Un genitore alla scoperta dei cattolici omosessuali
Testimonianza di F. G. tratta dal gionalino Acqua di fonte n.24 dell’ottobre 2002
Sgommano le ruote della macchina sulla stradina sterrata che porta all’Oasi Rosa Mistica. Il sole scende benevolo sulle mie spalle e scioglie l’artrosi che l’umido inverno ha accumulato nelle mie ossa. Arrivo come un ospite all’incontro dove sono stato invitato, un incontro di preghiera di cattolici omosessuali che nel loro ritiro ribadiscono la loro viva appartenenza alla chiesa. Cattolici omosessuali. Mi fermo sulle parole: cattolici, cioè dichiaratamente membri della chiesa; omosessuali, cioè con una propensione sessuale verso le persone dello stesso sesso…
Nonostante il proposito di ignorare ogni categorizzazione, sento qualche residuo di quegli impulsi difensivi che ci fanno esser cauti verso chiunque immaginiamo in qualche modo diverso da noi. Entro nel salone ove tutti sono riuniti. Sono appena terminate le lodi. Mi accoglie, quasi a tradimento, un applauso. Rispondo con qualche imbarazzo a gesti, con sorrisi. Forse dovrei rispondere con qualche parola che non viene. Leggo nel volto di molti il compiacimento per la presenza di un “genitore”. Indovino (o fantastico?) che la mia presenza sia come il segno beneaugurante, per tanti, di sereni e rappacificati rapporti intrafamiliari.
So di tutti i fantasmi, di tutti i drammi che scatena in famiglia (e nei vari ambienti) la manifestazione di un diverso orientamento sessuale. Mi sembra quasi che gli applausi voglian sottolineare (dico troppo?) il valore simbolico del mio esserci. Quando ci sediamo per ascoltare don Domenico, mi occupa la mente un pensiero: quando e se in passato ebbi altre opportunità di ricevere applausi. E la memoria mi riporta altri momenti ormai lontani: il giorno della laurea, il giorno del matrimonio, altri giorni festosi in parrocchia…
Pure una grande differenza, mi dico, corre tra allora ed oggi. Allora gli applausi venivano in qualche modo come “attesi”, a scandire momenti importanti della vita, o per presunti meriti oratoriali. Oggi invece uno scoscio di applausi mi coglie quasi di sorpresa, tra persone che non conosco e con le quali certo mai in passato avrei pensato di trovarmi in modo così conviviale, come un benvenuto. Sorprese della vita. Al termine del ritiro eccomi nel gruppo a chiacchierare, a conoscere, a scherzare, ad apprezzare il bellissimo posto, immerso nella natura, ad osservare sul libro degli ospiti la pagina in cui son segnate le firme dei partecipanti al primo incontro della Fonte, undici anni fa.
Col passare del tempo, constato in me con piacere il rapido dissolversi del disagio: quello della mia particolare posizione di genitore, quello del deposito ancestrale di pregiudizi che ci fa cogliere e connotare in modo negativo i tanti piccoli segni e gesti che distinguono il comportamento omosessuale e ne caratterizzano la personalità. Sperimento una verità banale: vivere e interagire con le persone è il miglior modo per abbattere i fantasmi del pregiudizio: meglio, mille volte meglio che dilungarsi in ragionamenti, in disquisizioni, in psicologiche argomentazioni. Ad un certo punto, me lo aspettavo, un amico del gruppo mi interpella. “Come ho reagito io nel momento in cui ho saputo che mio figlio…?” Dietro alla domanda, inespresso, il solco creato in famiglia da una identità non accettata, il dramma di un rifiuto, forse l’attesa di una risposta (mia) che apra uno spiraglio anche per la sua situazione…
Si chiacchiera. Cerco di mostrargli che anche se è stata dura, molto dura, le ragioni del dialogo e dell’affetto hanno sempre, comunque, prevalso. Forse dovrei dargli qualche parola meno convenzionale, qualcosa che lo aiuti nel suo intento, ma non riesco ad andare oltre la solita risposta consolatoria. D’altronde che possono le parole? Già, penso, le parole… ci vorrebbe ben altro. Frattanto squilla la campanella che chiama alla messa e, chissà perché, mi viene in mente il verso di un poeta (Rebora?) che si rivolge a Dio: “Tua parola zittì chiacchiere umane”.
Si, ne sono convinto anch’io, e mi muovo per andare a messa col pensiero che le “chiacchiere umane” tentano progetti e soluzioni, si dilungano a disquisire su diversità, su problemi, su rimedi, su incompatibilità col gusto di creare categorie, graduatorie ecc… la Parola di Dio invece prende ciascuno per dirgli: in quello che sei, senza residui o riserve, tu puoi trovare in me il Tutto desiderabile. Ma viene il momento conviviale. Squilla l’ora di mettersi a tavola. Grande potere di una tavola apparecchiata, con una bianca tovaglia sulla quale stiano linde posate e una bottiglia di buon vino! La conversazione scorre cordiale. Ognuno racconta piccole o grandi cose: “Lavoro in quella ditta”, “Studio economia”, “Vengo da Bergamo”, “Sono in rotta con i miei…”.
Si parla con lo stesso gusto col quale si rifocilla lo stomaco (veramente buona, tra l’altro, la cucina!), si gode di scoprire che le cose che ci accomunano siano tanto più numerose ed essenziali di quelle che ci distinguono: età, cultura, storia personale, orientamento sessuale… Sono ormai le due del pomeriggio. Saluto tutti e mi appresto a tornare in città. Un sole benefico ravviva tutta la natura che ormai è in pieno fulgore primaverile. Una giornata che sembra aver sciolto molte di quelle brume che l’inverno ha depositato nell’anima più ancora che nelle campagne.