Sono una madre e vi dico che “essere gay è normale”
Riflessioni di Michelle Payette-Daoust* del 5 novembre 2011 tratte dal sito la presse.ca (Canada), liberamente tradotte da Laura Chiappalupi
L’attenzione che ponete alla questione “ostentare o non ostentare la propria omosessualità” è sobria, chiara ed onesta. Tuttavia, ritengo che questa problematica sia più complessa e richiede di essere descritta più dettagliatamente.
Ho un figlio di 28 anni- Simon- che è un gemello omozigote. Lui è omosessuale mentre suo fratello Jeremy è eterosessuale. L’argomento della sua identità e della sua preferenza sessuale pertanto mi sta a cuore e mi tocca profondamente.
Vivere con Simon e Jeremy, alzarli tutte le mattine e accompagnarli nel loro percorso di vita mi ha fatto crescere e soprattutto ho capito che i criteri secondo i quali le persone si descrivono e definiscono sono spesso superficiali e troppo rigidi.
La ricerca personale di Simon è sempre stata fondata sulla domanda che ognuno di noi si pone: “chi sono e qual è il mio posto nel mondo?”. Considerato come se ne parla, la risposta a tale domanda, spesso, è ancor più pesante per gli omosessuali (soprattutto i giovani) : ma lo sarebbe di meno se i più visibili e conosciuti del loro ambiente ostentassero pubblicamente questo loro aspetto?
Ma giustamente, uno degli aspetti del dibattito che mi infastidisce di più è questo modo di dire “i giovani gay dovrebbero poter vivere in sicurezza ed essere accettati”; “bisognerebbe sensibilizzare la popolazione alla realtà gaia”; “occorre educare e far capire alla popolazione che l’esclusione, l’intimidazione e la discriminazione dei gay sono inaccettabili”. Il problema è che, con ognuna di queste affermazioni, sicuramente buon intenzionate, si è implicitamente trasmesso il messaggio che l’omosessualità, in un certo qual modo, è un fenomeno a parte dallo stato normale delle cose.
E’ come se in queste frasi si potessero sostituire i termini “lebbrosi”, “epilettici” o “schizzofrenici” alla parola “gay” : come se l’omosessualità fosse una realtà da accettare per compassione e senso di giustizia sociale.
Questo modo sbagliato di affrontare le questioni sull’identità e sulla preferenza sessuale, ha portato Simon a volersi istruire. Ha presto compreso che la propria salvezza l’avrebbe trovata nell’educazione e nell’informazione. Attualmente infatti, sta per conseguire il dottorato in biologia. A gennaio perseguirà, in Francia, una specializzazione in ecologia/parassitologia/entomologia. Dedicherà la sua vita a cercare di comprendere e a condividere le sue scoperte sulle relazioni tra tutti gli organismi della Terra. Tra i suoi pari ecologisti, l’aspetto ordinario e banale dell’omosessualità nella natura risulta ben compreso.
E’ in questo senso che l’atto di ostentare la propria omosessualità ed effettuare il coming out, un gesto volto a destigmatizzare una realtà mal compresa, pone paradossalmente a rischio l’incomprensione e la marginalizzazione dell’omosessualità. Ma i miei dubbi non si fermano quanto all’efficacia della strategia dell’ “outing”. Vi è anche, e forse soprattutto, il fatto che sia piuttosto riduttivo. Siamo tutti degli esseri complessi, multidimensionali : l’identità è porosa, mutevole ed evolutiva. Perché ridursi pubblicamente ad una sola dimensione del nostro essere?
Io sono madre di tre figli; mia cognata è madre di una bambina. Io sono insegnante, lei è radiologa. Io sono sposata, lei coniuge di fatto. Io sono eterosessuale e lei è gay. Si può riassumere tutto ciò? Certo che no.
Testo originale: Normal, être gai