L’omosessualita’ in Africa, dal passato ai nostri giorni
Tesi di ricerca di Charles Gueboguo* pubblicata su Socio-logos (Francia), rivista dell’Association française de sociologie, n.1 del 1 settembre 2006, libera traduzione** di Erica
Lo scopo di questo breve lavoro di ricerca è quello di ricostruire la realtà storica e contemporanea del vissuto omosessuale in diverse società africane. L’omosessualità, in tutte le sue forme, è sempre stata nota in Africa, ben prima dell’arrivo delle missioni “civilizzatrici”. Ai giorni nostri, tende ad essere sempre più visibile nelle grandi zone urbane africane. Appare perciò interessante, da un punto di vista sociologico, capirne il significato e vedere la sua evoluzione, al di là dei cliché comunemente accettati.
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SOMMARIO
Omosessualità in Africa Nera : mito o realtà?
– «L’omosessualità » nella storia africana: socio-grafia e socio-analisi di una attività «di piacere»
L’omosessualità o le omosessualità in Africa nel meandro semantico delle lingue africane
– «Omosessualità» in Africa: costruzione storica.
Pratiche omosessuali attraverso le diverse età : i giochi erotici dei giovani ragazzi
– «Omosessualità» nei riti iniziatici.
– «Omosessualità» in assenza di uomini e/o di donne.
– «Un Genere definito: l’omosessualità»
Manifestazioni e fattori esplicativi dell’omosessualità nelle città dell’Africa contemporanea
Qualche spiegazione sociologica sulla visibilità omosessuale in Africa
Bibliografia
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Omosessualità in Africa Nera: mito o realtà ?
In Africa, gli studi relativi alla costruzione sociale della sessualità portati avanti dagli stessi Africani non sono molto numerosi, paragonati a quelli di cui si può disporre in Occidente.
Una delle ragioni è che l’universo della sessualità in Africa, a partire dall’avvento del cristianesimo, è contornato da tabù, come in molte altre zone del mondo.
In Africa quasi sempre il sesso viene fatto più di quanto non se ne parli; perfino nei racconti quando si affronta l’argomento, lo si fa attraverso la scappatoia di metafore, analogie, ellissi o ancora metonimie. A questo livello, il linguaggio che si riferisce al sesso, specialmente quando vuole veicolare una conoscenza, non può che suggerirsi o visualizzarsi attraverso dei paraocchi, dato che non ne precisa mai il reale pensiero.
Sebbene il sesso non si presti sempre con disinvoltura al gioco dell’interpretazione, il suo significato non è sistematicamente nascosto per i nativi. Non sempre esso ha bisogno di essere decriptato.
Ed è per questo che all’interno dei gruppi, gli attori sociali non si interrogheranno necessariamente sui suoi significati, anche quando per un osservatore straniero, può sembrare contro natura o osceno
Sono dunque questi fattori presi nel loro insieme che possono spiegare la poca inclinazione dei ricercatori Africani verso le questioni della sessualità, come risulta evidente dal numero ridotto di pubblicazioni scientifiche.
Tuttavia, se gli Africani, di ieri e di oggi si sono interrogati pochissimo sulle questioni legate alla loro sessualità, non fu così per gli esploratori missionari e per i primi antropologi occidentali, che vedevano in questi nuovi orizzonti primitivi, “una evasione romantica fuori dalla loro cultura troppo standardizzata”.
In altri termini, l’universo africano in generale e le pratiche socio sessuali in particolare apparivano a questi primi antropologi allo stesso tempo come una scoperta esotica e una occasione di uscire dall’insoddisfazione provocata in loro dalla società occidentale.
Si faranno, di questo fatto, una visione alternativa di ‘primitivi’ che essi osservano, oscillando tra una rappresentazione di indigeni come esseri naif ( i “ Buoni Selvaggi “ di Rousseau) o come degli esseri dai costumi perversi.
Riguardo l’ultimo elemento, la terminologia che descrive la perversione sessuale degli africani è molto significativa. Così alcuni degli autori, tra i quali figurano molti missionari, descrivono certe pratiche sessuali come: insolenti, oscene, estremamente volgari; “dei crimini folli senza impunità”, indecenti, dei vizi detestabili, delle copulazioni contro natura, erotismo morboso etc. etc.
Questa visione degli indigeni da parte degli antropologi, sostenuta da un discorso socio-centrista e moralizzatore, ha largamente influenzato i loro lavori «che da cronache moralizzatrici sono diventati descrizioni pruriginose di costumi sessuali bizzarri, e rasentando a volte perfino i limiti dell’etno-pornografia”.
Si dovrebbe aggiungere a questo che questi ricercatori erano tutti “andro-fallocentrici ed etnocentrici” Niente di strano che i suddetti studi nella maggior parte, eccezion fatta per qualche raro caso come sarà dimostrato più avanti, non si siano interessati alle pratiche socio-sessuali dei “primitivi ” non potettero essere inscritti in una logica moralizzatrice o religiosamente accettabile.
L’omosessualità in tutta l’Africa sarà così, dal diciottesimo secolo, considerata come sconosciuta. Altri autori di quest’epoca arriveranno fino a situare l’Africa Sub Sahariana fuori dalla Zona Sotadica, che sembra essere la presunta zona indigena in cui si viveva l’omosessualità, lontano dal sud del Sahara in Africa (l’Africa magrebina che avrebbe influenzato ,tra le altre, la costa est dell’Africa, perché precisamente in questa zona, l’origine dell’omosessualità è attribuita da parte degli indigeni all’influenza arabo-mussulmana.)
Durante l’epoca della colonizzazione, certi altri autori sostenevano che i rari casi di «vizi sessuali » osservati in Africa erano dovuti all’influenza coloniale, come lo dimostra questa frase : “due vizi molto diffusi nelle società civilizzate: masturbazione e sodomia, erano completamente sconosciute (in Africa presso i Bantu ) prima dell’arrivo della « civilizzazione »”.
Non è più sfortunatamente così «Vale a dire che per questi autori, l’omosessualità appariva come «appartenente alle culture molto civilizzate e molto deviate dalla stessa civilizzazione dei bianchi», avendo trovato durante e dopo la colonizzazione «delle nature molto favorevoli sui terreni neri».
Forte di tutto questo, il fatto che un ricercatore osasse parlare di omosessualità in Africa, sopratutto attraverso la storia per farne una costruzione teorica, appariva come inimmaginabile o una iniziativa di primo acchito votata alla sconfitta: dove si potrà trovare in effetti la documentazione storica sull’omosessualità in Africa, percepita dai primi antropologi come un mito, cioè come un sistema di rappresentazioni comprendente le immagini, le leggende o i racconti costruiti ed elaborati in un certo momento dalla coscienza individuale o collettiva senza che se ne percepisse l’insieme di implicazioni che vi erano sottintese ?
Un tale tentativo difeso dai ricercatori può ugualmente apparire come l’espressione di una ideologia pro-occidentale che vorrebbe a tutti i costi che l’omosessualità sia generalizzata a tutte le organizzazioni della società.
Tuttavia, lungi da ogni polemica, seguiamo l’obbiettivo di questo articolo, dimostrando che l’omosessualità è stata sempre conosciuta e praticata in Africa. Lo facciamo con il fine di togliere il mito occidentale saggiamente elaborato di un’Africa che non avrebbe mai conosciuto l’omosessualità.
Questo sottintende che è necessaria una definizione più elaborata dell’omosessualità, concetto occidentale sviluppato in Occidente per designare una delle pratiche socio-sessuali che sembravano apparire esclusivamente in occidente.
Uno dei modi per verificare l’esistenza di questa realtà consiste nel vedere se il concetto ed i termini esistono nei linguaggi africani.
Vedremo che su questa questione, contrariamente alle idee tutte occidentali ricevute, le lingue africane arrivano perfino a designare i generi che hanno attinenza con quel tipo di pratica, e delle specificità che la sola concezione “omosessualità” non avrebbe mai potuto delineare.
Un tale ricorso al passato permette di restituire storicità socio-sessuale alle popolazioni africane per lungo tempo mitizzate dall’Occidente, e largamente ignorate dagli stessi africani.
Per fare ciò, conviene prima procedere ad una presentazione descrittiva di certe realtà omosessuali, e poi , siccome la sociologia non è solamente socio-grafia ma anche socio-analisi, è anche utile mettere in evidenza i non detti delle realtà socio-sessuali che saranno presentate.
Dopo questo ricorso alla storia , sarà inoltre sottolineato che dagli anni ’90, anni tra l’altro dell’ “emancipazione “ di molti Stati Africani al regime democratico di cui una delle principali fondamenta è la libertà (sociale dell’individuo nella sua possibilità di esprimersi; le scelte politiche e ideologiche; la religione, la sessualità ecc.), l’omosessualità come orientamento sessuale e le omosessualità come comportamenti dinamici nell’universo delle sessualità diventano più visibili in Africa.
La descrizione di questa realtà in più società africane e l’esame dei fattori soggiacenti di questa propensione all’omosessualità in Africa saranno messi in relazione tra loro.
Tutti questi movimenti, che costituiscono le principali enumerazioni di questo articolo, non avranno altro scopo che di sottolineare che l’omosessualità in Africa , che essa sia dovuta all’orientamento o solo una pratica , è una realtà (in terra africana).
In conclusione sembra che la preoccupazione principale di questo lavoro sarà quella di abolire il mito occidentale dell’assenza dell’omosessualità in Africa e, al tempo stesso, mettere in chiaro la tesi secondo la quale l’omosessualità appartiene a tutti i tempi e a tutte le culture, con dei gradi e dei significati differenti.
Detto in altro modo, è l’occasione di mettere in evidenza il fatto che il vissuto sessuale in gran parte delle società africane come dappertutto, si pone in una dinamica particolare avendo una logica razionale e relazionale che, spesso, è sua propria.
Il lettore potrà anche rendersi conto che le pratiche dell’omosessualità dei nostri giorni, non si inscrivono nel continuum delle pratiche dell’omosessualità nella storia delle società africane, trovando piuttosto la sua essenza ontologica nei fattori non bio-psicologici, ma socio-antropologici, fattori d’altronde all’origine di questo aumento nella società della “visibilità”.
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«Omosessualità » nella storia africana: socio-grafia e socio-analisi di una attività «di piacere»
Presentare l’omosessualità nella storia africana come una attività “fonte di piacere” può apparire di primo acchito provocatorio. Tuttavia significa sottolineare che, contrariamente a quello che è sempre sembrato impensabile, tutta l’attività sessuale in Africa, perfino attraverso la storia, ha sempre avuto questa dimensione relativa al piacere.
Non può che essere altrimenti, salvo in caso di frigidità o di infibulazione delle donne. Dato il fatto che molte società africane del passato, ed anche quelle attuali, hanno praticato l’infibulazione delle giovani donne, si potrà dire piuttosto che il piacere sarà provato soprattutto da parte degli uomini perché, dal punto di vista della società, non ci si aspettava che la donna lo manifestasse.
Quindi accanto all’obiettivo primario delle attività sessuali degli individui, che all’interno di quelle società era la riproduzione, il piacere inteso come soddisfazione o sovreccitazione delle terminazioni nervose, può essere considerato come secondo obiettivo.
In questo caso l’omosessualità, praticata occasionalmente o no, in quelle società può ugualmente essere considerata come una attività “fonte di piacere” per i partner.
Prima di entrare nel vivo del discorso, mi sia permesso apportare qualche chiarimento semantico ai concetti di “la omosessualità” e di “le omosessualità” che saranno attribuite al vissuto socio-sessuale storico degli Africani.
L’omosessualità o le omosessualità in Africa nel meandro semantico delle lingue africane
Si tratta di vedere, a partire dal vocabolario di certe lingue africane, se è possibile far uscir fuori i temi relativi all’omosessualità o alle omosessualità. Prima di arrivarci, è prima di tutto utile precisare quello che la concezione occidentale intende per omosessualità.
L’omosessualità è un concetto che trova la sua origine nella Grecia antica, e dove era normale che il maestro e l’allievo intrattenessero delle relazioni strette che potevano arrivare ad essere relazioni sessuali, affinché l’allievo potesse raggiungere la conoscenza.
Si trattava allora di una forma di pederastia ufficiale istituzionalizzata che aveva le sue regole che dovevano essere osservate dalle parti in causa. In maniera più precisa , si deve dire che la pederastia a quel livello associata all’omosessualità faceva parte della pedagogia (pédos=bambini ; agogein = accompagnare ; pédos agogein sarebbe il fatto di accompagnare i bambini verso il sapere filosofico in cui la relazione amorosa aveva un posto centrale.)
Una tale relazione non era concepibile tra adulti liberi, ma qualche volta poteva essere percepita tra un maestro ed il suo schiavo adulto o non adulto. In breve , questa forma di pederastia pedagogica aveva le sue leggi volte a garantire che l’efebo rimanesse libero da tutte le relazioni impure condannate in Grecia, cioè “ ogni relazione ridotta all’appetito sessuale e priva di ogni dimensione di affetto e d’amore.”
E’ la ragione per la quale si è pensato che: “la pederastia istituzionale ha quasi certamente origine in una pratica iniziatica che, nella civilizzazione greca classica, finisce , al clou della sua evoluzione, in una relazione pedagogica».
La pederastia istituzionale greca poteva essere apparentata ad un rito iniziatico privo di tutto il suo contenuto libidinoso e di godimento come invece non era nella Roma antica dove l’omosessualità era accettata con il solo scopo del piacere dell’uomo libero: manifestazione della sessualità virile attiva.
Si trattava in questo caso di una forma di omosessualità coinvolta nei rapporti tra le classi sociali dove il detentore del potere, il dominante poteva disporre sessualmente del più debole, il dominato (schiavo di guerra, ragazzo,…) quest’ultimo assumeva un ruolo passivo.
La sodomia a questo livello di relazioni di posizione e di potere era di rigore, tutte le altre forme di sessualità come per esempio il coito tra le cosce o il coito orale erano visti come “contro natura”.
E’ la forma romana di omosessualità, così come è stata strutturata e poi destrutturata seguendo il filo dei tempi fino dalla decadenza dell’impero romano, che è servita come modello concettuale in Occidente. In effetti il declino dell’impero romano nella storia ha stabilito ,tra le altre cose, la supremazia della dottrina giudeo-cristiana che ha contribuito a stigmatizzare l’omosessualità, considerata come una inversione e una perversione sessuale.
E’ nel diciannovesimo secolo che Karoly Maria Benkert ha creato il neologismo “omosessualità”, che si imporrà solo a partire dal ventesimo secolo.
L’omosessualità ai nostri giorni ha molte accezioni: si parla di omosessualità identitaria; di pseudo omosessualità o ancora di omosessualità di situazione.
L’omosessualità identitaria designa l’orientamento sessuale in un individuo avente una attrazione esplicita o no per le persone del proprio sesso e che, dopo una serie di tappe psico-sociologiche arriva al riconoscimento ed all’accettazione della propria identità come omosessuale.
Questo riconoscimento farà sì che molti individui si integreranno progressivamente, in modo attivo oppure no, in una comunità omosessuale, quando essa esiste. Tuttavia questa integrazione non è sistematica.
La pseudo omosessualità, per quel che la riguarda, designa una forma di omosessualità basata esclusivamente sull’attività sessuale, e che imita il più delle volte i rapporti eterosessuali. A questo livello il tipo di sessualità passa dall’essere un fine all’essere un mezzo.
L’omosessualità di situazione può anch’essa essere legata a questa forma di sessualità. Un tale orientamento sessuale viene abbandonato quando l’individuo cambia ambiente . Questa forma di omosessualità circostanziata si trova il più delle volte all’interno delle prigioni, nei collegi o durante alcune cerimonie iniziatiche .
Via via che l’esposizione andrà avanti, se sarà necessario, ogni volta si preciserà di quale omosessualità si sta parlando. Per le omosessualità , si deve intendere l’insieme delle pratiche che si collocano al di fuori di quella ortodossa pene-vaginale, che è possibile trovare sia in individui che hanno un orientamento eterosessuale che in individui che hanno un orientamento omosessuale (identitario o no).
Il concetto di “le omosessualità” si rifà in parte alla nozione spagnola nota con il termine di “entendido” (in italiano “provare nuove esperienze”),
L’ “entendido” non dovrebbe essere confuso con la pseudo omosessualità, perché interviene il fattore ‘libero arbitrio’, cosa che non si incontra spesso nelle prigioni , per esempio, dove è soprattutto questione di violenza omosessuale piuttosto che di “entienden”.
L’ “entendido” spagnolo costituisce pertanto un elemento del concetto di “ le omosessualità” secondo la nostra analisi.
In effetti le omosessualità integrano anche le pratiche degli individui eterosessuali che nel campo della sessualità non possono rientrare nell’ortodossia di una relazione strettamente pene-vagina, ma in una dinamica di pratiche sessuali un tempo considerate fuori norma.
E’ la ragione per la quale questo concetto viene fatto rientrare in questo studio (si focalizza ) esclusivamente per via della prassi sessuale differenziata rispetto a quello che la norma contempla, prassi messa in atto come alternativa a questa norma.
A partire da questa precisazione semantica sarà dunque necessario ritirare fuori i temi relativi all’omosessualità, la pseudo-omosessualità o alle omosessualità in certe lingue africane. Si dovrà prima di tutto precisare che non tutte le lingue africane hanno dei concetti relativi alle realtà precedentemente prese in considerazione.
Tuttavia, alcune società in Africa comunicano con l’aiuto delle lingue ed è possibile osservare come questo vuoto concettuale e linguistico è stato colmato. E’ così, per esempio, in Angola nel gruppo etnico chiamato Quimbandas la sodomia era frequente tra gli uomini, e gli uomini che avevano i loro rapporti sessuali con gli individui dello stesso sesso erano chiamati con vocabolo: quimbandas.
La specificità di questo gruppo etnico era che avevano questi rapporti sessuali vestiti da donne. Inoltre una delle figure più importanti tra di loro era il Ganga-ya-Chibanda, o il grande prete, il sovrintendente ai sacrifici rituali che si vestiva come una donna , anche al di fuori degli uffici religiosi. Segnava un punto d’onore a quello che si chiama: “la grande madre”.
Vista la sua posizione sociale, tutto quello che poteva essere considerato come un errore di condotta da parte sua era tollerato dal gruppo.
Presso i Wawihé, che vivevano nell’altopiano del Bangalla (sempre in Angola), l’omosessualità si confondeva con la bisessualità e veniva chiamata omututa che significa precisamente l’essere attivo o l’essere passivo nella pratica del sesso anale (paedicatio).
La masturbazione reciproca era molto diffusa presso quelli che avevano dei rapporti sessuali, con le persone dell’altro sesso, come anche presso quelli che ne avevano con individui dello stesso sesso e venivano chiamati, e continuano ad esserlo, con il termine okulikoweka, letteralmente un termine che rimanda ai rapporti sessuali maschio con maschio o femmina con femmina.
Il coito interfemorale era anche frequente e conosciuto con il termine otjizenja. Questo termine si riferisce ugualmente al coito interfemorale in un rapporto eterosessuale.
La masturbazione solitaria o okukoweka era vista socialmente con molto disprezzo. In una relazione omosessuale continuativa tra due partner, i due innamorati erano conosciuti con il nome di eponji (aponji ne è il singolare, quindi l’innamorato di un uomo, che è diverso da mukuetu, che dà il nome piuttosto al cameratismo o ad un amico con il quale non c’è una relazione sessuale).
Nella regione a est dei Wawihé, gli eponji sono denominati tra gli Ovigangellas ( o Gangellas o ancora Ovagandjera ): m’uzonj’ame. L’espressione Katumua k’ame traduce ugualmente la stessa realtà e significa parola per parola «mia figlia » e per traslato la «mia amante ».
Il coito tra le cosce era tradotto con m’ahanda e lo è ancora, fino ai giorni nostri, presso i Wawihé . La digitatio o kuzunda è un tipo di masturbazione reciproca in cui i glande dei peni si strofinano gli uni agli altri.
Al livello del kirundi, che è la lingua parlata in Burundi, certi autori hanno trovato cinque parole per designare l’omosessualità. Si tratta di : kuswerana nk’imbwa (fare l’amore come dei cani); kwitomba (farsi l’amore); kunonoka (letteralmente, essere morbido); kuranana inuma (parola d’origine swahili e scritta male in kirundi. All’inizio si scrive: kuralana (nyuma e vuol dire, far l’amore in maniera anale); ku’nyo.
A Zanzibar nella zona della Tanzania , la penetrazione anale passiva viene chiamata kufira. Kufirwa traduce il fatto di essere penetrati nell’ano. Le pratiche lesbiche a Zanzibar sono tradotte sia da kulambana che viene da kulamba che vuol dire leccare, è leccarsi a vicenda designava per deduzione il cunnilingus; si usa anche l’espressione: kujitia mboo wa mpingo, introdursi un pene in legno d’ebano.
Questa pratica lesbica era diffusa in quasi tutte le società africane in cui le relazioni sessuali tra le donne potevano essere trovate, come presso le donne Haoussa del Nord della Nigeria. Quando si strofinano le parti sessuali, nello Zanzibar, allora si parla di kusagana.
In kiswahili, gli omosessuali dei due sessi sono chiamati : mke-si mume cioè letteralmente “la donna non uomo”.
Si tratta più precisamente di omosessuali che adottano il comportamento passivo nelle pratiche sessuali. Esiste anche un altro termine mzebe derivato dall’arabo khanith o hanisi che letteralmente qualifica una persona impotente o impotente sessualmente , ma che traduce sempre l’omosessualità.
Presso gli Haoussa del nord della Nigeria, l’omosessualità maschile viene designata come dan kashili. Tuttavia esiste un’istituzione molto più conosciuta chiamata dan daudu (plurale Yan daudu) cioè letteralmente le figlie di Daudu .
Il daudu si riferisce alla pratica degli uomini che agiscono come donne e che vanno a letto con gli uomini. Servono allo stesso modo come agenti delle prostitute: kawalai, sorta di ruffiani o di agenti intermediari.
Culturalmente questa pratica è considerata in termini di genere, piuttosto che in termini di comportamento sessuale, poiché gli uomini che hanno relazioni sessuali con gli uomini sono detti masu harka cioè “ quelli che fanno la cosa o l’affare”.
La sua abbreviazione è masu yi , “quelli che lo fanno!(la cosa)”. Quando gli Yan daudu si incontrano si chiamano k’awaye (compagne). Quando hanno rapporti sessuali nello stesso gruppo, lo chiamano kifi, cioè lesbismo, se i partner sono uomini fenotipicamente parlando.
Questa espressione si riferisce soprattutto agli uomini socialmente uguali che hanno rapporti sessuali tra di loro.
Si tratta dunque della designazione di un modello di rapporto sessuale intragenerazionale, a causa dello stesso ruolo sociale dei diretti implicati, anche se a partire da una prima osservazione, in funzione della differenza di età degli interessati, si sarebbe tentati di parlare di un modello transgenerazionale. K’wazo indica il partner attivo e baja il partner passivo in questo genere di rapporto sessuale.
Nella costa Est dell’Africa, in generale si parla il kiswahili, con delle leggere varianti. Così , i termini relativi all’omosessualità saranno shoga (letteralmente, amico ragazzo-ragazzo) nella variante kiswahili di Monbassa è chiamato il passivo in maniera più precisa; kanith o hanisi nel linguaggio parlato a Zanzibar; m(i)senge nei dialetti swahili della Tanzania.
Tutti questi termini al plurale prendono il suffisso “ma”: si dirà allora : mashoga, makhanith, mahanisi. Il partner attivo dello shoga è il basha (mabasha) o haji (mahaji).
Più precisamente, il basha è il “mwanaume anamwingila mwenzake”, l’uomo che entra nei suoi partners/nei suoi amici, per cui l’haji è il «mwanaume rasmi rijali» cioè il vero uomo, l’uomo potente.
Nel Camerun presso i Bafia (Fia), il fatto che gli adolescenti penetrassero analmente i più giovani, o
fossero legati da una relazione anale reciproca, era tradotto con l’espressione ji’gele keton.
E’ stato scoperto presso i Luba, un gruppo del Congo (antico Zaire) nella provincia del Kasai orientale, che esisteva un altro ruolo di genere al di fuori del ruolo maschile e femminile conosciuto sotto il nome kitesha (bitesha plurale). Questi non amano lavorare, non gli piace stare con gli altri uomini, si comportano come le donne, si vestono con vestiti femminili.
Nella zona del Sud Africa l’omosessualità non era una cosa inusuale. E’ così che l’omosessualità degli Ovambos, un gruppo degli Ottentotti, era proverbiale.
Gli uomini effeminati che subivano le relazioni sessuali anali passive erano gli ovashengi (singolare eshengi).
Presso gli Hereros o Ovahereros, l’innamorato (omosessuale) era chiamato con il termine epanga e un’amicizia erotica è chiamata oupanga (con pratiche omosessuali o lesbiche).
La pederastia maschile con penetrazione anale era tradotta con l’espressione okutunduka vanena , letteralmente «montare i ragazzi», come si montano i tori.
La masturbazione solitaria è chiamata okurikuatisa, okuripikapikisa e okutirahi. L’onanismo vicendevole si traduce con okutjanda omuzu, okukara omuzu, okurareka ‘mukuao, sia per rapporti sessuali tra maschi che per rapporti sessuali tra femmine.
Quando un Ottentotto voleva avere relazioni omosessuale con un altro individuo, gli presentava un bicchiere pieno d’acqua dicendogli “Sore-gamsa are !” cioè :” bevi ancora dell’acqua del dolore o dell’irritazione”; o “Sore –gamsa ure!”, “prendi ancora dell’acqua del dolore”.
Se l’altro prendeva il bicchiere d’acqua, era il segno della sua accettazione dell’atto sessuale che sarebbe venuto dopo.
Presso i Kaffirs , membri del gruppo Ngoni ancora chiamato Xhosa, l’onanismo solitario è chiamato gui-guisen, cioè letteralmente rendere il proprio corpo (pene) duro. La masturbazione reciproca è chiamata oa-/huru o /huru. Il lesbismo viene chiamato con il termine /goe –ugu.
A conclusione di questa presentazione , si nota che in certe lingue in Africa i termini o le espressioni relative ai rapporti sessuali tra gli individui dello stesso sesso sono conosciuti.
Il più delle volte designano i comportamenti sessuali con precisione: kufira (kiswahili), shoga (kiswahili), ji’gele keton?( lingua bafia del Cameroun), eshengi (ovambos), hanisi (kiswahili del Zanzibar), okutunduka vanena (hereros), designavano la penetrazione anale nel senso passivo o anche gli individui che accettavano una tale relazione; per cui basha, haji (variante kiswahili di Monbassa), per esempio, traducevano la penetrazione anale attiva o indicavano gli individui che hanno questo ruolo nella relazione (omo)sessuale.
A questo livello , non può certo esserci la questione di una qualunque affermazione dell’omosessualità identitaria, con precisione di ruoli (attivo/passivo), poiché le lingue non hanno designato le classi sociali e le classi d’età delle parti in gioco.
Si tratta allora di individui dello stesso sesso e della stessa classe sociale? Il rapporto sessuale apparirà allora intergenerazionale? Si tratta piuttosto di rapporti sessuali tra giovani e vecchi, socialmente parlando; i rapporti sessuali sono presentati come trans-generazionali? Si tratta al contrario di iniziazione?
Niente di tutto questo viene specificato nelle lingue che sono state presentate, e una conclusione affrettata condurrebbe ad un rischio elevato di interpretare gli atti di pederastia come se fossero dei rapporti omosessuali identitari, e non è certo il caso.
Le masturbazioni solitarie sono chiamate okukoweka (wawihé in Angola), gûi-gûisen (xhosa), okurikuatisa (herero), okuripikapikisa, okutirahî, sia quelle apprezzate, che quelle socialmente disprezzate.
Tuttavia , i termini relativi alla masturbazione reciproca sono più descrittivi: è il caso per esempio di kuzunda (wawihé) che precisa il fatto che in questa palpazione sessuale, sono i glandi che si strofinano gli uni contro gli altri ; o ancora il termine kusagana (kiswahili di Zanzibar) che traduce il fatto per le femmine di strofinare le parti intime l’una contro l’altra. Le pratiche come il lesbismo o il cunnilingus sono ugualmente note /goe-ugu (xhosa), kulambana.
In generale , i rapporti sessuali tra gli individui (donne o uomini) dello stesso sesso hanno un nome generico al di fuori delle pratiche specifiche, all’interno dei sopradetti rapporti.
Questa realtà è anche definita in certe lingue locali col termine : dan kashili (haoussa), masu harka, mke-si-mume (kiswahili), kuswerana nk’imbwa, kunonoka (kirundi), quimbandas.
Il ruolo sessuale ambivalente sia che sia il ruolo attivo che quello passivo insieme o a turno è anche noto, è allora designato in altre lingue omututa (wawihé). Le relazioni interfemorali non sono da meno, otjizenja (wawihé).
Tuttavia , tutto questo non permette mai di stabilire un legame tra questi termini e l’omosessualità identitaria. In una certa misura , sembra piuttosto che siano “le omosessualità” ad essere definite in modo particolareggiato, più precisamente.
In effetti, i linguaggi traducono solo gli atti con precisione, ma non dicono se ne segue una logica identitaria per chi li mette in pratica.
Anche quando si tratta di una amicizia erotica tra persone dello stesso sesso: aponji, m’uzonj’ame, katumua k’ame, oupanga, non è precisato se c’è un coinvolgimento identitario a questo livello.
L’istituzione dan daudu o i comportamenti rituali di un officiante vestito da donna, Ganga-ya-chibanda, non si possono inserire in una logica di un orientamento omosessuale identitario.
Sono culturalmente compresi nel termine di genere (“ ruolo transgender”) , percepito al di fuori di quelli abitualmente conosciuti: mascolino o femminile. A questo livello le lingue non dicono con precisione come sono percepiti tali individui.
E’ perciò che, a livello di questa analisi , si può provvisoriamente avanzare l’idea che le lingue africane, almeno alcune tra di loro, descrivono con precisione le omosessualità, al punto di distinguere i ruoli, di sottolineare quelli che sono ambivalenti o ancora di istituire delle nuove categorie di genere.
Una cosa è certa , le pratiche sessuali che sono specificate a questo livello, esistono davvero nella realtà sociale , quindi non si tratta di una leggenda.
Se queste pratiche sessuali tra persone dello stesso sesso vengono chiamate con un termine preciso, è perché esse esistono “ sotto forma di categoria di percezione, di principi di visione e di divisione” socio sessuale in questi gruppi.
I termini relativi all’omosessualità non possono ancora venir fuori qui, perché il contesto della corrispondenza delle radici lessicali non è precisato. Succede allo stesso modo, per le stesse ragioni, alla nozione di pseudo-omosessualità.
Le omosessualità sono percepite in maniera generale dentro a questi codici linguistici, ma ancora una volta senza il riferimento al contesto sociale , la conclusione di “entendido”spagnolo rimane anche essa, tutto sommato, azzardata.
E’ per questo che sembra necessario descrivere le pratiche (omo)sessuali nei gruppi sociali africani dove sono esistite, presentando i diversi testi che si ritrovano su questo argomento, tenendo sempre conto del contesto e del significato/senso.
E’ dunque questa presentazione , messa in stretto legame con le espressioni dei linguaggi locali, quando esistono, permetterà di specificare queste nozioni di omosessualità, delle omosessualità o delle pseudo-omosessualità.
Vedremo che in certi gruppi, le pratiche (omo)sessuali possono esistere senza che siano definite con un termine preciso. E’ per questo che sarà utile indicare , in seguito, eventuali riferimenti a cui si viene rimandati.
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«Omosessualità» in Africa: costruzione storica
L’omosessualità nella storia dell’Africa è spesso percepita attraverso diversi modelli che includono sia le classi d’età, che i riti di iniziazione, che la compensazione della presenza femminile o maschile. Cioè ogni costruzione dell’omosessualità nella storia dell’Africa, deve necessariamente fare appello all’universo dei riferimenti simbolici.
Essi dunque danno significato alle varie pratiche sessuali, e permettono di specificare, di chiarire le nozioni relative alle suddette pratiche in funzione del contesto di apprezzamento.
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Pratiche omosessuali lungo le classi d’età : i giochi erotici da parte dei giovani
Molte società africane riconoscevano le tappe di sviluppo individuali, sviluppo al quale erano collegate certe proibizioni e certe attività socio-sessuali permesse. Così , i bambini non erano sovente considerati come consapevoli , dunque in grado di assicurare una attività sessuale efficace. Erano molto semplicemente guardati come socialmente asessuati, non veniva loro attribuito nessun ruolo relativo al genere.
Presso i Bafia del Camerun per esempio,i giovani che non avevano ancora delle relazioni sessuali con le ragazze appartenevano alla prima tappa socialmente riconosciuta di crescita individuale ( i Bafia considerano tre tappe principali di crescita), il termine che li definisce è: Kiembe.
E’ a partire da questa prima tappa che cominciavano ad innescarsi le relazioni omosessuali tra i ragazzi durante i giochi.
In effetti, le piccole fanciulle erano molto controllate e la loro verginità gelosamente protetta. Si occupavano dunque delle faccende domestiche con il gruppo delle donne, mentre i ragazzi potevano giocare insieme.
Questa prima tappa comprendeva gli individui dai sei fino ai quindici anni. I ragazzi di questa classe sociale, dormivano insieme, giocavano insieme e i più grandi penetravano a volte analmente i più giovani come dimostrano alcuni autori: “La prima tappa sembra includere la promiscuità comune tra i giovani, che può essere osservata tra le altre tribù nere, tutto guardato dagli adulti come un gioco infantile.
Questa promiscuità prevalente consiste in relazioni strette tra ragazzi e ragazze e tra ragazzi e ragazzi (…) Il ruolo passivo è giocato dai ragazzi Bafia di cinque o sei anni con i loro fratelli maggiori.”
Le prime esperienze omosessuali si fanno fra ragazzi, a volte nati nella stessa famiglia, cosa che ha l’obbiettivo di aumentare la fiducia tra i due partner. Le ragazze non subiscono queste influenze sessuali, perché sono più strettamente sorvegliate. In effetti , allo stesso tempo, è rigorosamente vietato alle ragazze di avere relazioni sessuali con il sesso opposto.
E’ la ragione per la quale l’omosessualità era molto più diffusa tra i giovani, i ragazzi fra di loro e le ragazze fra di loro. Queste pratiche venivano fatte in segreto , in assenza di adulti: era per esempio il caso era presso i Wahiwé.
Tuttavia il segreto non era sempre di rigore , come presso i Gangellas in Angola, dove le relazioni amorose tra persone dello stesso sesso erano istituzionalizzate con una precisa definizione: aponji.
Anche tra i Gangellas, un ragazzo circonciso e non sposato , di circa diciotto anni , poteva decidere di vivere con un altro di dodici anni che gli piaceva, andando a trovare i suoi parenti e facendo la richiesta ufficiale di vivere con lui come katumua.
Dava allora ai genitori come regalo una mucca, degli abiti o del denaro. Se i genitori accettavano, i due erano socialmente riconosciuti come ‘conviventi’.
Più tardi il matrimonio del più grande non avrebbe cambiato letteralmente nulla nella relazione, perché poteva alternativamente avere rapporti sessuali con la moglie e con il suo Katumua, finché il più giovane fosse diventato grande e avesse desiderato sposarsi anche lui. Sembra che il gioco poteva qualche volta essere istituzionalizzato ed obbedire a certe regole.
Tutto questo era visto con indulgenza dagli adulti, poiché secondo loro, si trattava di giochi passeggeri che si supponeva sarebbero cessati all’età adulta delle due parti.
Tuttavia, è stato constatato che certi adulti continuavano ad avere delle relazioni con dei ragazzi , senza che questo fosse condannato: «giocavano» dicevano allora («bia bo pfianga» era la scusa che ritornava tra i pangwé e la società diceva di tali persone che avevano ancora il cuore per i bambini, nell’attrazione: ”a bele nuem e bongo”).
Una tale constatazione era tollerata, ma non resa pubblica, perché parlarne pubblicamente in certe regioni era considerato come disgustoso, o visto come stregoneria.
In effetti , quando i giovani uomini avevano circa venticinque anni, o quando cominciavano a sposarsi, ci si aspettava che le pratiche omosessuali finissero, perché nell’età adulta l’omosessualità era percepita come irrazionale e non poteva apparire che come un segno di stregoneria.
Tuttavia, i rapporti clandestini occasionali tra adulti e giovani suggeriscono che il passaggio da una classe all’altra non avveniva sempre con successo.
Questa situazione di adulti che continuavano a intrattenere relazioni sessuali con i giovani segna il fallimento della transizione che ci si aspetta anche tra il passaggio dell’individuo della classe d’età dei celibi a quella degli adulti sposati e che costituivano i pilastri della società
Risulta a questo punto che le prime relazioni omosessuali cominciano in certe società africane, fin dalla prima tappa della crescita sociale dell’individuo attraverso i giochi erotici. I ragazzi “giocando” tra di loro, le ragazze anche, per colpa della separazione dei sessi.
Era quindi una sessualità inter-genere ed inter-generazionale. Una propensione speciale alle relazioni omosessuali tra i giovani non sposati era frequente. L’omosessualità era spesso permissiva e qualche volta perfino appariva come obbligatoria all’interno dei giochi erotici. L’omosessualità a questo stadio era , se non accettata , almeno tollerata.
«L’omosessualità» nei riti iniziatici
In certi riti iniziatici in Africa, apparivano a volte delle pratiche omosessuali. Questi riti potevano servire a ufficializzare il cambiamento di livello della vita sessuale degli individui (per esempio il rito che segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta presso i Beti del Camerun chiamati « SO»), o anche a iniziare gli individui all’arte della guerra ( i Siwans in Libia) o ancora rinforzare la coesione sociale di un gruppo.
In effetti, presso i Siwans nel deserto libico, la pederastia fu il più delle volte riconosciuta per dei fini iniziatici.
Nel Camerun , i “Mevungu” presso i Beti e la “Ko’o”(la lumaca) presso i Bassa c’erano dei riti che comprendevano delle carezze tra donne che avevano un carattere altamente omosessuale. Presso i suoi adepti, i Mevungu erano presentati come la «celebrazione del clitoride e la potenza femminile ».
Questo rito esclusivamente femminile “prevedeva delle danze che, a volte avrebbero mimato il coito e nelle quali le iniziate in menopausa avrebbero avuto il ruolo maschile”.
Presso i Kivai, la pratica rituale della sodomia era normale ed era socialmente interpretata come un modo per rendere i giovani più vigorosi. Nel Nord-ovest della Zambia, il rito Mukanda o il rito della circoncisione dei ragazzi, era particolare.
Gli iniziati mimavano spesso la copulazione servendosi del pene dell’iniziatore più vecchio. Quest’atto era considerato come a rendere il sesso dell’iniziando più forte, alla maniera di quello dell’iniziatore.
In altri gruppi Bantu vicini (Luvale/Balovale ; Chokwe ; Luchazi ; Lucho et Lunda), i ragazzi rimanevano nudi durante tutta la prima fase dell’iniziazione in cui recuperavano la salute dopo la circoncisione.
Durante questo periodo di cicatrizzazione post-circoncisione, si occupavano giocando con i peni dei guardiani dei luoghi iniziatici : i vilombola o con quelli dei loro assistenti i tulombolachika.
Questo era considerato come se accelerasse la cicatrizzazione e pertanto la guarigione, e gli iniziandi o novizi speravano anche che facendolo, i loro stessi peni, sarebbero aumentati. Tutti i visitatori dei luoghi iniziatici “subivano” lo stesso trattamento.
Altrove, presso i Bantu che parlano il Fang nel Gabon, nel Camerun o nella Guinea Equatoriale per esempio (il gruppo Pahouin), le relazioni omosessuali erano percepite come la medicina per diventare ricchi. Questa ricchezza era trasmessa dal partner passivo, il penetrato, verso il partner attivo, il penetrante, in una relazione pene-anale.
Presso i Chagga del Kilimandjaro, dove i giovani erano considerati come adulti dopo una cerimonia iniziatica, i giovani , dopo la loro cicatrizzazione post-circoncisione, dovevano ancora passare attraverso un altro rito, quello della sutura dell’ano nella foresta.
La spiegazione che ne veniva fuori era che:”Il giovane uomo iniziato deve astenersi da tutte le pratiche omosessuali (…) Una volta che un uomo può generare dei bambini, anche lui corre il rischio, in caso di pratiche sessuali anali, di farsi fecondare o di fecondare un altro uomo (…) Questo ha come conseguenza la morte, poiché l’uomo è “chiuso” e non ha un canale per il parto.”
Infatti questo rito si inscrive nella logica di una paura sociale che un uomo in età di procreare, differente dal piccolo ragazzo, possa essere « incinto » o possa fecondare un altro, situazione che avrebbe portato alla morte.
E’ una delle ragioni per le quali l’omosessualità tra adulti era mal vista,veramente temuta, come per esempio succedeva in Rhodésia del Nord. Sembra dunque che : “E’ in senso figurato che l’ano dell’iniziato è chiuso. E’ chiuso per gli altri uomini. Non può mai bere in compagnia di altri uomini che non sono stati iniziati per la paura di essere ubriaco, di subire delle pratiche anali e quindi di farsi ingravidare”.
Per esser padre, si doveva avere il coito con le donne e ci si doveva astenere dall’averne con degli uomini, almeno tra adulti. Nel Togo, le donne che non volevano dei mariti che erano stati loro attribuiti secondo le convenzioni sociali, erano obbligate a subire il rito di iniziazione kpankpankwondi. Era il caso presso le ragazze Moda, nel nord del Togo. Tuttavia gli analisti non hanno specificato in profondità di che cosa si tratti. Tutto quello che si sa è che si tratta di un rito riservato alle femmine ribelli.
Da tutti questi riti che sono stati brevemente presentati, se ne deduce che sono per la maggior parte dei casi relativi ad un modello antico, sopratutto i riti maschili.
Nel modello antico, l’omosessualità è il mezzo per la trasmissione del folklore contenuto nella percezione sociale del genere maschile, e costituisce il secondo livello della parentela che viene dopo la relazione madre-bambino. Questo antico modello era largamente diffuso nelle società in cui i giovani avevano relazioni sessuali con gli uomini e crescevano con l’obbiettivo di avere sia le loro donne che qualche innamorato di sesso maschile.
Cioè questi riti maschili apparivano come una specie di riproduzione sociale della cultura maschile e dell’ideale mascolino, lontano dai focolari materni. E’ per questo che queste iniziazioni “non sono soltanto simboliche ma introducono realmente il ragazzo nella società”.
I giochi degli iniziandi con i peni dei loro guardiani apparivano come una specie di trasmissione di certe facoltà come la forza o il potere. In effetti , la grandezza del sesso a questo livello ,- quello dell’iniziatore in confronto a quello dell’ iniziando-, può essere percepita come un segno di forza , di estrema virilità.
Allo stesso modo per i rapporti anali che si supponeva rendessero i giovani più vigorosi, o ancora presso i Fang dove la relazione anale era ritenuta rendesse ricchi. Tutto questo , restando dei mezzi simbolici della diffusione del potere attraverso il fluido seminale. Così,”lo sperma , trasmesso nella bocca o nell’ano, rappresenta la via simbolica della diffusione del potere” .
La sodomia o la relazione pene-anale diventano la via per “conoscere e (…) appropriarsi dei segreti del maestro” per i neofiti; lo stesso per il fatto di giocare con il sesso dell’iniziatore.
Per cui la comprensione di tutti questi riti, sopratutto i riti maschili, richiede la comprensione del significato simbolico che essi richiamano.
In effetti , i riti “si richiamano sempre ai simboli: ogni rito possiede un senso simbolico in tutti i suoi elementi costruttivi, senso che solo gli « iniziati » sono capaci di interpretare ». Tuttavia , si dovrebbe notare che i riti hanno anche una valenza plurisemeiologica.
In effetti, uno sguardo sul rito femminile «Mevungu » o il « Ko’o », fa capire che si trattava di un rito che celebra il clitoride, rito in cui le donne lo ammirano e vi si strusciano contro, arrivando fino a solleticarlo, massaggiarlo, nutrirlo con una poltiglia e stiracchiarlo fino alla lunghezza di un membro virile. Un tale rito nelle rappresentazione è associato alla caccia, essendo la fecondità delle donne connessa con la fecondità della savana.
In effetti si praticavano quando il villaggio diventava “duro”, cioè , quando la selvaggina si faceva rara, o quando il raccolto era stato cattivo. E’ per questo il «Mevungu » era affidato alle mani di donne feconde e mature, ritenute essere efficaci alle istanze ancestrali invocate.
E’ la ragione per la quale l’omosessualità non vi appare come argomento: “Tutt ’al più si tratta di una masturbazione rituale di iniziate , del tutto artificiale ed eccezionale per l’ethos beti,
pratica magica-religiosa paragonabile ad un piano di emergenza, che cerca di mobilizzare le potenze della natura e della stregoneria per ottenere quello che le pratiche ordinarie non bastano più a dare: la fecondità, fine ultimo , al quale tutti questi tentativi restano indirizzati”.
Altrimenti detto, il « Mevungu » si inscriveva nel disegno di una influenza magico-religiosa, per la protezione e la sopravvivenza del gruppo, l’eliminazione dei malefizi, la fertilità, simbolizzata dall’accesso ad una sorgente vitale, vale a dire l’elemento nutrizionale, quando questo si fa raro.
Un altro fatto qui da rilevare , è che tutti questi riti eccezionali obbedivano a una trilogia spazio-temporale. La prima , relativa al simbolismo che circonda questi riti, è stata appena sottolineata. La seconda quanto a lei, era dipendente dalla designazione geografica, spaziale del luogo di iniziazione che poteva essere fisso o mobile, con la particolarità che questa si faceva sempre lontano dallo sguardo dei non iniziati cioè di donne e giovani bambini.
E’ così che il “Mevungu” si praticava in una capanna lontana dagli sguardi; mentre il rito di sutura dell’ano presso i Chagga si faceva nella foresta. Allo stesso modo per tutte le circoncisioni maschili. Questo si spiega con la nozione di «segreto » che stava attorno al rito iniziatico : il segreto relativo al rito in se stesso, ma anche allo spazio riservato al rito.
Questo “segreto” non è condiviso che con un piccolo numero di persone veramente sicure, con le quali si è in relazione, vale a dire i membri della società iniziatica. Il segno distintivo di questa caratteristica umana sarà allora riflesso nell’organizzazione delle società iniziatiche, che , anch’esse, obbediscono a questa legge del segreto, tanto a livello del loro luogo di incontro, che della rivelazione di quello che esse fanno nel corso dell’iniziazione.
Per finire il terzo elemento della trilogia di queste pratiche rituali, consiste nella temporalità. In effetti, si è appena sottolineato che l’interpretazione di questi riti socio-sessuali passa attraverso l’interpretazione dei simboli. Queste iniziazioni o questi riti per la maggior parte potevano essere percepiti come un mezzo di trasmettere agli iniziati una ricchezza sociale.
In seguito è stato dimostrato che questi riti non si praticavano se non in un luogo socialmente determinato, che in funzione delle società poteva essere fisso o mobile. Ed è grazie a questi due elementi che si impone anche il terzo, vale a dire il periodo del rito o dell’iniziazione.
E’ il corollario dei primi due. Queste pratiche socio-sessuali erano mobili e flessibili in funzione delle società. Potevano essere modificate secondo i periodi storici o anche le specificità culturali, geografiche o climatiche.
Al di fuori di questo periodo socialmente determinato, tutte le pratiche omosessuali potevano essere considerate , lo si è visto, stregoneria o pratica irrazionale.
Sembra al termine di questo sviluppo che le pratiche che erano designate come omosessuali debbano avere un’altra interpretazione, considerando i simboli che erano loro associati.
Tuttavia appare anche che queste pratiche sessuali abbiano un carattere omosessuale senza investimento di una identità omosessuale. Per questo a questo livello la tesi dell’ « entendido » spagnolo appare più convincente, e quella dell’omosessualità identitaria comincia ad essere esclusa.
Non essendo ancora finita la presentazione non si può ancora arrivare ad una conclusione. Così il mito dell’assenza dell’omosessualità lungo la storia in Africa è poco per volta rimesso in questione .
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«Omosessualità» in assenza di uomini e/o di donne
Nel Dahomey, l’attuale Benin, i bambini di pochi anni, senza che ci fossero separazioni in base al sesso, avevano l’abitudine di giocare insieme, fino all’adolescenza momento in cui venivano separati. Così i ragazzi, non avendo più l’opportunità di avere la compagnia delle ragazze e di giocare con loro a dei giochi erotici, trovavano la soddisfazione sessuale nella loro compagnia reciproca.
Un ragazzo poteva allora prendere un altro come sua « femmina ». Ciò era chiamato con il termine gaglo cioè omosessualità, e poteva durare tutta la vita intera.
E’ lo stesso stato delle cose che è stato scoperto tra i giovani presso i Bafia del Camerun e che si traduceva con “a ji’gele keton?” , letteralmente “egli/ella ama le natiche” e per estensione indicava il coito anale. In questo caso tipico è questione di una omosessualità basata sul modello dell’età in cui uno dei partner è un po’ più vecchio dell’altro ed è quello che è più vecchio che più spesso ha il ruolo attivo.
E’ vero che dei casi eccezionali di giovani che giocavano il ruolo attivo sui più vecchi sono stati ugualmente segnalati, specialmente tra i Nkundò del Congo.
Presso gli Azande del Sud –Ovest del Sudan, l’omosessualità delle donne o lesbismo era praticato nelle case dei poligami, c’era anche la stessa cosa per le donne Nkundò della Repubblica Democratica del Congo.
Tra le donne Azande la relazione sessuale tra di loro avveniva con l’aiuto di godemichés (verghe) tagliate nelle patate dolci, pezzi di manioca o con l’aiuto di banane, mentre presso le donne di Zanzibar la soddisfazione sessuale avveniva attraverso il lesbismo, kusagana o cunnilingus, kulambana per mezzo dell’inserimento di un pene in legno d’ebano, kijitia mbo ya mpingo.
Questa pratica è stata anche ritrovata presso le donne Wahiwé, che lo facevano in assenza degli uomini, oltre a masturbazioni reciproche, kuzunda. Questo termine è anche usato per la masturbazione tra gli uomini.
Si deve notare che il lesbismo non era del tutto accettato dagli uomini in queste società, che vedevano in ciò una pratica pericolosa. E’ la ragione per la quale le donne mantenevano segrete le loro attività omosessuali.
Le donne Nkundó uscite da matrimoni poligamici affermavano che non erano totalmente soddisfatte dai loro partner maschi e da questo fatto traeva origine l’attività lesbica che era anche praticata tra spose-compagne.
Presso le donne Herero dove la tribadia era di norma, e le relazioni omosessuali chiamate con lo stesso nome di quelle degli uomini, epanga, omukuetu, oupanga, le giovani donne sposate lo spiegavano per la poca frequenza di relazioni eterosessuali con il loro partner.
Erano dunque , contrariamente a quello che si può pensare, delle donne relativamente giovani, e non delle vedove o delle donne anziane che la praticavano. Quelle giovani donne presso gli Azande per esempio , erano parcheggiate dentro a degli harem.
Per evitare l’adulterio, erano strettamente sorvegliate. La vita in gabbia avrebbe allora dato occasione alle pratiche omosessuali.
Fu lo stesso caso per le donne degli harem mussulmani in Africa del Nord e anche per le donne Haoussa in Nigeria.
Gli uomini non ammettevano le pratiche lesbiche , tuttavia, non vedevano nessun inconveniente alle pratiche omosessuali con dei giovani ragazzi, in assenza delle loro mogli e a volte perfino in loro presenza. E’ la manifestazione stessa della dominazione maschile, del potere del fallo.
Tuttavia la giustificazione evocata da alcuni come gli Azande è che quei giovani erano costretti ad andare con il loro maestro o «marito » nei campi di guerra una volta che essa fosse scoppiata.
Allora facevano i servitori e inoltre svolgevano il ruolo attribuito alle donne nei campi militari, includendo anche le relazioni sessuali e non solo il ruolo di discepoli o di seguaci di eroi come ci si poteva aspettare.
In effetti presso gli Azande, la pratica consistente nello sposare degli giovani era diffusa tra i militari.
Per questo pagavano una dote ai parenti dei giovani da sposare, come avrebbero fatto se avessero voluto sposare le loro sorelle (le sorelle dei ragazzi). I genitori dei ragazzi erano allora chiamati dai pretendenti con il termine di gbiore e negbiore che designavano rispettivamente il suocero e la suocera.
I ragazzi ricevevano anche dei regali e nelle coppie così costituite, l’uso era di chiamarsi badiare ,” mio amore” o ”mio innamorato”. Il ruolo del ragazzo era, l’abbiamo sottolineato, di pensare durante il giorno a tutti i lavori di casa nelle tende del campo e nella notte di soddisfare sessualmente il compagno combattente.
Questo finché i predetti ragazzi diventavano grandi e prendevano a loro volta dei ragazzi giovani come “donne”. C’è dunque una specie di riproduzione socio-sessuale istituzionalizzata, con lo scopo che ci fossero donne nei campi militari e che gli uomini non dovessero astenersi sessualmente per troppo tempo.
Gli Azande non consideravano queste relazioni come improprie, poiché era una dimostrazione di sensibilità verso un uomo il far sì che potesse dormire con dei ragazzi , quando le donne non erano disponibili.
Dei casi simili sono stati notati anche presso i Mossi del Burkina-Faso, presso la corte reale, all’inizio del ventesimo secolo.
Dei giovani chiamati Soronés o paggi erano scelti tra i più belli, di età tra i sette e i quindici anni. Rivestiti con abiti femminili, venivano loro attribuiti ruoli femminili, includenti anche i rapporti sessuali con i capi.
Questi (i rapporti sessuali) si avevano il venerdì, perché quel giorno tutti i rapporti eterosessuali erano socialmente proibiti. Una volta che i Soronés erano arrivati alla maggior età, il capo dava loro delle donne. Questa coppia apparteneva al capo, e anche la sua progenie.
Così , un ragazzo nato da una coppia seguiva la strada di suo padre , mentre la figlia era anch’essa promessa ad un Soroné adulto, tutto come lo era stato sua madre. Sembra anche che il sistema sociale di riproduzione fosse ben gestito e facesse pensare ad un sistema di casta in cui si è Soroné di padre in figlio.
A questo livello, l’omosessualità è vista come un acquisizione, una predisposizione sociale, perché il Soroné non lo è per inclinazione personale, ma perché è stato scelto, per mezzo di criteri soggettivi, ma socialmente forti e significativi di bellezza, nella società Mossi.
Le loro scelte ed i loro ruoli erano associati alla proibizione sociale di avere dei rapporti eterosessuali il venerdì.
Una volta di più è messa in evidenza la supremazia della mascolinità, perché tutto avviene come se il venerdì le donne dovessero astenersi sessualmente mentre gli uomini potevano continuare a gioire del loro piacere sostituendo l’oggetto sessuale.
Si deve precisare che non tutti gli uomini avevano questo privilegio, ma solamente i capi e pertanto i detentori del potere che hanno per questo stesso fatto il pieno potere di agire sul loro soggetto.
Gli Ashanti , presso gli Akan della Costa d’Avorio, avevano creato nel diciottesimo secolo un potente impero guerriero in cui gli schiavi di sesso maschile erano utilizzati come concubine o innamorate.
Quando il loro padrone moriva anche loro venivano messi a morte. Questo tipo di relazione nella società Ashanti era accettato e andava perfino a diffondersi presso i giovano liberi, che si rendevano più effeminati.
Questa situazione trova la sua spiegazione nel fatto che gli Ashanti erano una società matrilineare. Per questo fatto erano avvantaggiati dall’essere delle “donne” delle “concubine”, per lo statuto molto elevato che era attribuito alle donne e ai vantaggi sociali che l’accompagnavano: rispetto, dignità , eredità … appariva anche che essere effeminati per certi uomini liberi, poteva servire come tattica di raggiungimento di un’elevata posizione sociale e di autorità, resa ancor più vantaggiosa dall’accettazione, dal consenso di una relazione omosessuale.
C’è da dire che questi uomini-donne non erano solo simbolicamente e socialmente riconosciuti come delle donne, ma per mezzo di questa relazione (omo)sessuale socialmente tollerata, diventavano de facto delle donne.
Le relazioni omosessuali di tipo intergenerazionale tra i Bangalla di Angola erano di ordinaria amministrazione , soprattutto nel corso di viaggi, quando non erano in compagnia di donne, delle loro spose.
Era una delle ragioni per la quale la masturbazione reciproca okulikoweta e la sodomia omututa erano diffuse e guardate con poca o nessuna vergogna. E’ piuttosto la masturbazione solitaria, onanismo , okukoweka, che era considerata con disprezzo. Questo faceva pensare al lato comunitario delle società africane, comunità che non conosce nessun limite.
Il sesso non è allora percepito come una attività solitaria , ma necessariamente a due o di gruppo : il piacere che ne deriva non poteva avere un senso che all’interno della comunità, ed esso deve essere condiviso.
Tuttavia, è l’unico esercizio del rapporto sessuale tra uomini o tra donne al quale è possibile attribuire questo comunitarismo, poiché questo aveva luogo quando gli uomini visitavano le città straniere , o durante i periodi di pesca in gruppo, lontano dalle donne.
A questo livello , si capisce che si tratta di omosessualità identitaria . In effetti , presso gli Ashanti , l’omosessualità socialmente acquisita dagli schiavi o da qualche uomo libero poteva essere considerata come identitaria, a causa dello status sociale che questo conferiva.
Il fatto per i giovani Azande di accettare i regali del loro pretendente e di vivere con loro in coppia, mostra bene che durante questo periodo fino alla maggior età dei giovani, l’identità omosessuale era accettata, capita ed integrata.
E’ per questo che questi ragazzi potevano fare dei lavori attribuiti socialmente alle donne , accettare delle relazioni sessuali con gli uomini, ma soprattutto arrivavano a chiamare i loro innamorati badiare.
Per quello che riguarda le donne , nella maggior parte dei casi, si trattava di pseudo omosessualità , che compensava sia l’assenza degli uomini, sia la loro incapacità di soddisfare le loro giovani spose.
Tuttavia dei casi di omosessualità identitaria nascosti dalle espressioni di aponji o eponji, potevano essere messi in evidenza. Cioè in queste amicizie amorose tra donne o tra uomini che potevano essere stabilite, ne usciva una forte presa di coscienza del coinvolgimento sessuale che circondava le amicizie.
Lo scopo degli atti sessuali era forse di rafforzare l’amicizia, di sigillarla, ma comunque tutto questo comportava la presa di coscienza di questo carattere di amicizia fuori dal comune.
E’ per questo che le lingue o le società attraverso le lingue, hanno saputo qualificare queste amicizie, distinguendole da quelle senza investimento erotico tra amici dello stesso sesso, mukuetu.
L’insieme di tutto quello che abbiamo appena presentato appartiene a quello che si è convenuto chiamare le omosessualità, perché ci si vede un largo ventaglio di relazioni sessuali sia che siano eterosessuali o ancora omosessuali.
In questo senso , i termini per designare la sessualità ed i ruoli giocati da ciascuno nell’atto sessuale si applicano contemporaneamente alle coppie eterosessuali e alle coppie omosessuali (vedere sopra).
Tuttavia, resta il caso specifico del comportamento degli individui a metà strada tra il genere femminile ed il genere maschile. Certe società africane riconoscevano questa particolarità al punto di dar loro un’identità autonoma, di dar loro un nome con poco o tanto disprezzo.
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« Genere definito: omosessualità »
Questo tipo di comportamento è chiamato con il termine di genere che viene definito in base al ruolo che gli individui accettano di svolgere, a dispetto del loro carattere fenotipico e del comportamento sociale che l’accompagna.
Il mondo occidentale poteva allora parlare di travestitismo, ma noi parliamo di omosessualità definita attraverso il genere. In effetti la maggior parte di questi individui preferivano avere delle relazioni con le persone del loro stesso sesso, o in tal caso è la società che ne dava loro la tacita autorizzazione.
Presso i Massai del Kenya per esempio, a certi iniziati, chiamati Sipolio, piaceva uscire vestiti e truccati come le donne e avevano relazioni sessuali con gli uomini. Era la stessa cosa per certi preti come i ganga-ya-chimbanda che dicevano di non amare le donne e la società accettava questo come fosse la volontà di Dio.
E’ il caso anche per i religiosi a capo dei Meru, agricoltori del Kenya che avevano il nome di Mugawe, si vestivano come donne e a volte sposavano degli uomini. Tra gli abitanti di Zanzibar certi schiavi erano destinati a svolgere quel ruolo. Erano anche esclusi dai lavori pesanti, sistematicamente ben vestiti, resi più effeminati, ku/ainishwa.
Sempre presso gli abitanti di Zanzibar , esisteva perfino un rito di inversione per mezzo della possessione da parte degli spiriti, rito in cui gli uomini erano vestiti da donne: sono i mashoga (plurale di shoga vedi sopra). Tali riti sembrano allora “segnare la centralità di genere verso l’organizzazione sociale e le gerarchie sociali, in modo tale che i limiti dell’incrociarsi di genere diventavano parti significative delle sfide, delle espressioni e della reinvenzione dell’ordine sociale“ .
Nel Senegal , tali individui sono chiamati in Wolof gor-digen o uomini-donne, e facevano grandi sforzi per meritare questo appellativo, a furia di manierismi, e tutto ciò ricordava le donne alla percezione di ogni osservatore.
Avevano anche delle relazioni sessuali con gli uomini, è la ragione per cui , i Woolof, utilizzano lo stesso termine per designare l’omosessualità : gor-digen ed il partner attivo omosessuale o eterosessuale è chiamato Yauss, il partner passivo con oubi cioè « aperto ».
Nella provincia del Kasai orientale, questo ruolo alternativo era chiamato kitesha designando le donne o gli uomini che si trovavano nei sopraelencati ruoli e che avevano delle relazioni sessuali con gli individui del loro sesso. Nel Sud dello Zambia , questi individui erano chiamati mwaami nella lingua ila. Si vestivano come donne , facevano lavori che toccavano alle donne, dormivano con le donne senza avere rapporti con loro. Erano considerati come dei profeti, è d’altronde il significato del loro nome. La pederastia non era rara, tuttavia era considerata come pericolosa, perché i membri della società temevano che ai giovani ragazzi capitassero delle gravidanze.
Esistevano anche dei casi di passaggio da un genere all’altro osservati in certi matrimoni di donne, vedove e anziane, che sposavano delle giovani ragazze affinché procurassero loro una discendenza. La scelta del partner dell’altro sesso era fatta dal “marito” , cioè la donna più anziana che aveva pagato la dote della giovane donna.
I bambini nati dalla coppia le sarebbero appartenuti e avrebbero costituito la sua discendenza. Questo avveniva quando il marito della vedova era morto senza lasciarle dei figli.
Questo fu per esempio il caso presso i Nuer in Etiopia ; presso gli Yoruba in Nigeria; presso le donne Zulu , soprattutto le più ricche ; presso le Nandi del Kenya dove il marito-donna viene chiamato manong’otiot ; presso i Kikuyo, i Venda dell’Africa del sud dove una tale dote è designata da Lobola.
Il matrimonio tra donne era anche una pratica corrente nella Corte del Benin. E nel Transvaal nell’Africa del Sud. Sembrava allora che le donne più anziane , non potessero aver questo diritto che perché erano riuscite a passare dal genere sociale che era (stato) loro attribuito ad un altro.
E’ come una forma di promozione, poiché in certe società come presso i Nandi del Kenya , si dice: Katogotogosta Komostab murenik, cioè che esse sono arrivate a raggiungere lo stesso livello degli uomini.
E’ l’ interpretazione socio-antropologica che forse può essere fatta a questo riguardo , per spiegare questi matrimoni lesbici in cui il sesso, bisogna precisarlo, non interveniva che per interposta persona, per il solo fine della procreazione, la discendenza apparteneva allora alla donna più anziana, e così anche la giovane donna, che era chiamata a portarle rispetto e devozione senza nessuna mancanza.
Gli uomini che attraversavano i generi, contrariamente che alle donne, avevano delle relazioni sessuali con gli individui del loro sesso. Questo era a volte accettato come presso gli Ashanti e nella maggior parte delle tribù dove venivano osservati questi comportamenti, ma a volte anche , la sodomia era temuta per paura di una gravidanza o a causa del dolore fisico che questa pratica comportava come presso gli Ottentotti per esempio o ancora in Zambia.
Da tutto questo , ne vien fuori che l’Africa nella sua storia ha conosciuto diversi tipi di omosessualità : sia occasionale, sia identitaria , sia una sessualità che si collocava al di fuori di una ortodossia giudaico-cristiana eterosessuale, con la particolarità che ogni atto sessuale ben definito , in più società, era linguisticamente qualificato, dunque in una certa misura concettualizzato.
Alla fine, questa parte storica e analitica della realtà omosessuale in Africa, dimostra che l’omosessualità non era una realtà concettualizzata in tutte le società africane.
Quando tuttavia questo avveniva, i significati non erano sempre in perfetto accordo con la concezione occidentale. Così , poiché l’omosessualità in occidente ha una connotazione simmetrica e relazionale tra uomo-uomo e donna-donna, in Africa nella storia denotava un orientamento esclusivo e temporale in funzione delle classi sociali. I sessi non erano concepiti in maniera simmetrica.
Se è dunque vero che l’omosessualità è ed è stata sempre presente in tutte le culture, la sua percezione sociale, la sua designazione, la sua interpretazione, in breve la sua concettualizzazione al contrario, non è la stessa in tutti gli orizzonti sociali.
Dicendo diversamente, designare l’omosessualità nella storia africana non si può fare che a partire da un compromesso teorico riguardo alla valutazione e alla designazione dei contenuti relativi all’oggetto stesso dell’omosessualità.
E’ questo compromesso che abbiamo tentato di realizzare qui , l’omosessualità essendo stata per prima cosa identificata alla luce della percezione occidentale per , alla fine staccarsi , attraverso la nozione di “ruolo genere-definito”; o ancora attraverso la nozione di omosessualità presso gli Azande ed i Mossi dove non si tratta in realtà che di una tappa omosessuale per gli individui, pienamente riconosciuta, verso un’altra tappa: l’eterosessualità, riproducendo in questo passaggio gli schemi socio-sessuali nei confronti delle posizioni meno importanti per ruolo sociale e per età. Come si presenta l’omosessualità dei nostri giorni in Africa?
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Manifestazioni e fattori esplicativi dell’omosessualità nelle città dell’Africa contemporanea
Dopo aver esplorato e tentato di far uscire la realtà omosessuale attraverso la storia in Africa dal suo mito, si tratta ora di vedere come si manifesta l’omosessualità dei nostri giorni in Africa, ma anche di tirar fuori qualche fattore sociologico esplicativo di questa visibilità notoria.
Durante il periodo coloniale fino al periodo post-coloniale, i riti, gli usi e i costumi che sono stati presentati nella parte storica di questo lavoro e relativi a diverse forme di pratiche omosessuali, sono state a lungo combattuti e negati in Africa.
E’ così che molti paesi africani, dopo la loro indipendenza, copiando le legislazioni delle antiche potenze coloniali d’allora, proibirono l’omosessualità considerandola come un crimine passibile di prigione e di una forte ammenda.
L’omosessualità ha allora preso in Africa “la via dei campi”, a tal punto che molti spiriti hanno pensato in tutta buona fede che l’omosessualità non era mai esistita in Africa.
Lo arguirono in un gran numero tra di loro, da un vuoto linguistico e concettuale per designare la realtà omosessuale ; dimenticando che vuoto concettuale non vuol dire assenza di pratica, ma tutt ’al più, può segnalare che la società non modella culturalmente una tale pratica.
In più , come veniamo dal dimostrarlo, non sono tutte le società africane che dimostravano questo vuoto concettuale in materia di omosessualità, molte agivano diversamente e continuavano a farlo, con una precisione tale che il solo concetto di omosessualità come è percepito in occidente, preso in tutta la sua complessità non sarebbe bastato a delineare o a inglobare le realtà omosessuali africane descritte.
La genesi delle manifestazioni o della visibilità crescente del discorso omosessuale in Africa è differente , a seconda che ci si trovi nell’ Africa al sud del Sahara o nell’Africa del nord.
La constatazione che tuttavia diviene evidente e che può essere generalizzata, è che è a partire dagli anni ottanta che l’omosessualità ha cominciato a diventare visibile in Africa, specialmente nella parte del sud. In effetti a Cape Town dal 1980 , una discoteca per omosessuali apparve e organizzò delle competizioni di ‘drag queen’.
Nello Zimbabwe , l’associazione dei « Gay e Lesbiche dello Zimbabwe » (GALZ) fu messa in piedi dal 1990 con due obbiettivi importanti : promuovere i servizi sociali per i gay e le lesbiche nel paese, e stabilire un programma di counselling sull’HIV/SIDA. Il primo “gay pride” ( una specie di festival omosessuale) organizzato in Africa ebbe luogo nell’Africa del sud nell’ottobre del 1990, a dispetto dell’apartheid nella quale vivevano i paesi e a dispetto anche del fatto che la sodomia e per estensione l’omosessualità erano punite e condannate.
Nell’Africa francofona , è con l’inizio del processo di democratizzazione , che segnava , tra gli altri, le libertà individuali di espressione, di religione e per alcuni di scelte sessuali, che l’omosessualità è stata sempre più visibile. Ad eccezione della Costa d’Avorio dove sempre negli anni ottanta, l’omosessualità era già visibile, sopratutto con il passaggio alla televisione di Oscar, un giovane che si era trasformato ed imitava alla perfezione la star ivoriana Aicha Koné.
I giornali “Ivoire Dimanche“ e poi « Fraternité Matin » seguirono le orme della televisione attraverso dei reportage sul predetto Oscar. Siamo esattamente nel 1982, e tutto questo sembra aver ricevuto un eco favorevole da parte del pubblico.
Nel Camerun, i luoghi di incontro si sono moltiplicati, sopratutto nelle grandi città : si tratta per lo più di bar, ristoranti, locali notturni … Il primo locale gay fu aperto nel 2002 a Duala (capitale economica del Camerun), “Il Pacifico” e chiuso perché il locatore degli ambienti voleva fare un altro investimento.
Un secondo locale notturno fu poi aperto sempre nella città di Duala, d’altronde capitale economica. Il locale notturno fu ugualmente chiuso perché il suo proprietario, un Occidentale, doveva ritornare nel suo paese , lasciando in Camerun il suo “sposo”. In base alle nostre inchieste, un altro locale notturno, il “Folofolo”, è sempre operativo.
L’omosessualità nel giro gay del Camerun è chiamata « nkouandengué», neologismo che designa contemporaneamente il concetto e l’attività. A Soweto il termine che designa i gay è “Sitabane” e traduce letteralmente un individuo che ha due organi sessuali: un ermafrodito. Ciò si spiega per la dominante percezione sociale secondo la quale gli omosessuali avrebbero due organi sessuali.
In Costa d’Avorio la rete di contatti sociali è chiamata dagli omosessuali stessi con il termine “il giro”. Sebbene “ sparso” nella città,” il giro” non è organizzato in ghetto, non rivendica neppure una cultura gay. La clandestinità non è perciò una necessità.
Nessuna repressione della polizia specifica, nessuna stigmatizzazione da parte dell’opinione pubblica: il fatto omosessuale suscita principalmente la curiosità”.
Questa realtà non è simile nelle altre città africane , dove l’omosessualità è ridotta alla clandestinità. Nel Kenya il luogo di incontro principale degli omosessuali in città è dentro i bagni pubblici o anche nei « cottages » o al bordo delle spiagge, nelle zone dell’estuario.
In Camerun , gli omosessuali sono obbligati a vivere nascosti e a costituirsi in reti chiuse, ristrette e praticamente inaccessibili. I luoghi di incontro obbediscono a delle leggi interne che dipendono dalle realtà delle città, dando meno importanza al tipo di quartiere. Si riuniscono per divertirsi come possono e dove possono. E’ per questo che noi chiamiamo i loro luoghi di incontro dei piccoli g, “miniatura g”, cioè dei luoghi in cui si incontrano dei gay, ma non esclusivamente, in certi giorni della settimana e a certe ore.
E’ così per esempio che a Yaoundé, la domenica alle 22, in un quartiere della città, la possibilità d’incontrare un gran numero di omosessuali è elevata. Si riuniscono in un bar ed utilizzano l’espressione codificata “la messa delle 22” per alludervi.
Andare alla messa la domenica a Yaoundé in un certo bar alle 22 , significa in altri termini fare un uscita per trovarsi in un ambiente gay e stabilire eventualmente dei contatti.
A Bastos al crocevia, in un altro quartiere della città di Yaoundé, gli incontri si fanno spesso il sabato, a partire dalle 20. I locali notturni e le vetrine degli hotel sono anche dei luoghi privilegiati di grande visibilità dell’omosessualità in azione in Africa.
Si dovrebbe precisare che la maggior parte del tempo, si tratta di omosessualità identitaria espressa solo perché «ci si sente così!» o perché “si è là dentro!”.
Tutto questo dimostra che in molti casi , la «realtà omosessuale»africana è ancora in divenire a causa di obblighi sociali, ma tende sempre di più ad affermarsi, ad erigersi in una specie di comunità, di sotto cultura, perché: “Basta che un qualunque gruppo di individui abbia un minimo di vita comune, che sia tanto o sia poco separato dagli altri gruppi, che occupi un piccolo angolo dello spazio sociale, che si ponga gli stessi problemi e forse che abbia qualche nemico in comune perché una cultura si sviluppi.”
Internet in Africa è ugualmente un altro luogo di manifestazione della realtà omosessuale attraverso i siti di incontri gay, lesbici o bisessuali.
Nel Camerun,il più popolare ed il più frequentato è il sito: www.cybermen.com. Lo scopo riconosciuto delle persone che frequentano il sito è il desiderio di trovare un compagno di preferenza occidentale, che possa giocare il ruolo di sponsor economico e alla fine che potrà far andare in Europa la persona che è in contatto email con lui.
Così l’uso di internet per gli omosessuali in Africa, oltre a divertirsi o a fare ricerche di altro tipo, appare anche come una tattica per porsi in condizione di raggiungere favorevolmente un benessere che si supponeva si ritrovi solo in Occidente.
Anche le prigioni sono luoghi privilegiati di omosessualità in Africa. Si tratta per la maggior parte dei casi di omosessualità situazionale dovuta, sembra, alla promiscuità nella quale vivono i prigionieri, all’assenza di compagne dell’altro sesso ed infine ad un cattivo trattamento.
Per l’ultimo aspetto, viene fuori che i prigionieri che sono spesso mal nutriti, si impegnano in una lotta alla sopravvivenza in cui i più deboli sono taglieggiati ed obbligati a sottomettersi sessualmente in cambio di un po’ di denaro.
Si assiste a delle dimostrazioni di autorità in cui alcuni caporioni, per stabilire la loro supremazia nelle celle, sottomettono i nuovi o i prigionieri ribelli a delle relazioni sessuali anali. Da questo la molteplicità delle violenze a carattere omosessuale sotto lo sguardo complice dei” guardiani dei prigionieri”, spesso riferita.
Sembra così che l’omosessualità in Africa, sebbene stia diventando sempre più visibile, non è ancora affrancata dalle costrizioni «non sessuali ».
Questa situazione, in rapporto all’HIV/AIDS, porta l’omosessualità in Africa necessariamente verso la clandestinità, in cui i rischi di infezioni sono minimizzati e invece sono enfatizzate l’efficacia e la riuscita delle «uscite » nel «giro».
Questa riuscita si concretizza nella possibilità di trovare un compagno, perché in questi mercati sessuali, ”si trova un orgasmo dietro l’altro”, essendo il tempo letteralmente contato. Tutta questa situazione obbliga molti omosessuali in Africa ad «una gestione complessa della loro vita, costringendoli spesso ad una doppia vita, perfino a delle vite multiple ».
Certi autori per designare questa doppia vita, parlano allora della «strategia della discrezione » da parte di quegli individui che optano allora per «la « scelta» di una visibilità eterosessuale che può indurre dei rapporti clandestini con degli uomini».
A questo stadio, l’insieme delle norme sociali e personali alle quali non è possibile attenersi è trasformato, attraverso l’attuazione di tattiche simboliche basate sulla razionalità, per creare un’altra forma di normativa, che possieda una coerenza per gli individui che procedono per mezzo di tali assembramenti e altri aggiustamenti identitari successivi.
Questo servirà da paravento , per non urtare più contro a delle sanzioni o a delle tensioni sociali che si erigono contro l’omosessualità nella società.
C’è da dire a questo livello che queste norme ideali istituite dalla società ed inculcate attraverso la socializzazione dell’individuo si trovano ad essere soppiantate dalla norma del desiderio e dell’attrazione legate all’orientamento sessuale: la norma praticata e non necessariamente concretamente corretta in caso di rapporti sessuali non protetti.
Malgrado l’ostilità generalizzata contro l’omosessualità in Africa – al di fuori dell’ Africa del Sud e della Costa d’Avorio -, cos’è che può spiegare una tale visibilità ?
Qualche fattore sociologico che spiega la visibilità omosessuale in Africa
I fattori sociologici che spiegano la propensione crescente e visibile dell’omosessualità in Africa sono numerosi. Per quel che riguarda questo lavoro, ci occuperemo solo di tre fattori che appariranno di importanza capitale.
Il primo fattore che spiega questa visibilità della manifestazione omosessuale in Africa è quello dell’influenza dei prodotti dei media, sopratutto dei media stranieri che si ricevono in terra africana.
Essi inondano di immagini forti e brutali, alimentano il subconscio e l’immaginario degli africani. Lungi dall’essere neutrali, amplificano o valorizzano certe rappresentazioni a detrimento di altre. Gli individui più esposti all’impatto dei media , sono quelli che sono in grado di procurarsi dei giornali, una radio o una televisione , a volte unite alle novità tecnologiche dell’informazione e della comunicazione.
Questa informazione battente provoca in chi vi si sottopone un’ampia conoscenza della realtà e degli schemi dei pensieri attuali, che non sono sempre in armonia con i modelli del loro gruppo di appartenenza. Sono considerati come sfogo presso alcune popolazioni, per colmare le loro insoddisfazioni.
E’ così che, “ Per un meccanismo di “catarsi” o di identificazione-proiezione, le persone non pensano più con la propria testa, ma agiscono a partire da schemi, da immagini e da simboli elaborati all’estero e che non essendo possibile trovare nell’ambiente locale dei corrispettivi credibili, finiscono per modificare considerevolmente il comportamento.”
Si circondano allora dell’illusione secondo la quale in fondo , i media pensano come loro. In altre parole, i media esprimono in modo esattamente opposto , quello che essi avrebbero o hanno sempre pensato . Sempre avviene che questi modelli nuovi proposti dai media, in un epoca ideologizzata dalla mondializzazione delle culture, sono suscettibili di influenzare in una certa maniera gli schemi.
Per gli individui, fare come hanno visto dai media appare come la manifestazione di un alibi discorsivo, che permette di uscire dalla doppia tattica nella quale sono entrati numerosi africani per mascherare la loro vita omosessuale reale. Sono allo stesso tempo incoraggiati da quello che osservano nei media, e da quello che credono a torto o a ragione essere la realtà omosessuale occidentale.
Questa visibilità dell’omosessualità che i media hanno portato in Africa, è anche l’espressione di un riconoscimento sociale che non vuole sempre dire il suo nome.
Il flusso delle produzioni mediatiche straniere che si riversano in Africa , ha trovato un campo sociale in stato di crisi. La crisi sociale appare così come il secondo fattore esplicativo della visibilità aumentata dell’omosessualità nella sfera sociale africana.
L’Africa è in crisi, vive la crisi dagli anni ottanta. La crisi o la sensazione di crisi si presenta come un momento di perturbazione, di gravi difficoltà, di turbolenze, di tensioni e di conflitti che una società ad un certo momento conosce. In effetti , l’etimologia della parola crisi è in se stessa rivelatrice di quello che viene prima.
E’ nato dal gergo medico e viene dal greco « krisis » che vuol dire tappa decisiva, momento critico. E’ dunque un momento decisivo nell’evoluzione di una malattia, momento decisivo che a sua volta determina la nascita dell’evoluzione di tale malattia. E’ perciò , trasferita nel campo sociale, la crisi è quello stato che provoca una serie di squilibri, di discordie, di disgrazie o delle disfunzioni sociali.
Sul piano economico, malgrado qualche indicatore incoraggiante per certi Stati dove l’economia è in ripresa – anche se questo rilancio riguarda soprattutto il livello macro-economico – il quotidiano della gente è per la maggior parte stabile, cioè economicamente molto debole.
In Africa dunque certi individui alle prese con la miseria sono giunti a sviluppare delle strategie di sopravvivenza.
Così certi omosessuali, come è il caso nel Camerun, pensano che il «nkouandengué dia soldi », concepiscono l’omosessualità come una specie di arricchimento, di capitalizzazione economica per diventare ricchi materialmente.
Questo pensiero trova la sua origine lontano nel tempo e pone anche l’omosessualità come un feticismo fallace, capace di portare guadagni. In effetti, presso i Pangwé, gruppo Fang del Camerun, Gabon e della Guinea Equatoriale, l’omosessualità era vista come una “medicina di ricchezza”.
Si credeva che i compagni che si abbandonavano agli atti omosessuali sarebbero diventati ricchi. Il modo di manifestarsi nella società che scaturiva da questo concetto derivava dal fatto stesso della solidarietà africana e del mutuo supporto tra due amici, perché la ricchezza poteva essere facilmente accumulata e ammassata in due, piuttosto che da soli.
Tuttavia la credenza moderna africana secondo la quale l’omosessualità dà del denaro non si inscrive in un continuum della percezione dei Pangwé.
E nemmeno si regge molto in piedi , perché l’omosessualità a quel livello è utilizzata come mezzo e fine nello stesso tempo, per sovvenire ai bisogni degli individui.
La crisi ha spinto certi individui omosessuali in Africa, a farsi sempre più vedere specialmente nei grandi hotel, nei locali notturni alla ricerca di clienti, di preferenza europei.
E’ quello che si può anche osservare quando certi omosessuali africani navigano in rete nei siti di chat gay. Ricercano, un gran numero di loro, dei partner europei ricchi, capaci di far loro vivere il loro sogno e di permettere loro di liberare la loro sessualità in Occidente, senza più aver bisogno di usare la tattica di mimetizzazione.
Che consiste di dotarsi di un partner dell’altro sesso, per mascherare di fronte all’ambiente sociale la propria vera identità omosessuale. La compagna di mimetizzazione è designata, in certi ambienti gay in Camerun, con la “nfinga ” cioè letteralmente la copertura.
Molte società africane hanno proibito giuridicamente l’omosessualità. Tuttavia all’interno di alcune di loro, le condanne degli individui a causa dell’omosessualità sono quasi inesistenti, malgrado la sempre maggiore visibilità di quelli che escono più allo scoperto, come è già stato sottolineato prima.
E’ per questo che l’azione repressiva molto permissiva, in rapporto con il contenuto delle leggi che vietavano l’omosessualità in Africa, appariva anche come fattore sociologico generatore di questa propensione crescente e osservabile all’omosessualità.
In effetti, certi poteri africani hanno adottato una politica di cospirazione, di mutismo, allo scopo di veder bandito dal reale quello che è ufficialmente proibito ed ufficiosamente praticata da persone nella società.
Tuttavia di riflesso queste stesse persone hanno pensato che i politici stavano dalla loro parte, ed hanno continuato a mantenere questa illusione a forza di dicerie che parlavano dell’omosessualità accertata o no di alcune figure politiche.
La visibilità trova una sua motivazione nel fatto che questi individui pensano che i politici sono come loro, cioè sono anche loro omosessuali. E’ per questo che li citano come dei modelli, degli esempi da seguire sessualmente.
Forti di tutto questo, certi poteri in Africa, in ragione del loro mutismo su questa visibilità dell’omosessualità nel loro territorio, mutismo che si manifesta con una debole frequenza delle sanzioni legali nei confronti di atti omosessuali, appaiono essi stessi come quelli che danno impulso a questo fenomeno.
In definitiva, l’omosessualità in Africa lungo il decorso della storia come anche ai nostri giorni, è lontana dall’essere una costruzione frutto della fantasia. E’ una realtà palpabile e visibile.
E’ il fatto di voler negare la sua esistenza in primo luogo da parte degli occidentali, e poi da parte degli stessi africani, che consente di uscire da una costruzione mitica della quale il fine di questo articolo riguardava proprio la “smitizzazione”, ma anche il cercare di dare un senso sociologico alle sue manifestazioni nelle società africane contemporanee.
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* Charles Gueboguo è dottorando di Ricerca in Sociologia dell’Università di Yaoundé (Camerun)
** Traduzione rivista dall’autore della tesi.
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Testo originale: L’homosexualité en Afrique : sens et variations d’hier à nos jours