Quando un cristiano è gay? Le parole che non avrei voluto sentire
Riflessioni di Garrett Thomas pubblicate sul blog Spiritual Friendship (Stati Uniti) il 6 novembre 2015, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Era un freddo pomeriggio autunnale, fine ottobre o inizio novembre, non ricordo. L’aria mordeva la pelle, un segno premonitore del brutale inverno a venire. Mi ricordo che sedevo in macchina, scosso e nervoso. Non potevo quasi respirare ed ero spaventato. Mi stavo preparando a pranzare con un uomo incontrato solo poche settimane prima. Era il pastore della chiesa che avevo iniziato a frequentare dopo essermi trasferito in una città lontana migliaia di chilometri. Ancora non conoscevo nessuno al di fuori della mia famiglia. Avevo cominciato a frequentare la sua chiesa, mi piacevano i suoi sermoni. Mi sembrava una persona alla mano e sollecita, un buon ascoltatore.
Così, dopo un paio di settimane decisi di chiedergli se potevamo mangiare un boccone insieme e parlare. Stavo lottando con mille cose all’epoca, cose che volevo togliermi dal groppone. Accettò gentilmente di vedermi e di conoscermi un poco meglio. Entrammo nel locale, ordinammo e ci sedemmo nervosamente in un angolo appartato. Eccoci lì in quel locale seminterrato, due estranei che chiacchieravano di inezie girando intorno a quell’argomento, la ragione principale per cui lo avevo invitato a pranzo.
Ero a un bivio tra la mia fede e la mia sessualità. Volevo continuare la mia vita come seguace di Cristo, ma non riuscivo a farla quadrare con la mia sessualità. A lungo ho creduto (e a lungo mi è stato insegnato) che, se seguivo Cristo, egli mi avrebbe soccorso e “guarito” come da tanto tempo desideravo. Lì, in quella nuova città dove non conoscevo quasi nessuno, avevo bisogno di parlarne con qualcuno. Dentro di me stavo impazzendo. Ero solo, sempre più solo, confuso.
Ero in stallo e non sapevo come andare avanti. Ero onesto: il mio orientamento non cambiava, e questo mi spaventava. Così, arrivai a quell’argomento. Gli dissi il motivo per cui lo avevo invitato a pranzo e che volevo discutere alcune cose. Gli dissi che ero gay ma che da tempo avevo smesso di vedere uomini. Gli dissi che il mio orientamento e la mia attrazione per gli uomini non erano cambiate come pensavo sarebbe avvenuto e che non avevo idea di come sarebbe potuta essere la mia vita se queste fossero scomparse. Gli dissi che non sapevo nemmeno cosa pensarne.
Mi ascoltò con pazienza e tranquillità. Lo guardavo speranzoso, prevedendo che mi avrebbe risposto con saggezza e trasmesso grazia e misericordia. Mi sbagliavo. Emise il suo verdetto in maniera veloce e succinta, con un tono neutro, dicendo che essere gay non era compatibile con il cristianesimo, che finché non sarei stato eterosessuale fino in fondo la mia salvezza era dubbia, e che nessun cristiano lotta con l’omosessualità, in quanto la sua stessa presenza dimostra che la persona in questione non è credente.
Stavo lì seduto in quella panineria, rattristato e, se possibile, ancora più disperato di quando ero entrato. Lo ringraziai gentilmente per il suo tempo e la sua opinione, e ci separammo.
Quell’incontro fu l’inizio di un periodo molto buio nel quale non sapevo più chi ero e cominciai a capire una cosa: che la rimozione del mio orientamento, da tanto tempo pianificata, forse non sarebbe mai avvenuta. Ma Dio è buono? È benigno? Forse mi odia? E io chi sono? Lottai molto a lungo con tutto questo. Nei mesi successivi rimasi molto confuso su me stesso e il mio futuro. Più tardi, grazie ad alcuni uomini che mi guidarono, si presero cura di me e mi vollero bene, uscii dal buio. Ma dopo quell’incontro con il pastore mi sono sempre chiesto: perché non ha detto nulla di biblico? Qualcosa che contenesse la verità e al tempo stesso contenesse amore, realtà, grazia, parole che infondono vita.
Ecco le cose che vorrei aver sentito quel giorno nel locale seminterrato. Avrei voluto che mi ringraziasse per essermi aperto con un quasi sconosciuto a proposito di cose estremamente personali e dolorose della mia vita, sapendo quanto fosse dura. Avrei voluto che mi ricordasse che Dio è più grande di ogni lotta che abbia mai sostenuto o possa sostenere in futuro, inclusa quella con la mia sessualità malata.
Avrei voluto che mi dicesse che non ero uno sbaglio, un’aberrazione, un aborto, una pecora nera, ma che, come tutti i membri della Chiesa, stavo ancora lottando con le conseguenze della caduta, assieme a tutti coloro che lottano con la propria sessualità. Avrei voluto che mi dicesse che potevo liberamente porre domande difficili su cosa richiedesse la fede da chi ha questo orientamento. Avrei voluto che mi dicesse che ero amato da Dio e dal Suo popolo.
Avrei voluto che mi dicesse, tra le lacrime se necessario, quella che sapevo già essere un’eventualità molto probabile nella mia vita: che la mia futura vocazione sarebbe stata il celibato, come è richiesto a tutti i cristiani non sposati, inclusi uomini e donne single da lungo tempo e quei divorziati a cui la Bibbia proibisce di risposarsi.
Avrei voluto che mi dicesse che la Chiesa è un luogo sicuro nel quale avrei potuto essere sincero e vulnerabile, nel quale avrei potuto raccontare la mia storia, senza paura e consapevole che sarei stato amato. Avrei voluto che mi dicesse che avere una tentazione o un’attrazione non vuol dire peccare attivamente.
Avrei voluto che mi dicesse che Dio può togliere o non togliere l’orientamento omosessuale; che, al di là di ciò che la vita mi riserverà, la mia speranza di vivere una vita soddisfacente e piena d’amore non deve dipendere dal fatto di diventare eterosessuale; che non devo aspettare che il mio orientamento svanisca per iniziare una vita di servizio per Dio.
Quel pastore non disse nessuna di queste cose. In seguito le avrei apprese da altre persone, alle quali oggi sono estremamente grato. Ora, la ragione per cui ho raccontato questa storia, come avrei voluto che si fosse svolta di fronte a un pubblico più vasto, è solo una: potrebbe benissimo capitare a voi. Non ne voglio affatto a quel pastore. Credo non volesse affatto fare quell’uscita. Credo non sapesse come reagire alla mia situazione, forse perché non aveva mai incontrato qualcuno come me nella sua carriera di pastore.
Ora però non possiamo più dire questo. Dobbiamo essere preparati, laici o consacrati, nell’eventualità che un amico o un collega o un parente ci ponga delle domande difficili a proposito di religione cristiana e sessualità. Sono conversazioni difficili, che possono metterci a disagio.
Dire a una persona che forse non potrà mai avere ciò che desidera con tutta l’anima sarà sempre difficile. Ricordate però che l’Evangelo chiama ciascuno di noi al sacrificio, anche se ognuno di noi si sacrifica in modo diverso. Va benissimo raccontare tra lacrime ed emozioni: colloqui sinceri di questo tipo possono essere incredibilmente difficili da digerire, anche se non siete voi la persona che deve ascoltare.
Al di là di tutto questo, vi incoraggio a condurre la vostra ricerca tra le ardue domande e risposte relative alla sessualità così che, quando ne siate richiesti, possiate condividere l’amore di Cristo e la verità delle Scritture nei loro riferimenti alla sessualità. Cercate di non farvi cogliere impreparati e di non dare risposte errate, di modo che chi ha già il cuore spezzato non se ne vada più disperato e con più dubbi di prima.
Dio è benigno. Mi ama. Non sono né un errore, né un’aberrazione. La caduta mi ha toccato e l’Evangelo ha delle aspettative nei miei confronti, a proposito di cosa posso e non posso fare con la mia sessualità. Ma la mia vita non è definita dal fatto che il mio orientamento svanisca o rimanga da questa parte dell’eternità: è definita dal fatto che sono stato comprato a un determinato prezzo, e indipendentemente da ciò che sarà del mio orientamento, io sono Suo ed Egli è mio.
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Testo originale: What I Wish I Had Heard