‘Non è un mostro, è nostro figlio!’ La difficoltà di accettare un figlio gay nella società cubana
Quando Roberto venne a sapere che il figlio Fernando era omosessuale, sarebbe voluto sprofondare nella terra.
Non sapeva cosa dire né cosa fare. Sperava che fosse uno scherzo.
“Anche per mia moglie fu un colpo. Trascorse quasi un mese chiusa in casa senza voler parlare con nessuno. La casa si trasformò in un inferno. Mio figlio andava e veniva e noi ci comportavamo come se non esistesse. Una volta gli dissi che avrei preferito fosse morto. Fu l’ultima volta che dormì in casa. Se ne andò, non lo so dove. E’ quasi un anno che non lo vediamo.
Sappiamo che sta bene e che continua a lavorare come ingegnere nella stessa impresa. Abbiamo cercato di riavvicinarci, ma ora è lui che non vuole saperne di noi. Abbiamo sbagliato allora…”
Roberto si asciuga il sudore che gli scende sulla fronte e continua: “Mi importa poco ora di quello che la gente pensa… in fondo la gente dice sempre quello che le pare. Quando vado fuori e qualcuno prende in giro o parla di un omosessuale in malo modo, penso sempre a mio figlio; e bisogna essere padre per capire quello che si prova quando il proprio figlio viene rifiutato. Non è stato lui a scegliere di essere così per suscitare il disprezzo degli altri”.
Yolanda, la madre di Fernando, fa ancora più difficoltà a parlare del figlio. Ogni volta che incomincia i ricordi tornano alla mente e un sentimento di colpa la pervade di nuovo. “All’inizio – dice – mi domandavo in cosa avessi sbagliato come madre e mi sentivo colpevole perché credevo che fosse stato qualcuno a portare Fernando su questa strada. Ho perfino sperato che gli passasse!
Ora, dopo aver capito che lui non è così per sua volontà, il mio sentimento di colpa non nasce più dal suo essere omosessuale, ma dal fatto di non avere saputo sostenerlo, quando prese la decisione di raccontarcelo. Non avrei mai immaginato che a Fernando sarebbero piaciuti gli uomini.
La nostra storia è questa, la storia di una famiglia che, non avendo saputo affrontate la situazione, invece di aiutare il figlio, lo ha lasciato solo; e ora stiamo andando in cerca di lui per dirgli che gli vogliamo bene. Per noi la cosa più importante in questo momento è essere al suo fianco, recuperare il tempo perso, fargli sentire che, nonostante sia stato difficile per noi, siamo riusciti a capire che non è colpa di nessuno.
E’ un ragazzo molto buono, gentile ed educato. Fin da piccolo fu bravo a scuola. Non è un mostro, è nostro figlio…”
La sorpresa
L’esperienza di venire a sapere che un figlio o un familiare è omosessuale di solito suscita rezioni diverse. Molti, come dice la sessuologia e psicoterapeuta Rinna Riesenfeld nel suo libro “Papà, mamma, sono gay”, rimangono di stucco, come se gli fosse stato versato addosso un secchio di acqua fredda, e, anziché affrontare la situazione, la negano. Fanno come se nulla fosse: comportamento che, invece di facilitare il rapporto, li allontana sempre più e genera risentimenti fra figli e genitori.
Alcuni provano disgusto oppure si sentono colpevoli, forse perché non sanno che l’orientamento sessuale non lo si sceglie e neppure lo si apprende. L’omosessualità può esserci in ogni famiglia. Non è un peccato e non ci fa essere persone peggiori o migliori. E’ un orientamento del desiderio sessuale verso un’altra persona dello stesso sesso.
Per quanto siano in molti a comportarsi in questo modo e si sentano sconcertati quando lo vengono a sapere, ci sono altri per i quali avere un figlio omosessuale non costituisce un problema. Lo accettano come qualcosa di assolutamente normale e imparano a convivere con questo.
“E’ già fin troppo che ci sia una parte della società a condannarlo. Perché dovrei farlo anch’io che sono sua madre? Nessuno è pronto a ricevere una notizia del genere. Si sogna sempre di vedere i figli che si sposano, che mettono su famiglia, si pensa ai nipotini che arriveranno…
Ma le cose non vanno sempre come vorremmo. Ognuno sceglie la sua strada e, se questa è la decisione di mio figlio, il meno che posso fare è rispettarla” dice Laura Elisa, una delle persone che sono state intervistate per questa inchiesta.
“Se non lo sostengo e non lo difendo io, chi potrà farlo?” si chiede “Nessuno vuole vedere il figlio soffrire per il fatto che gli altri non lo accettano. E’una cosa veramente triste” aggiunge.
In cerca di un perché
Sono molte le teorie che cercano di spiegare le cause dell’omosessualità. Cercano di definire se si tratta di una condizione acquisita o innata, se si trova nei geni o negli ormoni. Si afferma anche l’esistenza di una predisposizione biologica che, combinata con le condizioni ambientali, può influire sulla condotta sessuale e ne favorisce lo sviluppo. Ma nessuna di queste ipotesi è stata sufficientemente provata.
Fino ad ora non si conosce una causa specifica dell’omosessualità. In passato si sono prodotti miti e pregiudizi che portano al rifiuto nei confronti di queste persone solo perché nella propria vita sessuale si comportano in modo differente dalla maggioranza.
A volte vengono perfino giudicati per l’orientamento dei loro desideri e non per il loro valore umano. Tuttavia molti omosessuali accettano la propria condizione come un fatto naturale; sono contenti della propria vita e difendono il diritto ad essere rispettati e considerati. Essere gay non è sinonimo di perversione e non è affatto un delitto.
Il pregiudizio e il male che subiscono queste persone e la loro famiglia non è il solo prezzo che per questo ripudio si trova a dover pagare. Anche la società ci perde perché si priva del contributo di uno dei suoi membri, della partecipazione attiva di persone che possono essere altrettanto valide e attive come ogni altro.
Testo originale: Homofobia. No es un monstruo, es nuestro hijo…