Quando la scuola fa la differenza per una persona in transizione
Dialogo di Katya Parente con la docente Andrea Francesca Perinetti
È di qualche tempo fa la tragica notizia del suicidio di Cloe Bianco, la cinquantottenne docente di fisica transgender originaria di Marcon, che insegnava all’istituto agrario “Mattei” di San Donà di Piave, trovata morta nel suo camper. Fortunatamente, non sempre le cose vanno così male, anzi. È qui con noi, a raccontarci la sua esperienza, la professoressa Andrea Francesca Perinetti.
Da quanto tempo insegni?
Insegno dal 1985 da laureata, con qualche esperienza di supplenza temporanea mentre ero ancora all’Università. Dal 1997 insegno con continuità latino e greco nel Liceo Classico della mia città, Ivrea.
Come hai detto ai tuoi colleghi e alunni della rettifica di sesso? Come l’hanno presa?
Più precisamente si tratta di rettifica di genere, anche se comunemente si parla di rettifica di sesso, ma in modo non del tutto corretto. All’inizio di luglio mi sono presentata ad un gruppo ristretto di colleghe con le quali avevo un rapporto di amicizia, ma già dal 2018 una collega carissima aveva saputo di me, sostenendomi e supportandomi con grande affetto.
Il 1 di settembre ho comunicato via mail a tutti i colleghi del Collegio Docenti che mi avrebbero vista in modo diverso da come mi conoscevano, sintetizzando molto brevemente il percorso che avevo intrapreso. Sono stata tempestata da messaggi di ammirazione, stima e affetto. Il giorno 13, all’inizio delle lezioni, la voce si era già un po’ sparsa tra gli studenti, e quando sono arrivata, l’accoglienza è stata davvero splendida.
Nelle classi la mattinata è trascorsa parlando di me, della mia necessità di vivere nella mia identità reale: sono stata interpellata da loro con domande molto pertinenti, ed è stata una bellissima occasione di confronto. Il giorno dopo abbiamo iniziato a fare lezione come sempre.
Al di là dell’ambiente scolastico, qual è stata la reazione di chi ti sta accanto?
In una piccola città come Ivrea, ovviamente è stata la notizia che per qualche giorno ha occupato, credo, il pensiero e la riflessione di tante persone, soprattutto di chi mi conosceva. Poi la vita è proseguita con la consueta routine. I miei fratelli mi sono stati vicini e assolutamente accoglienti, in particolare mia sorella, che quasi da sempre sapeva della mia vera natura. Anche mia mamma, molto anziana, è stata molto tenera. Invece i miei figli hanno mostrato disagio, una difficoltà di accettazione che ancora perdura nel presente.
Che percorso ti ha portato a maturare questa decisione?
La necessità sempre più cogente di vivere come ero realmente; si arriva ad un certo punto che senti il diritto di vivere nella felicità, e togliere quella maschera che ti fa vivere sempre dimezzata.
La tragedia di Cloe Bianco poteva essere evitata?
Certamente! Doveva esserci rispetto del diritto di ciascuno ad autodeterminarsi; invece è stato sbarrato il dialogo, e l’istituzione si è dimostrata incapace di includere chi si è presentata nella sua condizione esistenziale autentica. Una sconfitta di tutta la società, a partire dalla scuola per arrivare alla politica: tutti hanno delle gravi responsabilità su questa tragica fine della professoressa.
Francesca è un esempio di coerenza e di forza, di orgoglio e di amore di sé: dovremmo tutti farci ispirare da lei, qualunque sia la sfida che dobbiamo affrontare. Da ultimo devo dire che sono particolarmente orgogliosa che la città che mi ha dato i natali, e con la quale ho sempre vissuto un rapporto di odio/amore, abbia in questo caso espresso un esempio di civiltà che spero sia seguito da molte altre.