Perché la Santa Sede ha paura?
Riflessioni di Fabio Regis, autore del saggio L’amore forte (2008)
«Perchè?». La domanda più elementare del mondo. Più spontanea. Più immediata. Più innocente. Se lo chiedono i bambini di fronte alle novità che, via via crescendo, scoprono. Se lo chiedono coloro che sono colpiti da qualche disgrazia. A volte c’è una risposta, a volte non c’è.
Oggi se lo chiedono, non senza stupore, tanti credenti e non credenti: «Perchè?». Perchè la Santa Sede, nella sua veste di osservatore permanente alle Nazioni Unite, ha deciso di non sottoscrivere la dichiarazione sulla decriminalizzazione universale dell’omosessualità?
Già, «perchè?». Se lo chiede anche Gian Enrico Rusconi su La Stampa: “Non è chiaro dove porterà questa strategia. […] Verosimilmente non interpreta neppure i convincimenti di milioni e milioni di sinceri credenti. Perché si adotti oggi questa strategia non è chiaro”.
Cerchiamo di fare chiarezza. Se proviamo a ricercare le cause alle radice, non si riesce a rinvenire altro che paura. La Santa Sede ha paura. A Roma incominciano a rendersi conto che incalzare le persone omosessuali con la retorica generalizzante del “disordine morale” è diventato estremamente rischioso.
Alcuni documenti che sono stati scritti sulle minoranze sessuali contengono discorsi palesemente offensivi, al punto da esporre a potenziali rischi legali coloro che ne facciano pubblico uso, sotto determinate giurisdizioni, laddove le espressioni omofobiche siano assimilabili alle espressioni razziste e antisemite, per tutelare onore personale e ordine pubblico dai cosiddetti «discorsi d’odio».
La Santa Sede teme che la portata politica della decriminalizzazione universale dell’omosessualità conduca ad un inasprimento della criminalizzazione degli atti omofobici.
Questo condurrebbe, da un lato, a riconoscere la persecuzione degli omosessuali come categoria di persone come gross violation di diritti umani (al pari del genocidio) e dunque la perseguibilità dei persecutori per «crimini contro l’umanità».
Dall’altro lato, sottoporrebbe qualunque matrice ideologica, anche di tipo religioso, a limiti nella libertà di espressione sull’orientamento sessuale, qualora si volesse propagandare che l’orientamento omosessuale è, in qualsiasi modo, «inferiore» a quello eterosessuale in quanto a dignità e diritti, incluso il diritto di famiglia.
Quanto sono costati i processi per gli abusi sessuali? Si parla di centinaia di milioni di dollari. Quanto potrebbero costare in futuro le cause per lesione del diritto all’onore degli omosessuali sotto giurisdizioni che perseguono come diffamatorie e ingiuriose le offese espresse dalla retorica generalizzante del “disordine morale”?
In questo contesto, il riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso appare un “problema” minore. Certo, ha il suo richiamo mediatico, ma resta il minore dei problemi della Santa Sede. La storia farà il suo corso e alla fine darà ragione a chi, tra favorevoli e contrari, avrà avuto le migliori idee e argomentazioni per convincere gli altri.
In molti paesi l’opinione pubblica favorevole al riconoscimento è già largamente maggioritaria. In un numero crescente di paesi le coppie dello stesso sesso possono sposarsi come le coppie eterosessuali. La Santa Sede sa che non ha alcun potere temporale per sostituirsi a un parlamento o a una corte costituzionale per definire cosa è matrimonio civile e cosa non lo è.
Su un punto di dottrina vanno, però, tenute in debita considerazione le preoccupazioni della Santa Sede. E cioè se debba essere o non essere obbligatoria la cooperazione all’esercizio di un diritto come quello di una coppia dello stesso sesso che intenda sposarsi.
Se debba cioè esistere un obbligo da parte dei pubblici funzionari a celebrare il matrimonio fra persone dello stesso sesso o se debba essere prevista la possibilità di obiezione di coscienza, così come avviene per tutelare il rispetto della coscienza del medico che non intende cooperare all’interruzione di gravidanza.
Qualora il pubblico funzionario fosse contrario in coscienza a celebrare il matrimonio per una coppia dello stesso sesso, e se questi fosse obbligato dalla legge a celebrare tale matrimonio contro le sue convinzioni religiose profondamente radicate, qui potrebbero sussistere presupposti per una certa forma di “ingiusta discriminazione” così come evocata dalla Santa Sede. Di questo, effettivamente, i legislatori potrebbero tenerne conto.
Resta però una differenza di fondo tra aborto e matrimonio fra persone dello stesso sesso. Il primo non appare in alcun modo un diritto umano, stante la dignità umana acquisita fin dal concepimento, ma si configurerebbe, al più, come un diritto civile invocabile in casi eccezionalissimi, e sempre per tutelare la vita della madre.
La differenza è la seguente. I diritti civili sono concessi dallo stato. Ben altra cosa sono i diritti umani. Essi non sono infatti suscettibili di concessione da parte dello stato. Essi sono pre-politici, esistono al di là di qualsiasi riconoscimento. Lo Stato non può usare il suo potere normativo per intromettersi nella sfera dell’autonomia famigliare.
Piaccia o no, le coppie dello stesso sesso sono formazioni famigliari, per quanto diverse dalla formazione famigliare tradizionale. L’autonomia famigliare è costituzionalmente protetta. Il diritto di sposarsi è un diritto umano. Le conclusioni a cui giunge un numero crescente di giudici costituzionali è che questo diritto vale per tutti, coppie eterosessuali e coppie omosessuali. Alle stesse conclusioni arriva, anno dopo anno, un numero crescente di maggioranze parlamentari nelle nostre democrazie avanzate.
Sul fronte religioso, la teologia cristiana non ha raggiunto un adeguato grado di consenso in merito al riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Appare interessante in proposito la posizione della Commissione Teologica Primaziale della Chiesa anglicana del Canada, paese in cui è riconosciuto il matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso.
La Commissione non è arrivata a risolvere la questione, ma ha fissato un principio importante. Il riconoscimento religioso delle coppie dello stesso sesso è materia di dottrina di fede (sia che l’esito futuro sia favorevole o contrario al riconoscimento), ma non è questione che riguarda la dottrina fondamentale, cioè il Credo. In pratica, secondo questo gruppo di teologi, sia i favorevoli, sia i contrari al riconoscimento dell’unione fra persone dello stesso sesso, rimangono comunque fedeli al nucleo fondamentale della dottrina cristiana.
Per riassumere quanto detto fin qui, la Santa Sede non ha grosse ragioni per temere il riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso. Il diritto umano dalla cui interpretazione potrebbero dipendere il peggioramento della sua reputazione, cause legali e risarcimenti astronomici sarà il diritto all’onore delle persone omosessuali.
Ma questo diritto umano esiste già, è già riconosciuto. Non ha bisogno di protezioni speciali e aggravanti. L’inasprimento della criminalizzazione dei discorsi omofobici certamente rappresenterà una ulteriore sfida alla retorica generalizzante del “disordine morale”. La Santa Sede questo lo sa. E ha paura.