Papa Ratzinger e il suo doppio
Articolo del 20 marzo 2013 di Maurizio Chierici pubblicato su il Fatto Quotidiano
Le vie della malinconia sono forse più infinite delle strade del Signore, soprattutto a una certa età. Ed è difficile la solitudine quando la vita si confronta con quella che è stata la vita alla quale si è rinunciato. L’onomastico di un papa è un appuntamento più importante del compleanno.
Unisce le ricorrenze dell’esistenza terrena alla fedeltà verso un passato al quale affidare la speranza del futuro. Joseph, Giuseppe, san Giuseppe: un anno fa auguri mormorati con la discrezione obbligata nelle sacre stanze. E i sorrisi e gli inchini composti di quando regnava in Vaticano.
Non sappiamo su quale poltrona di Castel Gandolfo, Joseph, ex vescovo di Roma, ha cominciato la sua giornata di festa davanti alla Tv, occhi rivolti a piazza San Pietro dove il successore apriva i mesi e gli anni del nuovo potere spirituale. Non sappiamo con quale emozione accoglie il primo pensiero che Francesco gli rivolge nelle prime parole dell’omelia: quasi un addio. E la solitudine, forse la nostalgia, impallidiscono sentimenti mai rivelati.
LE FINESTRE si affacciano sul lago che la primavera illumina come una festa dopo nuvole e pioggia. Ma l’attenzione resta allo schermo: non riesce a staccarsene. Francesco che attraversa la gente fuori dal guscio della Papa-mobile. Solo un gippone ridipinto di bianco. Lui non aveva mai osato.
Invece Francesco sfida le regole della prudenza e scende fra la gente per abbracciare il ragazzo steso sul letto dei disabili: lo bacia, lo accarezza e accarezza i bambini con mani sicure così diverse dalle mani timide che Joseph allungava timoroso ai fedeli. E stringe fra le sue mani, con la disinvoltura di un amico che ritrova gli amici, le mani dei potenti in fila nella cerimonia degli omaggi.
Bacia la madre di Correa, presidente dell’Ecuador, col sorriso di un signore che mantiene l’allegria nella noia dei cerimoniali. Joseph non riusciva a sciogliere una felicità liberatoria quando le folle lo stringevano, lo guardavano, lo studiavano per indovinarne i pensieri. Capisce che a Francesco non importa come la gente lo guarda o cosa gli vuol rubare. Cammina sicuro anche se le gambe non sono da giovanotto.
Un papa non invidia nessuno, ma nel papa che per stanchezza ha rinunciato al trono, magari, trema il soffio del rincrescimento quando Francesco dimostra che abbandonarsi e abbracciare e ridere assieme a chi lo invoca, manifesta una sicurezza che avrebbe forse allarmato le ombre indaffarate a gestire quel potere troppo pesante per un teologo in pace coi libri.
JOSEPH sa bene quali sono i silenzi nei quali la prudenza vaticana nasconde le decisioni importanti. Sorvola la piazza della gente e delle bandiere, con altri pensieri.
Se il cardinale Hummes ha raccomandato a Bergoglio una Chiesa povera per poveri ispirandogli il nome di Francesco; se Hummes ha ripetuto ai suoi giornali brasiliani che il nuovo papa aprirà tre grandi riforme, vuol dire che Hummes e Francesco ne hanno discusso perché nessun cardinale si avventura in dichiarazioni così impegnative senza il consenso palese o nascosto del nuovo pontefice. A memoria di Joseph non era mai successo.
Riforma della Curia, racconta Hummes. E poi riforma delle struttura della Chiesa e l’apertura del problema che inquieta e assottiglia il numero dei sacerdoti: quel celibato obbligatorio. E Joseph ripensa alla storia di Hummes. Giovane vescovo che attorno a San Paolo si incatena ai cancelli di una fabbrica per impedire “lo sfruttamento degli operai”. Cardinale ormai in età, che assieme a Lula, presidente del Brasile, condivide la notte di Natale fra i disperati di una favela. Chissà se i pensieri si incrociano e Francesco pensa a ciò che sta pensando l’ex vescovo di Roma.
Chissà se il ritorno del grande teologo in Vaticano, due passi dall’altra parte del giardino, può essergli d’aiuto nei momenti difficili o diventare una presenza che silenziosamente condiziona i suoi progetti. E chissà se dovrà aspettare la scomparsa del papa tedesco per diventare il papa argentino che la gente sta immaginando.