Omosessualità in famiglia come parlarne
Articolo di Emanuele tratto da Acqua di fonte n.24 dell'ottobre 2002
Ogni momento nella società ci porta a dover mediare con situazioni quantomeno difficili: il mio collega di lavoro ostenta un atteggiamento omofobo che faccio, reagisco o faccio finta di nulla? Convivo ancora coi miei genitori e voglio invitare i miei amici gay a casa: allora si può parlare liberamente o devo costringere tutti a tacere circa la propria identità sessuale? Conviene o non conviene fare coming out in famiglia? Vivere di mezze verità, giorno dopo giorno, può essere fonte di soddisfazione per una persona?Aiuta a rinsaldare il rapporto genitori-figli o contribuisce a spezzare la famiglia? Come reagisce la gerarchia ecclesiastica di fronte a questo problema? Il tacerlo non contraddice il principio etico (che condivido) dell’ “unità della famiglia”? Chiediamocelo.
Quando in televisione (nei talk-show, nei telegiornali) si parla di un argomento, si cerca quasi sempre lo scoop, la notizia ad effetto, e ciò che sta dietro allo scoop spesso è trascurato o superficialmente affrontato. Così, quando si parla di omosessualità, si parla dei Pride, di malati di Aids: tutte situazioni reali, ma minoritarie rispetto alla vita quotidiana che un giovane gay deve affrontare.
Ogni momento vissuto in mezzo alla società ci porta a dover mediare con situazioni quantomeno difficili: il mio collega di lavoro ostenta un atteggiamento omofobo ed io reagisco o faccio finta di nulla? Convivo ancora coi miei genitori e voglio invitare i miei amici gay a casa: allora si può parlare liberamente o devo costringere tutti a tacere circa la propria identità sessuale? Conviene o non conviene fare coming out in famiglia?
Qualsiasi psicologo sa che la causa di maggior sofferenza per un adolescente omosessuale è la paura di affrontare i propri genitori da cui il giovane dipende non solo finanziariamente, ma soprattutto affettivamente. Il sentire affetto attorno a sé è l’elemento base per crescere con una sufficiente autostima e quindi vivere la propria vita con equilibrio,cioè senza essere troppo aggressivi né troppo depressi o ansiosi.
Un uomo maturo ed economicamente indipendente può nascondere ai propri genitori chi frequenta durante il giorno e con chi convive. La cosa poi sembra non presentar problemi per chi vive lontano da casa.
Ma continuare a mentire con la tecnica delle mezze verità giorno dopo giorno può essere fonte di soddisfazione per una persona? Aiuta a rinsaldare il rapporto genitori-figli o contribuisce a spezzare la famiglia? Come reagisce la gerarchia ecclesiastica di fronte a questo problema? Il tacerlo non contraddice il principio etico (che condivido) dell’ “unità della famiglia”?
Circa l’opportunità di aprirsi con i genitori Giovanni Dall’Orto scrive “…io consiglio la sincerità coi genitori, anche a costo di iniziare una guerra famigliare della durata di un anno o due. E’ meglio litigare a intermittenza per un anno ma finalmente risolvere il problema e volersi più bene di prima, che litigare con la famiglia per futili pretesti (chemascherano i veri motivi di dissenso) per trenta o quarant’anni e sperimentare un distacco che ogni anno che passa si accresce. (…)
Spesso occorrono anni per godere di tutti i vantaggi della sincerità. Ad esempio, per portare avanti una relazione d’amore è indispensabile la scelta della sincerità, specie se vuoi vivere assieme alla persona che ami (…) perché quando due si amano è inevitabile che qualcosa della loro relazione traspaia”.
Onore al merito alla Commissione episcopale statunitense per il Matrimonio e la Famiglia che, pur collocandosi entro una discutibile visione negativa dell’omosessualità, nel messaggio pastorale “Pur sempre nostri figli” si rivolge ai genitori di omosessuali e tutto sommato dimostra una certa sensibilità al problema.
Per concludere voglio ricordare un film americano “The sum of us” (La somma di noi). Si parla di un padre consapevole dell’omosessualità del figlio e, nonostante questo, tra i due vi è una salda amicizia. Il padre, colpito da un ictus, resta paralizzato e il figlio lo accudisce a tempo pieno, pur convivendo con un altro uomo. Che sia realtà o utopia, questa situazione resta per qualsiasi cristiano un obiettivo a cui mirare.
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