L’omofobia nelle comunità musulmane
Articolo di Abdennur Prado* tratto dal mensile Pueblos (Spagna) del marzo 2008, liberamente tradotto da Eleonora M.
In linea di principio non esistono differenze tra l’omofobia in ambito islamico, giudaico, cristiano o buddista. Una fobia è una fobia, una patologia che si può definire in maniera oggettiva, indipendentemente dalla religione.
Sarebbe strano pensare il contrario, come parlare di varicella nell’islam o nel cristianesimo. E tuttavia, è necessario farlo in relazione all’omofobia, dato che alcune persone pretendono di giustificare la loro patologia in base agli insegnamenti della propria religione.
Dunque è nella religione che, in primo luogo, gli omofobi vanno a pescare le loro argomentazioni. Il motivo è facile da comprendere.
L’omofobia è un’infermità che non solo non si riconosce come tale, ma che pretende di farsi passare per normalità, scambiando le carte in tavola.
E questo scambio perverso evidentemente necessita di una giustificazione sovrannaturale. È più facile odiare se si pensa che l’odio sia stato decretato da Dio.
Nell’ambito islamico, gli omofobi fanno appello in primo luogo al Sacro Corano, più precisamente alla storia del profeta Lot. Si afferma che Dio abbia condannato gli abitanti del villaggio di Lot perché praticavano l’omosessualità, il che è semplicemente falso.
Una lettura minuziosa di questi versetti porta a concludere che non c’è nemmeno un riferimento esplicito all’omosessualità, ma solo alla promiscuità senza freni e alla violenza, oltre che alla trasgressione delle leggi sull’ospitalità.
Quando il villaggio di Lot vuole possedere gli angeli di Dio, non si tratta di omosessualità, ma di un tentativo di stupro. Alcuni confondono l’una con l’altro, e citano questi versetti per dimostrare che Dio ha condannato l’omosessualità.
Questa presunta giustificazione coranica dell’omofobia non sembra sufficiente. I teologi hanno sempre sentito la necessità di spiegare in maniera più o meno razionale i contenuti della rivelazione.
Se (si suppone che) Dio condanna l’omosessualità, non può essere per semplice rifiuto, bensì perché questa perturba l’ordine sociale sacro, nel quale gli individui devono occupare un ruolo prestabilito.
Questa argomentazione è di ordine sociale e potremmo etichettarla come il principio della complementarietà tra i sessi.
I teologi musulmani ci presentano una visione della coppia fondata su un’armonia prestabilita dei sessi, che suppone una complementarietà essenziale tra l’uomo e la donna.
Questa complementarietà è creativa e procreativa, e ha come oggetto mantenere l’ordine sociale e perpetuare la specie.
Di fronte a questa rigorosa bipolarità, qualunque espressione o approccio che cerchi di infrangere o sfumare la frontiera tra i generi è vista come una aberrazione contro natura e, quel che è peggio, come una tendenza distruttiva della società.
Tutto ciò che viola l’ordine sacro non è altro che “disordine”, fonte di male e di anarchia. Da qui la doppia condanna, morale e penale, con cui si vedono stigmatizzati gli omosessuali.
Se notiamo bene, questi argomenti sono puramente materialisti, e di un materialismo piuttosto grezzo.
Ma si tratta anche di argomentazioni con una base politica concreta, nei quali la difesa della ragione di Stato passa sopra i diritti degli individui. Qui l’omofobia diventa ideologia, e l’omofobo si identifica con il proprio Stato, che a sua volta è considerato come garante dell’ordine religioso.
Si invocherà la salute del corpo sociale, la stessa metafora impiegata per giustificare l’espulsione dei moriscos (ndr dei mussulmani) dalla Spagna dell’Inquisizione, o il genocidio degli ebrei e degli omosessuali nella Germania nazista.
Non dimentichiamoci di questa dimensione politica dell’omofobia, dal momento che è una costante nella storia.
L’omofobia è dunque una infermità psico-sociale, dello stesso gruppo di altre infermità simili, come il razzismo, la xenofobia o l’islamofobia. Questa dimensione politica dell’omofobia si vede chiaramente nell’altro argomento brandito dagli omofobi nei circoli islamici.
L’accettazione dell’omosessualità, ci dicono, è una tendenza che viene dall’Occidente, e quindi una minaccia per le società musulmane.
Questa argomentazione (che non è praticolarmente religiosa) è stata brandita più e più volte da ministri che occupano incarichi di prestigio, come rettori delle università islamiche, gran muftì o imam di grandi moschee.
La tripla discriminazione
Le difficoltà abituali delle persone lesbiche, gay, trans e bisex (LGTB) aumentano nel caso dei musulmani che vivono in Occidente. Come minoranza sessuale all’interno di una minoranza religiosa, sono esposti ad una doppia, se non tripla, discriminazione.
Il discorso dell’omofobia è talmente radicato nelle comunità musulmane che basta nominarlo per far sì che l’offeso senta lo stigma di essere così come Dio lo ha creato.
Problemi frequenti derivano dal disconoscimento nel periodo dell’adolescenza, dalla sorpresa e dalla vergogna nello scoprire la propria tendenza omosessuale.
Nel caso di giovani che crescono in comunità musulmane, coesi da legami familiari e da provenienza comune, si produce un conflitto con l’ambiente.
Si trovano a ricevere numerose pressioni perché non sviluppino la loro omosessualità, attraverso matrimoni più o meno forzati.
Si produce un sentimento di dualità e di frattura interiore, dal momento che ai giovani si è inculcata l’idea che non si può essere allo stesso tempo omosessuale e musulmano.
Sentono che devono scegliere, con tutto ciò che questo implica. In questi momenti si sono diagnosticati casi clinici di angoscia, ansia e depressione.
In questo contesto fa la sua comparsa la figura sinistra dell’”omofobo compassionevole”, che si avvicina all’omosessuale come ad un fratello nell’islam: ti aiuteremo, confida in Dio, Lui può tutto.
In questa situazione all’omofobo piace mostrarsi tollerante, e consiglia all’omosessuale di mantenere privata la sua sessualità. Questo porta ad una fase di occultamento e a situazioni di clandestinità.
Il giovane, che non può negare la propria omosessualità, ma sa che non sarà accettata dal suo ambiente, agisce in modo ipocrita, il che aumenta la sua frustrazione e il suo senso di colpa.
Il riconoscimento pubblico della sua omosessualità provoca una rottura con l’ambiente familiare e comunitario. Conduce a situazioni di isolamento e solitudine, particolarmente grave tra quei gay e quelle lesbiche che vogliono conservare la propria cultura e religione, e devono affrontare reazioni violente dei familiari.
Bisogna tenere in considerazione che alcuni si sono sposati giovani. La rottura del matrimonio significa uno shock, che coinvolge due famiglie, generalmente estese.
Si vivono situazioni di tensione nella comunità, e la frustrazione di mariti e mogli. Allo stesso tempo, devono affrontare il rifiuto che subiscono spesso i musulmani in paesi occidentali, e constatano l’islamofobia che esiste nei collettivi gay e lesbici.
Non si sentono identificati con i luoghi chiamati “dell’ambiente”, con ciò che comporta in termini di alcol, droghe e promiscuità.
Si sentono casi unici, aberranti, quasi extraterrestri, senza riferimenti. A questo si sommano le difficoltà di trovare casa e lavoro.
Non hanno accesso ai vincoli di solidarietà propri dei legami familiari e comunitari e subiscono le discriminazioni abituali verso i collettivi immigranti di origine musulmana.
Questo è, temo, il desolante panorama dell’omofobia all’interno delle comunità musulmane. È dunque necessario rompere il silenzio, denunciare chiaramente l’omofobia che esiste tra i musulmani.
Come contropartita, nelle ultime decadi abbiamo assistito all’emergere di numerose associazioni di gay e lesbiche musulmane, così come intellettuali musulmani degni di nota che si sono distinti in difesa della libertà delle minoranze sessuali.
A volte una sola voce può far sì che molte persone si sentano confortate, che sentano di non essere sole nelle loro sofferenze, che siamo molti musulmani che ci rifiutiamo di accettare che la patologia signoreggi sulla nostra religione.
* Abdennur Prado è presidente della Giunta Islamica Catalana e autore del libro El islam anterior al Islam, ed. Oozebap, 2008.
Testo originale: La homofobia en las comunidades musulmanas