Moschee al femminile e gay-friendly: ecco come cambia l’Islam
Articolo di Luca Lampugnani pubblicato sul sito The International Business Times Italia il 4 febbraio 2015
Le terribili cronache di questi giorni si prestano spesso a letterature che per paura o interesse gettano nello stesso calderone Islam e Stato Islamico, fede musulmana ed estremismo jihadista. Nelle ricostruzioni dei più ultranzisti e celoduristi, sovente accompagnate da massime dell’Oriana Fallaci post-11 settembre, le brutalità degli uomini neri del sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi non sono l’eccezione, la deriva, per quanto violenta e spaventosa, di una interpretazione fondamentalista dell’Islam, ma la regola. Ed è proprio in questo quadro distorto – delineato sempre e comunque dalla paura o dall’interesse – che mette radici profonde l’islamofobia.
Tuttavia, volendo guardare oltre ai propri limiti interpretativi tarati dal giudizio binario “buono” o “cattivo”, “bianco” o “nero”, è possibile scorgere una realtà ben più vasta, variegata e variopinta di quanto non si possa immaginare. Che i dettami dell’Islam più ortodosso sul ruolo della donna siano ad esempio in netto contrasto con la nostra personale visione di mondo occidentale, è assoluta verità.
L’impianto giuridico per cui l’Arabia Saudita relega le donne allo status sostanzialmente di non esseri umani – è fatto loro divieto di guidare, di uscire di casa se non accompagnate da un maschio della famiglia e così via – ci è intrinsecamente urticante. Ad ogni modo, tale oscurantismo societario non può e non deve essere esteso a tutto il mondo musulmano, alla Umma – la comunità dei fedeli priva di indicizzazioni etniche o statali – nel suo insieme.
Per dimostrare ciò calza a pennello l’inaugurazione venerdì scorso della prima moschea per sole donne d’America – altre già sono presenti in Cina, in Europa, in Africa e in Asia, ma troppo spesso non se ne ricorda l’esistenza -, nata all’interno di un centro religioso e culturale a Los Angeles, California. Questo sottolinea ed evidenzia quanto l’Islam come altre religioni – si consideri ad esempio il passaggio tra Vecchio e Nuovo Testamento nella Bibbia – è soggetto forzatamente ad un cambiamento di passo rispetto alle sue posizioni più radicali, ad un mutamento fisiologico e necessario affinché possa adattarsi alle società attuali e rispondere quindi a nuovi e vecchi fedeli. E non è da escludere che è proprio questa potenziale forma di visione religiosa che lo Stato Islamico e altri gruppi del terrore tentato di combattere così duramente e brutalmente, determinati a mantenere il potere e il controllo con la paura e la più gretta chiusura al mondo.
Ancora, altro esempio di una Umma che necessariamente cangia – seppur tra mille difficoltà, presa tra i fuochi incrociati – è l’apertura nel settembre scorso di una moschea gay-friendly, la prima nel suo genere nel Continente Nero, inaugurata a Città del Capo, in Sud Africa. Il suo fondatore, come hanno riportato numerose agenzie, ha ricevuto lettere di insulti e messaggi di morte, ma non si è fermato.
Tuttavia, il luogo di culto è stato chiuso dopo pochi giorni a causa di alcune scorrettezze strutturali e normative nella richiesta avanzata per la costituzione della moschea. Ma nonostante questo, l’avvento di una casa per le preghiere aperta a tutti, senza distinzioni e votata ad una fede musulmana inclusiva apre una breccia tanto nella dura scorza di chi stigmatizza e condanna il mondo LGBT, quanto di chi è convinto che dentro ogni islamico, sotto sotto, si nasconde un terrorista pronto a giurare morte all’Occidente, a brutalizzare l’omosessualità e a sottomettere la donna.