Il nostro dialogo teologico nella chiesa per una nuova antropologia cattolica
Riflessione dei teologi Todd A. Salzman e Michael G. Lawler pubblicata sulla rivista teologica Conversations in Religion & Theology (Stati Uniti), Volume 8, n.1, del maggio 2010, pp.85-98, libera traduzione di Giacomo Tessaro
Per cominciare la discussione, vorremmo ringraziare la professoressa Andolsen per la sua recensione al nostro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic Anthropology, che si presenta proprio come dovrebbe essere una recensione: dettagliata, critica, corretta e rispettosa, priva dei traballanti argumenta ad hominem che sono la maledizione di tante recensioni accademiche. La porta è aperta per il dialogo nella carità che altrove abbiamo auspicato. Abbiamo molti punti a cui rispondere e le nostre risposte non seguono un ordine preciso.
Andolsen rileva giustamente che, nel libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic Anthropology, ci impegniamo in un “dialogo tra uguali” e che, data la recente storia della Chiesa cattolica, tale dialogo tra uguali è molto difficile da instaurare tra i teologi morali e il Magistero della Chiesa, che afferma di possedere “speciali grazie e responsabilità, in quanto è voluto da Dio come guardiano della verità morale”.
Il Magistero in quanto guardiano della verità morale, tuttavia, non può esimersi dai processi razionali della deliberazione e del giudizio. Perché possano darsi giudizi razionali (così afferma la Scolastica) dev’esserci per prima cosa una lectio, ovvero la considerazione delle varie opzioni, la disputatio, ovvero il relativo dibattito, e solo quando le varie opzioni sono state accuratamente vagliate e dibattute possiamo avere la praedicatio, ovvero l’insegnamento. Il problema non è che tale procedura non sia seguita quando il Magistero proclama un insegnamento morale: non c’è dubbio che lo sia. Il problema è che solo i teologi cattolici “sicuri”, quelli noti per essere allineati alle posizioni magisteriali, vengono invitati al dialogo consultivo.
Nella sua importante enciclica sull’ecumenismo, la Ut unum sint, papa Giovanni Paolo II loda il dialogo definendolo “una necessità dichiarata, una delle priorità della Chiesa” (n° 31); il dialogo dovrebbe essere portato avanti nel rispetto, nella giustizia e nella carita: “Occorre passare da una posizione di antagonismo e di conflitto ad un livello nel quale l’uno e l’altro si riconoscono reciprocamente partner. […] Per realizzare tutto questo, le manifestazioni del reciproco contrapporsi debbono sparire. Soltanto così il dialogo aiuterà a superare la divisione e potrà avvicinare all’unità” (n° 29).
Siamo totalmente d’accordo con il Papa e con il Corano, il quale prescrive che il dialogo religioso debba essere condotto “nella maniera più gentile”. In questo libro e altrove non chiediamo altro che tale dialogo nella carità, proposto in vista dell’unità ad extra, sia applicato al dialogo per l’unità ad intra, perché crediamo che questa sia una necessità impellente nell’attuale impasse tra il Magistero e i teologi fedeli alla Chiesa.
Secondo Andolsen “l’antropologia teologica proposta dal libro nel suo complesso si basa su uno standard irragionevolmente alto”; questo è vero, ma non è vero, come sembra insinuare, che “i due autori danno poco spazio al ruolo del peccato nella distorsione di tutte le relazioni umane”; questo non è certamente uno standard morale irragionevolmente alto. La presenza del peccato nella vita umana è troppo evidente per essere negata e abbiamo voluto richiamare l’attenzione proprio su questo parlando della “natura guastata” dell’uomo. Tuttavia, mentre cercavamo di formulare delle linee guida fondamentali per l’attività sessuale, abbiamo preso la decisione di non imboccare una via negativa, ovvero parlarne attraverso la lente del peccato, ma trattarne positivamente, attraverso la lente della fede in Colui che i cristiani confessano come Gesù, il Cristo; perciò, quando siamo arrivati a formulare la nostra norma, l’abbiamo fatto in termini espressamente cristiani.
Perciò la nostra norma “Perché un qualsiasi atto sessuale sia autenticamente umano [e perciò morale] deve esprimere una complementarietà olistica: uguaglianza tra i partner, uguale libertà per ambedue i partner, libera reciprocità tra i partner, reciproco impegno l’uno nei confronti dell’altro partner” viene immediatamente limitata dalla condizione “La tradizione cristiana aggiungerà che queste caratteristiche devono essere impregnate dell’amore per Dio e il prossimo esemplificato da Gesù”.
L’approccio cristiano alla sessualità umana, tradizionalmente negativo e basato sugli atti peccaminosi (non fare questo, non fare quest’altro), da tempo si è mostrato infruttuoso; noi scegliamo un approccio positivo, quasi virtuoso, perché crediamo e speriamo che possa portare più frutto. Riconosciamo che il nostro approccio implica un ideale molto alto, ma al tempo stesso ribadiamo che questo ideale molto alto è, se non l’unica via, perlomeno una maniera molto fruttuosa per guarire i guasti che il peccato introduce e fa maturare nella vita umana.
Andolsen solleva un problema che ci ha tenuti molto occupati durante la stesura del libro, vale a dire la scelta di abbandonare (oppure accettare e ricostruire) la parola, tratta dal Magistero, complementarietà. Conosciamo bene il bagaglio che questa parola si porta con sé, non solo nel suo senso generale e occidentale di ineguaglianza di genere travestita da complementarietà tra i generi, ma anche il significato specifico cattolico (ispirato da Giovanni Paolo II) di complementarietà sessuale maschio-femmina, che molte teologhe femministe, inclusa Andolsen, ritengono non essere altro che la tradizionale ineguaglianza di genere vigente in Occidente e rediviva. Ma quali alternative abbiamo? Ne abbiamo avute davanti due: abbandonare questa parola, consacrata dalla tradizione magisteriale, e venire accusati di ignorare la tradizione stessa, oppure accettarla e ricostruirla per rimuoverne ogni riferimento all’ineguaglianza di genere e sessuale, e venire accusati di accettare la tradizione acriticamente.
Un vero dilemma. Abbiamo scelto la seconda alternativa in quanto più costruttiva dal punto di vista teologico e, con la nostra concezione di complementarietà dell’orientamento sessuale, abbiamo cercato di stabilire l’orientamento sessuale stesso come aspetto naturale e centrale della sessualità umana dell’individuo (da qui il concetto di “antropologia rinnovata”) e di rimuovere dalla parola complementarietà ogni riferimento all’ineguaglianza di genere o sessuale. In molti hanno criticato questa nostra scelta, ma crediamo che essa, nel lungo periodo, sarà quella più fruttuosa dal punto di vista teologico e morale.
Il concetto di orientamento sessuale, più specificamente il suo fondamento genetico, causa problemi ad Andolsen, perlomeno l’orientamento omosessuale; afferma che “gli autori fanno spesso riferimento all’evidenza empirica secondo la quale l’omosessualità è molto spesso determinata geneticamente” e poi “molti dubbi potrebbero essere sollevati sugli studi scientifici che parlano della componente genetica dell’orientamento omosessuale quando si cerca di stabilire la moralità degli atti e delle relazioni omosessuali”. Prima di tutto prendiamo in considerazione l’espressione decisa “determinata geneticamente”, che non accettiamo perché non riflette fedelmente il nostro pensiero.
Due volte, nel nostro libro, esprimiamo esplicitamente la nostra posizione sulla genesi degli orientamenti eterosessuale e omosessuale, facendo notare come “la comunità scientifica generalmente concorda sul fatto che non esista una singola causa isolata” dell’orientamento sessuale, e quindi non esiste nessun determinismo genetico. Facciamo poi ancora notare che “gli esperti indicano una grande varietà di fattori genetici, ormonali, psicologici e sociali da cui potrebbe derivare l’orientamento omosessuale”, per cui la genetica non è l’unico fattore (anche il libro di Stein, citato da Andolsen, lo afferma). Ribadiamo poi il concetto secondo cui “l’origine dell’orientamento sessuale non è esclusivamente genetica, né esclusivamente sociale”.
Il fraintendimento della nostra posizione sulla genesi e le implicazioni dell’orientamento sessuale da parte di Andolsen deriva forse da un’altra dichiarazione del nostro libro, da lei citata: a pagina 168 affermiamo che l’omosessualità è “inalterabile per ‘natura’ e voluta da Dio”. I lettori avranno notato che la parola natura appare fra virgolette e i più attenti si chiederanno il perché. La risposta sta nel modo in cui si intende il termine natura. Per l’etica cattolica tradizionalista, la natura di una cosa è la sua essenza, creata da Dio.
La legge naturale, su cui quest’etica si basa, è ciò che risulta dalla lettura della natura della cosa da parte della ragione umana. Per l’etica cattolica revisionista, d’altro canto, gli esseri umani “non ‘possiedono’ mai semplicemente una natura o ciò che in natura è dato”; noi conosciamo la natura “sempre come qualcosa che è già stato in qualche modo interpretato” (Joseph Fuchs). Per noi, come spieghiamo all’inizio del libro, “la legge naturale è costituita dall’attenzione minuziosa, dalla comprensione, dall’interpretazione, dal giudizio e dalla decisione responsabile delle persone razionali sulla natura e su ciò che essa richiede, e mai semplicemente il puro dato dato naturale”.
Nella nostra concezione, la ragione umana non tanto legge le leggi della natura, quanto coopera a scriverle. La natura non è mai priva di interpretazione; al contrario, è sempre socialmente costruita da esseri umani razionali, come vi diranno sociologi e filosofi. Essendo socialmente costruita “in questo libro la citeremo sempre tra virgolette, ovvero la ‘natura’’, mai la natura. Perciò, quando parliamo dell’omosessualità ‘inalterabile per ‘natura’’, non stiamo suggerendo un determinismo genetico ma stiamo semplicemente ribadendo, con altre parole, la nostra idea fondamentale sugli orientamenti eterosessuale ed omosessuale, vale a dire che sono il risultato di un bagaglio di fattori genetici, ormonali, psicologici e sociali. L’orientamento sessuale che ne risulta, ovviamente, non è morale né immorale; solamente gli atti sessuali, eterosessuali od omosessuali, che risultano dalla libera scelta degli esseri umani sessuati, sono morali o immorali, a seconda dell’impatto positivo o negativo sulla propria relazione complessiva con Dio, il prossimo e se stessi.
Partendo dal giudizio errato sul determinismo genetico, Andolsen solleva tre dubbi “sugli studi scientifici che parlano della componente genetica dell’orientamento omosessuale quando si cerca di stabilire la moralità degli atti e delle relazioni omosessuali”. “Per prima cosa” scrive, “dovremmo chiederci se tali studi siano metodologicamente ed intellettualmente validi”; a questo primo dubbio rispondiamo di non conoscere nessuno studio che dimostri in modo inoppugnabile un’origine esclusivamente genetica dell’orientamento sessuale; conosciamo invece molti studi, compresi i pochi citati nel nostro libro, che vanno nella direzione del bagaglio di fattori.
Il secondo dubbio o commento fa correttamente notare che “gran parte della letteratura scientifica sul ruolo della genetica è costituita da studi sui maschi omosessuali”. Gli studi sulle lesbiche sono più scarsi perché le questioni riguardanti i gay hanno una storia più lunga e sono sempre state più impellenti; in ogni caso, la sempre crescente mole di informazioni sull’orientamento lesbico va nella stessa direzione delle ricerche sui gay, ma non ancora in modo inoppugnabile. Al terzo dubbio abbiamo già risposto. Andolsen afferma che “anche persuasive prove scientifiche che una caratteristica o condizione umana sia geneticamente determinata non risolve la questione del valore o disvalore morale di tale caratteristica o condizione”. Siamo d’accordo e ripetiamo quanto abbiamo detto poc’anzi: l’orientamento sessuale non è morale né immorale; solamente gli atti sessuali, eterosessuali od omosessuali, che risultano dalla libera scelta degli esseri umani sessuati, sono morali o immorali, a seconda dell’impatto positivo o negativo sulla propria relazione complessiva con Dio, il prossimo e se stessi.
Andolsen attira poi l’attenzione sulla pianificazione familiare naturale (PFN) e le tecnologie riproduttive artificiali (TRA). Andiamo con ordine. Andolsen confronta la pianificazione familiare naturale con “metodi più affidabili di controllo delle nascite” e afferma che la loro affidabilità è una componente essenziale per stabilire e preservare l’uguaglianza di genere nelle relazioni sessuali. Anche se nel nostro libro non trattiamo tale questione, siamo d’accordo con la sua affermazione. Andolsen poi afferma, non si sa perché, che noi, assieme ai “sostenitori della pianificazione familiare naturale”, “glissiamo” sulla sua inefficacia e, di conseguenza, non analizziamo bene le sue potenzialità nel “sostenere più efficacemente la piena uguaglianza di genere”. In risposta a questa dichiarazione, vogliamo chiarire il significato della parola “glissare”.
Si può glissare su una tematica in due modi: si può fornire un’interpretazione falsa o fuorviante dei dati a disposizione, oppure glissare su un argomento (ma sarebbe più corretto dire che semplicemente non se ne parla) perché non è su quello che verte il discorso, anche se può certamente essere addotto come prova all’interno del discorso stesso. Molti difensori della pianificazione familiare naturale glissano sulla sua inefficacia nel primo senso, arrivando a presentare dati fuorvianti (secondo cui, per esempio, la pianificazione familiare naturale è affidabile al 99%), ma noi abbiamo glissato nel secondo senso. L’inefficacia della pianificazione familiare naturale non inficia il nostro assunto secondo cui “sarebbe oppressivo, da parte della Chiesa, prescrivere un sistema di controllo delle nascite [la pianificazione familiare naturale] così controcorrente e che crea un fardello non voluto né necessario, specialmente per le donne”. Tra noi e chi propone la pianificazione familiare naturale esistono differenze antropologiche rilevanti e cruciali, diversi principî, diverse norme. Il tasso di inefficacia della pianificazione familiare naturale e le sue implicazioni per l’uguaglianza di genere mettono radicalmente in discussione le affermazioni di chi la propone, e al tempo stesso convalida le nostre. Nel nostro principio fondamentale, l’amore e la giustizia includono l’uguaglianza di genere.
Inoltre, affermare, come facciamo noi, che la maggior parte delle culture è patriarcale e che la disparità di genere, in queste culture, “inibisce l’uguaglianza nelle relazioni auspicata dai fautori della pianificazione familiare naturale”, non è lo stesso che affermare che se l’uguaglianza di genere venisse realizzata nelle culture patriarcali, allora la pianificazione familiare naturale senz’altro “sarebbe l’espressione dell’equità di genere”. Questa è una falsa dicotomia: la premessa secondo la quale esistono solo queste due alternative (o l’equità di genere viene realizzata, e allora la pianificazione familiare naturale è moralmente obbligatoria, o essa non viene realizzata, e allora la pianificazione familiare naturale non è moralmente obbligatoria) è logicamente falsa. La nostra posizione è questa: anche se l’equità di genere venisse realizzata, non è detto che la pianificazione familiare naturale debba essere il luogo adatto per compiere atti sessuali autenticamente umani. L’affidabilità dei metodi contraccettivi, come fa notare Andolsen, va presa in considerazione, assieme a molti altri fattori, nel giudicare se fare uso o meno della pianificazione familiare naturale.
Venendo alla questione delle tecnologie riproduttive artificiali , Andolsen ci invita a prendere maggiormente in considerazione la mercificazione e delle sue “non volute conseguenze sociali” e ci accusa di “descrivere tendenziosamente le intenzioni coscienti di determinate coppie sterili”. Siamo d’accordo sul fatto che la mercificazione è un pericolo in agguato e, quindi, una questione importante. Nel nostro libro vi “glissiamo” nello stesso senso in cui “glissiamo” sulla pianificazione familiare naturale e sulle sue implicazioni per l’equità di genere. Come chiarito dal nostro principio fondativo, gli atti coniugali, che includono sempre anche le intenzioni, hanno delle conseguenze per la coppia, la famiglia e la comunità. La mercificazione voluta dei bambini da parte di alcune coppie è certamente una considerazione morale centrale per qualsiasi delle tecnologie riproduttive artificiali , come lo è la mercificazione dei bambini come conseguenza sociale non voluta. Vi alludiamo di passata quando citiamo Thomas Shannon sulla serie di considerazioni che i cattolici dovrebbero fare: “l’importanza relativa della genitorialità biologica, i fondi per la ricerca sulla riproduzione artificiale, l’accesso alle cliniche specializzate, il posto della riproduzione artificiale nell’ambito degli altri servizi sanitari e lo status e il ruolo dei bambini all’interno della società”. Il problema della mercificazione può essere e sarà esplorato più a fondo quando analizzeremo in dettaglio le implicazioni logiche e normative della nostra antropologia e del nostro principio fondativo.
Andolsen nota come un capitolo del libro sia dedicato alla moralità delle relazioni sessuali prematrimoniali, “limitandosi però alle coppie che hanno già programmato di sposarsi”. Secondo Andolsen, un punto è molto significativo: nell’Occidente contemporaneo, dove tra la pubertà e il matrimonio passa un lungo periodo, un periodo in cui un grande numero di adulti è single, “l’assenza di indicazioni sull’attività sessuale tra due partner che non intendono sposarsi è una grossa mancanza”. Siamo d’accordo, ma indicazioni ne abbiamo date. È vero che ci siamo concentrati sui conviventi che hanno programmato di sposarsi in quanto protagonisti di una possibile cerimonia di fidanzamento, che permetterebbe alle parrocchie di fornire loro una formazione in vista del matrimonio, ma non è vero che ci siamo limitati a loro. Quando abbiamo discusso la questione dell’impegno, non l’abbiamo limitato al matrimonio ma l’abbiamo esteso a tutte le relazioni sessuali.
L’impegno come lo intendiamo noi, vale a dire l’impegno nei confronti del o della partner e della relazione (non necessariamente sancita dal matrimonio), è necessario per creare quella sorta di stabilità (simile a quella assicurata dal matrimonio) che permette ai partner, alla relazione e a ogni figlio nato dalla relazione di fiorire e svilupparsi. A nostro avviso, tale doppio impegno è necessario in nome del nostro principio sessuale fondativo e, in particolare, in nome della virtù della giustizia. In tutto il libro ribadiamo che “per essere autenticamente umana [e, quindi, morale] l’attività sessuale, che sia eterosessuale oppure omosessuale, non solo deve essere in armonia con la complementarietà olistica, ma anche essere giusta e amorevole”. Perché sia amorevole, è necessario volere il bene del o della partner come se fosse il proprio; perché sia giusta, è necessario che vi siano il reciproco desiderio, l’uguaglianza e la libertà. Crediamo che le ferite, e talvolta le devastazioni, così diffuse e causate dagli esseri umani attraverso l’attività sessuale priva di un impegno, soprattutto a danno di donne e bambini, siano una prova sufficiente della necessità di tale impegno nelle relazioni sessuali, perché gli esseri umani possano svilupparsi in un contesto morale.
Abbiamo dichiarato all’inizio del nostro libro che “siamo apertissimi al dialogo”. Esprimiamo di nuovo la nostra gratitudine alla professoressa Barbara Hilkert Andolsen per aver accettato il nostro invito al dialogo, dandoci l’opportunità di spiegare meglio il nostro progetto. Le siamo particolarmente grati in quanto le sue critiche sono state svolte in uno spirito di carità che non distrugge la comunione istituita da Cristo e costituita dallo Spirito di Dio, che è anche lo Spirito di “giustizia, pace e gioia” (Romani 14:17).
Invitiamo altri a prendere parte a questo dialogo nel medesimo Spirito e nel medesimo spirito e speriamo vivamente che molti altri accettino il nostro invito a discutere una questione morale così importante e urgente come il significato delle relazioni sessuali e degli atti sessuali autenticamente umani, che sono gli effettivi sacramenti di quelle relazioni.
* Risposta pubbliucata dai teologi Todd A. Salzman e Michael G. Lawler alla recensione della teologa Barbara Hilkert Andolsen al loro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic Anthropology, Georgetown University Press, 2008, 352 pagine.
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
Testo originale: A Dialogue with Barbara Hilkert Andolsen about Our Book The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic Anthropology