Le Unioni Civili a tre anni dalla legge Cirinnà. La storia
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
Il 5 giugno scorso, ha compiuto tre anni la legge Cirinnà sulle Unioni Civili tra persone dello stesso sesso.
Mai legge in Italia ha conosciuto un travaglio più lungo. Il primo disegno in materia (ddl Salvato, Bianchi, Bottai) risale infatti al 1986. Non fu mai discusso, così come non arrivò mai in aula la proposta di legge Campiello dell’88. Negli anni ’90 naufragarono almeno altri dieci disegni di legge simili. Si arrivò così, nel 2002, alla proporta “mitigata” dei PACS, molto discussa fino al 2006 e nuovamente abortita. Nel 2007, il governo Prodi pensò a un’istituto ancora più moderato, quello dei DICO, nuovamente andati in fumo con la caduta dello stesso. Fu poi la volta dei DiDoRe, un’idea dei ministri Brunetta e Rotondi che prevedeva che le persone omosessuali potessero “sposarsi” in privato, inviandosi reciprocamente una raccomandata con ricevuta di ritorno.
La partita cominciò a farsi seria con la XVII legislatura, che, nel 2013, iniziò a discutere un insieme di dodici disegni di legge, poi unificati nel ddl Cirinnà. Il quale ebbe a sua volta un percorso travagliatissimo. Tra continue resistenze da parte delle componenti “cattoliche” della stessa maggioranza, fu modificato tre volte, sempre diminuendone la portata. Seguì una lunga fase di ostruzionismo, in cui alcuni componenti della Commissione Giustizia (ricordiamo il leggendario Giovanardi) cominciarono a chiedere “audizioni” di tutte le associazioni contrarie.
La stessa calendarizzazione fu un’impresa. Tra continui e pretestuosi rinvii (una volta c’era il sinodo dei vescovi, un’altra si avvicinava il Natale), giungemmo al 2 febbraio 2016.
La discussione sulle Unioni Civili iniziò in Senato con la presentazione di più di 5000 emendamenti tra i più ridicoli della storia d’Italia. Proseguì, tra sospensioni e manifestazioni di isteria, fino al 23 febbraio. Nel frattempo, il M5S, a sorpresa, ritirò il proprio appoggio perché non intendeva votare un emendamento “canguro” pensato per superare tutti gli altri presentati. Si era dovuto quindi riprendere in mano il testo per adattarlo a nuove maggioranze possibili. Intervenne il governo con una nuova proposta approntata in una notte, con cui però si rinunciava alla stepchild adoption per conquistare il favore di un certo numero di “cattolici”.
Il 25 febbraio si votò, partorendo una legge gravemente mutilata che molti definirono descriminante. Le Unioni Civili erano istituite. Legge 76/2016. Ma non davano alcuna risposta al tema della genitorialità e dei figli, già esistenti, delle famiglie arcobaleno.
Le cause di un così lungo e doloroso travaglio sono in larga parte da ricercarsi nel comportamento della Chiesa. Mai, dal dopoquerra in avanti, i vescovi, buona parte del clero e diverse associazioni cattoliche, si erano messi di traverso alla politica con tanto vigore. Nemmeno ai tempi della legge sull’aborto.
Ricordiamo i “family day”. Il primo, quello del 2007, fu propagandato direttamente dalla CEI. I successivi, 2015 e 2016, furono convocati da piccole frange di cattolici oltranzisti ma sempre col plauso delle diocesi. Pensiamo alle valanghe di documenti, dibattiti, conferenze sul fantasma della “ideologia del gender”. Non dimenticheremo mai i tour di Gandolfini, Adinolfi, Amato che volavano su e giù per le parrocchie di tutta Italia. Spesso si fermavano anche nelle cattedrali, per proclamare che “avevano tanti amici gay ma …”. Un tumulto che mai si era visto per miglior causa e che finì per spaccare la Chiesa stessa.
La questione omosessuale diventò, per buona parte della cattolicità italiana, un cavallo di battaglia. Senza nemmeno grandi ragionamenti teologici, divenne uno strumento per far pesare il proprio ruolo. Credo di capire che in quegli anni la Chiesa fosse parecchio in crisi nel suo rapporto con la società. Era piuttosto a corto di argomenti (Dov’era finita la dottrina sociale? Cosa si pensava sul lavoro, l’economia, l’ambiente, l’immigrazione?). E la battaglia contro il “gender” – nemico immaginario e quindi facile da battere – sembrava essere diventata un’occasione d’oro per marcare facilmente una presenza.
I politici nostrani, da sempre affetti dalla pessima abitudine di mercanteggiare voti in sacrestia, non poterono ignorare una simile agitazione. Ad alcuni, i più conservatori, non sembrava vero di aver ritrovato alleati così forti e agguerriti. Altri, i progressisti di matrice cattolica, si intimorirono. Avevano ben presente che non tutta la Chiesa era schierata contro i diritti lgbt. Ma temevano comunque di perdere i propri sostenitori.
Fu uno dei capitoli più controversi nel rapporto tra religione cattolica e politica, che portò ad allungare tempi, sminuire contenuti, generare dolori.
Ma alla fine le Unioni Civili arrivarono. I gay e le lesbiche iniziarono a sposarsi; le famiglie “tradizionali” non scomparirono; nuove testimonianza d’amore vennero riconosciute. Una ventata d’aria fresca che, oggi, la Chiesa stessa deve imparare a respirare.