“Olya’s love” in Russia, dove l’amore tra donne fa “andare all’inferno”
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Articolo di Silvia De Santis pubblicato sul sito dell’huffingtonpost.it il 12 giugno 2015
È sera a Mosca. Al vernissage “Alla Russia con amore” un grappolo di persone passa in rassegna con lo sguardo dodici fotografie arrivate dalla Germania. Ritraggono famiglie lgbt tedesche, “arcobaleno” diremmo in Italia. Olya si è spesa molto per organizzare l’evento, anche lei sogna di sposarsi e avere un figlio con la sua compagna. Ora è li a brindare e godersi il suo piccolo successo con Galya. Prima di incontrarla aveva avuto due fidanzati, mancini entrambi. “Un problema per mia madre che è molto conservatrice – racconta – e considerava strano fare tutto con la mano sinistra. Figuriamoci ora, che sto con Galya. Non che sia omofoba, ma è molto riservata ed ossequiosa della “normalità”. Sono sicura che se le capitasse di innamorarsi di una donna, farebbe di tutto per reprimere i suoi sentimenti”.
Poi, all’improvviso, un gran trambusto. Come una scheggia, un ragazzo urlante si fionda nella stanza. Brandisce un mappamondo dipinto di rosso: “Mosca non è Sodoma! Pentitevi dei vostri peccati o finirete all’inferno!”. Lo raggiunge una ragazza, scatenata come lui. “Cosa avete nel cervello? Siete pazzi! È innaturale, non lo capite?”. A combattere i “depravati” omosessuali di Russia ci pensano loro, gli adepti della “Volontà di Dio”. Sono il braccio armato della Chiesa ortodossa, che fa il paio con la Duma nella lotta ai gay e alle lesbiche del Paese: Vangelo, invettive e radicalismo, senza lesinare agguati e pestaggi ai peccatori “lussuriosi” e “pederasti”, li definiscono.
Attraverso la storia di Olya, giovane attivista Lgbt, il biopic di Kiril Sakharnov, “Olya’s love” – proibito in Russia, anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna – documenta la situazione della minoranza omosessuale nella democratica Russia di Putin, dove dal 2013 è in vigore una legge che vieta la “propaganda” omosessuale in presenza di minori e punisce con pesanti multe anche i mezzi di comunicazione promotori di messaggi “lesivi” per lo sviluppo e la crescita di bambini e adolescenti. “Tutto è partito da Facebook”, racconta Ksenia Sakharnova, produttrice del film. “Un giorno Olya, che era mia amica virtuale, ha fatto outing sul social network. Mi sono detta: perché non farci un documentario?”.
Così le telecamere sono entrate in casa di Olya e Galya, le hanno seguite alla “Marcia del milione” per protestare contro il fascismo e le discriminazioni sessuali, le hanno riprese ai picchetti sotto la Duma nel giorno dell’approvazione della legge antigay. Il ballo romantico, le dediche scambiate su cuoricini di cartone nel giorno di San Valentino, si scontrano con un Paese culturalmente impreparato all’omosessualità, in cui dichiarare il proprio orientamento “non convenzionale” può persino costare la vita – nel film si ricorda il 23enne ucciso a Volgograd per aver fatto outing – e manifestare in piazza vuol dire esporsi ad attacchi omofobi destinati a restare impuniti o rischiare l’arresto (lo stesso regista, durante le riprese, una volta è finito in prigione con le ragazze).
In un costante intreccio tra dimensione privata e collettiva, “Olya’s love” mostra come possa diventare pericoloso un amore che la società reputa una deviazione: semplici gesti tra le due ragazze come cucinare, verniciare le pareti, parlare di avere un bambino, assumono in un quadro simile significato politico e, in qualche modo, eversivo.
“La comunità Lgbt a Mosca conta al massimo una trentina di persone” racconta la produttrice “Eppure gli attivisti sono continuamente braccati dalla polizia. Io e mio marito siamo stati i primi a trattare l’argomento, fino a poco tempo fa quasi sconosciuto, un tabù. Comunque la legge del 2013, contrariamente ai suoi propositi, ha contribuito in qualche modo a risvegliare il dibattito pubblico. Resta il fatto che i tentativi di organizzare un gay pride muoiono ogni anno sotto i colpi delle forze dell’ordine”.