delle folli dichiarazioni di questi uomini della chiesa cattolica, è possibile riconoscere qualcosa di ben più grave: tralasci pure, se Le riesce, il fatto che costoro hanno avuto il coraggio di attaccare, attraverso di Lei, l’intera comunità delle persone omosessuali e, con essa, la loro rivendicazione, sacrosanta, di una cittadinanza piena a partire da quei diritti civili che, in nome di una presunta anormalità, viene loro negata («Siamo al paradosso – sono parole di Serafino Sprovieri, vescovo Emerito di Benevento –.
Si celebra il trionfo dell’anormalità e si punisce chi, cattolico, ha tutto il diritto a protestare per queste cose insensate e fuori da ogni logica, siamo nella cloaca»); tralasci anche il fatto che costoro non hanno esitato a strumentalizzare le Sue parole pur di perseguire un chiaro intento discriminatorio ed omofobico ma, quel che è peggio, le persone dalle cui bocche sono usciti questi esecrabili commenti appartengono ad un sistema sociale che avalla da secoli quel maschilismo patriarcale dei cui valori è imbevuta l’intera società umana, quella stessa che non tiene nella giusta considerazione i saperi e la cultura delle donne.
Ecco perché i prelati che hanno messo in atto questa assurda levata di scudi si sono sentiti in dovere di redarguirLa, come si farebbe con una ragazzetta sciocchina che ha osato aprir bocca per esprimere un parere.
Il passo successivo è stato quello, di una gravità estrema – lo ribadisco – di mettere in discussione le Sue capacità di ministro della Repubblica, tirando in ballo il Suo passato di esponente del mondo dello spettacolo.
Per concludere, Onorevole Carfagna, sarebbe fin troppo facile, a questo punto, per me, accomiatarmi da Lei con frasi del tipo: «benvenuta nel mondo reale», quello in cui ad essere discriminate siamo soprattutto noi donne, per il solo fatto che un signore di nome Paolo di Tarso (come si desume analizzando il suo corpus di lettere) pensò bene di attribuirci una presunta inferiorità rispetto all’uomo.
Sì, Onorevole, sarebbe troppo facile e fuori luogo, se penso alle tante iniziative che ha portato e sta portando avanti il Suo dicastero a favore delle donne, italiane e non, che vivono nel nostro Paese, per non parlare di ciò che di positivo Ella pensa delle persone omosessuali.
Mi limiterò quindi ad augurarLe tante riunioni proficue con il Suo staff di collaboratrici e collaboratori, al fine di continuare a svolgere in tutta serenità un compito assai utile, a rendere gravoso il quale sono difficoltà che non hanno certo a che fare con un passato, il Suo, che diversi benpensanti, a volte, tirano fuori per mettere in dubbio le Sue capacità di ministro e, lo sottolineo, di donna.
Mi permetta, quindi, di salutarLa come soleva fare – con garbo d’altri tempi (quello che è mancato a quei ministri di culto) – il grande giornalista Andrea Barbato al termine di ogni Cartolina che andava in onda alla fine degli anni ’80 su Rai tre nella fascia pre – serale: un saluto da Lidia Borghi (giornalista pubblicista in Genova, 10 luglio 2010).
* Sabato tre luglio 2010 a Roma ha avuto luogo il Roma Pride 2010, una sfilata che la ministra per le Pari opportunità, Onorevole Mara Carfagna, non ha esitato a definire «una manifestazione gioiosa, serena e partecipata».
A quanto pare le sue parole hanno sollevato un vespaio in alcuni ambienti vaticani, motivo per cui ho scritto una lettera aperta di solidarietà – alla donna ancor prima che all’esponente di governo – che vuole essere anche un monito per quanti, uomini di chiesa e non, si permettono di rivolgere frasi offensive alle donne impegnate nel sociale, siano esse ministre o semplici volontarie.