“Tu devi esistere”. La nostra unione civile come percorso dal chaos al kosmos
Antonio e Jerry del Gruppo Spiritualità Arcobaleno di Parma
Non avremmo mai pensato di scrivere questa riflessione. Di giungere a questo giorno. Mai. Anche se -soprattutto negli ultimi anni- abbiamo aderito a diversi movimenti che rivendicano la dignità ed i diritti (delle persone e delle relazioni) LGBT e abbiamo cercato di fare anche noi la nostra parte.
Ma la meraviglia di ciò che è successo, fiorita in modo peraltro naturale, ha superato le nostre aspettative. Anche per questo c’è stato bisogno di un po’ di tempo per lasciar sedimentare immagini, emozioni e risonanze. Oggi cerchiamo di raccontarle, di rifletterci sopra. E non solo per costruire un altro ricordo per noi due. Ma anche per donare anche agli altri il senso che pensiamo di avere colto -dove “colto” vuol dire sia avere ricevuto un dono sia anche avere contribuito a costruirlo. Dopo che per una vita gli uomini (anche gli uomini che fingono di parlare a nome di Dio) dicevano NO a noi e al nostro progetto, quel giorno finalmente ha vinto il SI’.
Durante il ricevimento, un’amica, bella e saggia, ha chiesto a me, Antonio: come ti senti? Sì, c’era un po’ di caldo, e noi eravamo in giacca e cravatta…Ma io stavo bene, semplicemente bene. Ero sveglio, sereno, consapevole. Mi sentivo pieno, intero e pulito. Avvertivo con gioia l’energia buona che continuava ad aleggiare su tutti. Ho risposto: mi sento naturale; mi sento Antonio, la stessa persona di prima. E in quel momento ho capito perché mi sentivo bene, e ho aggiunto: mi sento bene perché so di essere al mio posto. Aspettavo questo giorno da una vita, sapevo che era qui che dovevo arrivare. Io lo sapevo: il problema, se mai, è stato convincerne gli altri. Un altro amico ha detto: sei riuscito a cambiare il mondo, o almeno il tuo pezzettino di mondo.
“Mondo”, in greco antico, si dice kosmos. La stessa parola può significare anche “ordine” e “bellezza”. Proprio la bellezza che deriva dall’ordine, dall’armonia. Il kosmos, nel mito greco, è il punto di arrivo di un’evoluzione che parte dal chaos, dal disordine in cui le forze irrazionali si scontrano con violenza e generano solo confusione.
Ecco, quello che ci è successo -mi pare- ha reso visibile a molti che il chaos può diventare kosmos; che la confusione può diventare ordine e bellezza. E che questa metamorfosi è possibile solo grazie all’amore, capace di trasformare egoismo e solitudine in comunione e dono. Come ha detto il nostro amico Corrado, che ha generosamente celebrato la nostra Unione, “l’amore ha vinto, ha vinto per tutti, ha vinto per sempre”.
Jerry ed io stiamo insieme da 11 anni. Abbiamo attraversato periodi anche molto difficili, e li abbiamo superati per il bisogno che avevamo l’uno dell’altro, la voglia di portare avanti un progetto. Anche quando abbiamo litigato e non parlavamo fra di noi, ci addormentavamo alla sera con la tacita riconoscenza di avere, comunque, l’altro accanto. L’Unione Civile, quindi, non ha rivelato a noi qualcosa di nuovo: invece, il nostro desiderio era permettere agli altri (familiari ed amici) di comprendere il significato del nostro stare insieme. Un regalo per loro, che in tutti questi anni ci hanno accolti, accompagnati e sostenuti. Questo è il motivo per cui abbiamo cercato di preparare la celebrazione come un percorso di senso.
Per l’apertura, abbiamo scelto, infatti, la canzone della nostra storia, Du måste finnas (“Tu devi esistere”). L’abbiamo ascoltata insieme la sera del nostro primo incontro. È in svedese, ed è tratta da un musical molto importante in Svezia. Narra la storia di una donna, Kristina, che per la povertà emigra dalla Svezia negli Stati Uniti d’America, dove però in poco tempo perde un figlio e il marito. Si trova quindi da sola, disperata, ed è sul punto di perdere la fede. Ma è proprio nel dolore più assurdo e lancinante che lancia a Dio il suo grido, e lo prega dicendogli che, persino nel deserto assoluto, Dio deve esistere per consolarla e darle ancora la forza di andare avanti.
Poi, abbiamo scelto di leggere la preghiera alla Vergine nell’ultimo canto del Paradiso di Dante. Un brano di altissima poesia, certo, ma la nostra intenzione era un’altra. Quella preghiera, nella Divina Commedia, ha lo scopo di chiedere per Dante la forza di compiere l’ultimo tratto del suo viaggio, e di poter accedere alla visione dell’ultima salute, di Dio. È una preghiera di intercessione.
Noi l’abbiamo scelta non per sfoggiare una splendida pagina di letteratura, ma proprio come preghiera, come apertura verso una dimensione invisibile e, ciononostante, viva e presente. In una delle ultime terzine si accenna ai beati che insieme pregano anche loro la Vergine; per noi, era un modo di sentire vivi e presenti anche i nostri cari che se ne sono andati. L’energia che ci ha attraversato e commosso tutti è stata, secondo noi, la prova che quella preghiera è stata ascoltata.
La nostra scommessa era quella di comunicare a tutti il nostro amore: e non solo l’amore dell’uno per l’altro, ma anche l’amore per i familiari, gli amici, le cose belle della vita, i valori importanti che ci hanno condotti a questo traguardo. Sapevamo perfettamente che, per la natura laica della celebrazione, non potevamo riferirci esplicitamente alla sorgente vera di questo amore, cioè a Dio. Ma abbiamo cercato in tutti i modi di suggerire la sua presenza, anche quando lo abbiamo chiamato il “Grande Assente“. Assente solo per la durezza del cuore degli uomini, che negano all’amore omosessuale qualsiasi forma di benedizione: ma tutti i familiari e gli amici presenti hanno riconosciuto che Dio è presente dove è presente l’amore, e che quindi, alla nostra Unione, Dio c’era e si lasciava incontrare. Questo è stato il dono più grande che potessimo ricevere e fare a nostra volta. Uno zio ha detto, fra le lacrime: “quello che è successo oggi ci ha liberati”.
Un altro momento prezioso è stato quello delle nostre promesse. Ognuno di noi due aveva scritto la sua promessa all’altro in segreto, e solo in quel momento le abbiamo lette ed ascoltate per la prima volta. “Non ti lascerò solo…andremo ancora più lontano“. Parole semplici, forse scontate, le parole di chi si ama, certo: ma per noi è stato importante che esse siano nate da un cammino lungo, a volte doloroso, fatto di semplici gesti quotidiani come addormentarsi e svegliarsi insieme, o commuoversi guardando insieme il mare. Perché “se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi?” (Qoelet 4.11).
Le parole di Corrado, e poi quelle di tutti gli altri che hanno voluto regalarci le loro riflessioni ed emozioni di quel momento, hanno messo a fuoco le 5 gemme di quel giorno: stupore, grazie, amore, speranza, letizia. E hanno confermato che la comunità non può che trarre gioia e forza da due persone che si amano e si promettono amore. Ho atteso per anni questo momento, e adesso so perché. Per me stesso: perché ora, guardandomi allo specchio, posso dirmi “guarda dove sei arrivato! Guarda come sei diventato grande!”. Per lui: perché ho potuto fargli il dono più grande, me stesso e il resto della vita. Per gli altri: perché abbiamo potuto ringraziarli dell’affetto che ci ha sostenuti e renderli felici con la nostra felicità.
La sera, ho scritto ad un’amica: “Quando è che si smette di piangere? Io non mi sono solo sposato. Io ho vinto. E la posta in gioco era la mia vita. Ora che volo in alto, vedo che avevo ragione, quando ho lottato per conquistare la mia strada centimetro per centimetro, gridando la forza del nostro amore di giorno e di notte, nel deserto e nel gelo, arrivando dove dicevano che fosse impossibile e sbagliato arrivare. No, non voglio smettere di piangere. Mi sono meritato ogni lacrima”.
In conclusione, sentiamo il bisogno di rivolgere di cuore alcuni ringraziamenti, oltre che alle persone che abbiamo già abbracciato quel giorno. Innanzitutto, al Comune di Parma, che ci ha accolto ci ha permesso di portare avanti i nostri progetti di vita e di lavoro: in particolare, il sindaco, Federico Pizzarotti, che ringraziamo per la sua lettera di auguri, e Francesca Fantoni, responsabile dell’Ufficio di Stato Civile, di cui abbiamo avvertito la cordiale e sincera vicinanza fin dall’inizio.
Poi, alla signora Ida e al sig. Francesco, proprietari del ristorante in cui abbiamo festeggiato: fin dall’inizio, hanno dimostrato una cordialità genuina e sincera, il desiderio autentico di rendere quel giorno indimenticabile, non solo con la loro ottima cucina, ma anche con un’accoglienza vera, completa, avvolgente e sorridente, per noi due e per tutti gli altri. E così è stato davvero, come confermano tutti i nostri ospiti. Infine, Stefano Antonini e Francesca Costantino, che ci hanno permesso di regalare come ricordo ai nostri invitati il libro TORNA. Come ha detto Stefano, la luce e la speranza sono in viaggio, adesso, in tante case e tante famiglie.
E ancora, grazie al gruppo “Davide” di Parma e ai ragazzi che ci hanno accompagnato nel percorso di formazione alla vita di coppia, con la presenza di Corrado e Michela. Ognuno di noi sia custode della gioia degli altri, perché essa diventi speranza nei momenti di prova.
Concludiamo con il testo che abbiamo scritto come congedo per la celebrazione.
Questo giorno per noi due rappresenta una vittoria e una conquista. Prima da soli, nei difficili anni della crescita, e poi insieme, come coppia, abbiamo lottato tanto per questo giorno, parlando, camminando, credendoci, impegnandoci, soprattutto sforzandoci di dare un esempio di coraggio, dignità e responsabilità.
Questo giorno corona e premia una lotta che non è, però, soltanto nostra, ma di molti, molti altri, donne e uomini: essi hanno attraversato la storia, soffrendo spesso in silenzio, e molti di loro non ce l’hanno fatta. Ma hanno camminato e lottato anche loro, prima di noi, affinché tutti i colori dell’amore venissero riconosciuti, affinché a tutti arrivasse la bellezza dell’amore, musica che conosce melodie diverse.
Della loro lotta, e della nostra, vogliamo oggi fare memoria con voi.
Voi siete qui, oggi, per gioire con noi, per celebrare il nostro amore, con il sorriso e l’affetto che tante volte ci avete regalato e che ci ha sempre aiutato ad andare avanti. Ci avete dato forza, e speranza. Se oggi siamo e ci sentiamo una famiglia, è anche per merito vostro.
Per questo, vogliamo dirvi GRAZIE. Non solo per il fatto che siete qui, ma anche e soprattutto perché siete stati con noi fino a qui, e continuerete ad esserci.