Prima settimana del Sinodo dei Vescovi. I temi caldi: “l’interpretazione della Bibbia e il ruolo del Magistero”
Articolo di Giovanni Panettiere di Noi Siamo Chiesa – Emilia Romagna
E’ cominciato il 5 e si concluderà il 26 ottobre 2008 il Sinodo dei Vescovi dedicato alla “Parola di Dio” che si terrà in Vaticano, a cui partecipano ben 253 vescovi cattolici provenienti dai cinque continenti. Proviamo a scoprire, settimana dopo settimana i temi della discussione.
Nella prima settimana del Sinodo è stata subito messa in chiaro la posta in gioco che sarà discussa nell’assise, ovvero “l’interpretazione della Bibbia e il ruolo del Magistero”. Cerchiamo di saperne di più.
Si è chiusa la prima settimana del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio. Senza particolari scossoni, fatta eccezione in sostanza per la giornata iniziale che ha registrato qualche sussulto, mettendo subito in chiaro la posta in gioco dell’assise: l’interpretazione della Bibbia e il ruolo del Magistero.
Magistero – vivo e non statico -, a cui la costituzione dogmatica del Vaticano II sulla divina rivelazione, la Dei Verbum, riconosce “l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa”, per precisare subito dopo che lo stesso “non è superiore alla Parola di Dio ma a essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso”. Ovvero, il Magistero vivo dà l’autentico significato delle Sacre scritture, ma con uno spirito di servizio per la Bibbia e senza insegnare ciò che nel testo non è espresso o, peggio, quel che il Magistero intende far passare per rivelazione divina.
Ad accendere la miccia, davanti ai 253 padri sinodali, è stato il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Nel suo intervento ha condannato “le interpretazioni soggettive della Bibbia”, richiamando “la responsabilità del Magistero come interprete autentico della Parola di Dio”.
Un monito forte, diretto ai teologici cattolici che, negli ultimi decenni, hanno posto sotto la lente di ingrandimento le contraddizioni e gli interrogativi non risolti della vita di Cristo. E, più in generale, del Vangelo. Tutti studiosi che hanno pagato cara – chi più chi meno – la loro libertà scientifica. Con provvedimenti dell’ex Sant’Uffizio.
A dar man forte a Levada è sceso in campo anche il cardinale Marc Quellet, relatore generale del Sinodo. Per il porporato urge “un’enciclica sull’interpretazione della Scrittura nella Chiesa e il rapporto tra i due testamenti” perché “le errate interpretazioni della Bibbia” e “le omelie non aiutano” dinanzi alla “confusione propagata da fenomeni mediatici come il Codice da Vinci”. E’ tempo di arrestare “il clima di tensione, spesso malsano, tra teologici cattolici e Magistero ecclesiastico”.
Insomma, occorre che sia il papa a mettere in riga gli studiosi, anche se esiste già la Dei Verbum che regola il rapporto tra teologi o esegeti e Magistero, ponendo questi studi “sotto la vigilanza del sacro Magistero”. come si legge nel provvedimento conciliare. Ma per Quellet non basta.
Sempre nella prima giornata si è avuto l’intervento del rabbino capo di Haifa Shear Yesuv Cohen. Un unicum per la storia del Sinodo, organismo istituito nel 1965 da Paolo VI, attraverso il motu proprio Apostolica sollecitudo.
E non è mancato un fuori programma: “Crediamo che Pio XII non dovrebbe essere beatificato o preso a modello perché ha mancato di salvarci o di levare la sua voce, anche se ha cercato segretamente di aiutare”, ha dichiarato ai giornalisti il rabbino, una volta uscito dall’aula sinodale. Parole che non condannano apertamente papa Pacelli, ma ne contestano la timidezza per il mancato anatema pubblico contro il terrore nazista.
Cohen ha anche reso noto, all’agenzia stampa Reuters, che se avesse saputo prima della messa solenne di Benedetto XVI pro Pio XII – in programma alcuni giorni dopo il suo intervento – forse avrebbe rinunciato a parlare al Sinodo.
Giovedì 9 ottobre papa Ratzinger ha, comunque, celebrato – presenti i padri sinodali – l’Eucarestia per il 50° anniversario della morte di Pio XII. Lanciando un appello ai fedeli: “Preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del servo di Dio, papa Pacelli”. Il pontefice ha così ribadito il proprio sostegno all’ascesa agli altari di una figura controversa come quella di Pio XII.
Fin qui il pepe dell’assemblea. Che si sta svolgendo con la novità metodologica – introdotta nel regolamento aggiornato del Sinodo del 2006 – della discussione libera fra i vescovi. Questo spazio che affianca gli interventi scritti programmati, cade, dalle 18 alle 19, nel corso di ogni congregazione generale pomeridiana. Con cinque minuti a disposizione per ogni intervento. Entusiasta per l’innovazione è il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo honduregno di Tegucigalpa, uno dei papali all’ultimo conclave. Con la fama – esagerata dai media – di porporato progressista: “Apprezzo molto la nuova metodologia perché permette degli interventi liberi e questo arricchisce molto l’assemblea”.
Ma di che cosa hanno parlato i vescovi nel corso della prima settimana? Del bisogno di rinnovare le parrocchie, valido strumento per portare i fedeli a una relazione vitale con il Signore, affinché lo seguano con amore. Centrale, inoltre, la riflessione sull’esegesi biblica: troppo spesso – si è detto in aula – esegesi e teologia viaggiano sui binari separati. Anzi, sembra quasi che si dia credibilità a coloro che si distaccano maggiormente dalle verità contenute nel testo sacro. Ma c’è stato anche qualche padre che non se l’è sentita di ‘volare alto’ e ha preferito lanciare una proposta più terra a terra: basta foto in chiesa durante la messa.
Mentre un vescovo ha chiesto di evitare le omelie politiche perché rischiano di dividere e non unire il popolo di Dio. Il Sinodo ha, poi, espresso la sua vicinanza al popolo iracheno dopo le violenze contro i cristiani a Mossul.
Nella mattina di giovedì sono stati eletti i membri della commissione – presidente monsignor Gianfranco Ravasi – per la stesura del messaggio conclusivo del Sinodo. Da questo testo il papa trarrà spunto per la stesura della esortazione apostolica, il documento che, come è prassi nelle ultime assemblee sinodali, sancisce le direttive sull’argomento al centro del confronto episcopale. Vedesi, per esempio, la Sacramentum caritatis per il Sinodo del 2005 sull’Eucarestia.
Questi i vescovi scelti: l’arcivescovo John Onaiyekan, pastore dell’arcidiocesi di Abuja, in Nigeria, in rappresentanza dell’Africa, il cardinale Rodriguez Maradiaga per l’America, l’arcivescovo di Guwahaiti, India orientale, Thomas Menamparampil per l’Asia.
E, poi, per l’Europa il cardinale Godfried Danneels – arcivescovo di Bruxelles e figura storica del fronte riformista, soprattutto per le tiepide aperture sull’uso del preservativo e sul superamento della norma che impone l’obbligo di celibato ai preti -, per la Curia romana il presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, cardinale Walter Kasper, principe della Chiesa convertitosi alla causa conservatrice. Almeno in tema di dialogo ecumenico.
Non ha toccato tanto aspetti esegetici o teologici, ma ha parlato dell’annuncio come rapporto vivo con la storia e la sofferenza dell’uomo. Nel suo intervento – vibrante e profondo – il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha voluto ricordare l’importanza di incarnare la Parola di Dio nella vita quotidiana.
Di testimoniare nei fatti il Vangelo. Per essere più credibili nell’annuncio della fede: “Osservare la parola significa innanzitutto, come ci ha insegnato la predicazione di Gesù, testimoniarla con la propria vita e tradurla in opere di carità. Anche i tanti approfondimenti esegetici, le molteplici iniziative catechetiche e tutti gli sforzi rivolti a una maggiore conoscenza rischiano di non portare frutto, se la Parola non viene vissuta con coerenza nella vita quotidiana”.
E per fare questo Sepe ricorda che: “occorre andare alle sorgenti, ossia alla carità: solo essa, se vissuta e praticata, può cementare il tessuto ecclesiale e aprire la strada alla concretezza dell’amore. I tanti malati nel corpo e nello spirito, i poveri che affollano le strade delle nostre città, i luoghi di sofferenza, come gli ospedali, le carceri rappresentano altrettante prove concrete della fedeltà alla Parola e della nostra capacità di riformare la nostra esistenza su quella del ‘Vangelo vivente’ più eloquente di tante parole perché è diventato ‘carne e sangue’”.
Dall’altra parte “l’uomo contemporaneo – chiosa l’arcivescovo di Napoli – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”. Sorprende che il cardinale si sia espresso con parole ascrivibili a un cristianesimo sociale. Ma non troppo, dal momento che Sepe – il grande organizzatore del Giubileo del 2000 e per anni prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli – si sta dimostrando un moderato, impegnato nella lotta alla camorra sul territorio napoletano. Schierandosi a sostegno del giornalista Saviano, condannato a morte dall’organizzazione criminale.
Sempre nella prima settimana i padri hanno anche discusso dell’incapacità dell’uomo moderno – stressato, troppo povero o troppo ricco ovvero troppo preoccupato – di ascoltare. Non ha più orecchie né per udire i propri simili, né per mettersi in ascolto della Parola. Una riflessione condotta dagli interventi di un vescovo africano e di un altro sudamericano.
“In Africa – ha osservato monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, in Nigeria – diciamo che Dio ci ha dato due orecchie e una sola bocca per ascoltare di più; il progresso tecnologico può rendere molto difficile l’ascolto; la distrazione causata dalla povertà e dalla preoccupazione per le cose essenziali della vita, ma anche l’eccessiva ricchezza, rendono molto difficile ascoltare anche durante la messa”.
Eppure “la pratica dell’ascolto tra gli uomini e le donne del nostro tempo è della massima importanza; ascolto a partire dalle necessità e sofferenze, come faceva Gesù”, afferma monsignor Juan Bautista Gavilan Velasuez, vescovo di Coronel Oviedo, in Paraguay.
E il rapporto tra i giovani e Dio? Per il Sinodo i ragazzi sono alla ricerca del Padre e la Chiesa è chiamata ad andare loro incontro. Ma come? Frà Alois, priore della comunità ecumenica di Taizè, uno dei delegati fraterni presenti al Sinodo, ha esposto una serie di accorgimenti pastorali per avvicinare i giovani alla preghiera. Proposte su cui le diocesi – anche italiane – potrebbero lavorare: rendere i luoghi più accoglienti, lasciare a portata di mano i testi biblici, proporre i più facili per la liturgia, lasciando gli altri per la catechesi, osservare un lungo silenzio di meditazione dopo le letture.
E ancora: cantare per alcuni minuti una sola frase, capace di accompagnarli per l’intera giornata, senza dimenticare di proporre simboli semplici e gesti di confidenza con Cristo, come il bacio della croce fonte a terra che è prassi a Taizè. Ma soprattutto, per fra Alois, occorre una maggiore disponibilità di ascolto da parte dei sacerdoti, anche nelle ore serali, quando gli affanni si fanno più gravi.
Per approfondire
Seconda settimana del Sinodo dei Vescovi. I temi caldi: “dialogo islamico-cristiano e Bibbia”