Dal Buio alla Luce. Quando Dio fa “coming out” nella mia vita
Testimonianza di Francesca Brancati del gruppo Zaccheo Puglia sul ritiro online del Progetto Giovani Cristiani LGBT “Dal Buio alla Luce: Servire è Regnare” (4-6 Febbraio 2021)
“Dal buio alla luce” come se fosse uno dei gesti più semplici e automatici possibili. Come se bastasse accendere un interruttore, entrare con una candela in una grotta rimasta buia per anni.
“Vuoi partecipare a questo ritiro?” Mi fu chiesto. “Ma si, risposi.” In fondo, si trattava solo di dedicare del tempo alla meditazione, alla preghiera, a me stessa. È questione di fiducia, affidamento. In fondo, la “stanza” dove incontrare Cristo l’ho già ritrovata un anno fa, dopo diciotto anni di pratica buddista, meravigliosa e altamente edificante in questo nuovo incontro con Lui. “Si tratta soltanto, di allacciare la fornitura di energia elettrica.”
La prima lampadina, si è accesa la sera di giovedì. L’incontro con un Cristo “re” nel suo essere servo e servo nella sua regalità. Un Dio fattosi uomo e in ginocchio, umilmente, a lavare i piedi dell’altro.
Un Dio che sovverte completamente l’idea di regalità. Eh sì, nel regno di Cristo, pare che le logiche a cui siamo abituati, siano completamente sovvertite. La sua logica è servire gli ultimi, rovesciare i potenti dai troni, innalzare gli umili. Non esistono i migliori, i vincenti, i prescelti: più si è ai margini, più si splende ai suoi occhi. Ma a chi lavo i piedi io? Quante volte mi sono fatta serva per amore? Quante delusioni ho raccolto?
“Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’ avrete fatto a me.” (Mt. 25, 40)
In questa logica, nulla va sprecato. Nessun gesto d’ amore, sebbene ci abbia condotto a un’asfissiante sofferenza, è vano ai Suoi occhi. Nessuna delusione può essere più grande del desiderio di provare ancora amore e farne dono.
La seconda lampadina si è accesa sabato mattina, sulla sabbia umida, in riva al mare, mentre un sole timido cercava di farsi spazio tra un’insolita scia nebbiosa. Ci era stato suggerito di passeggiare un po’ con Dio, come con un intimo amico, cercare di riscoprire insieme a Lui il dono della regalità.
“Re di sé stesso, re nelle relazioni, re nell’ambiente, re nella chiesa.” Insomma, dovunque, a partire dal proprio cuore.
La nostra “passeggiata”, è proseguita fino a una piccola pausa pranzo. Eravamo un po’ affamati. Dopo il pollo in umido di mia mamma, cosa gradita a entrambi, ci siamo rimessi in cammino. Nel mentre, abbiamo incontrato gli altri fratelli e sorelle del gruppo Zaccheo Puglia. Desideravano passeggiare con noi.
Ci siamo incontrati nel desiderio di essere “re di sé stessi”, prima di ogni altra cosa, ciascuno a seconda delle proprie specifiche necessità spirituali e fisiche, con la propria declinazione nel paradigma di una edificante e meravigliosa alterità.
Il leitmotiv era la parola identità e rimbalzava direttamente sulla gemella eterozigote “armonia”, parola più spesso citata da Don Fausto nelle sue indicazioni.
In questa chiave, qualcuno dei miei fratelli di viaggio, è riuscito perfino a camminare accanto a Dio nudo, come Adamo, senza l’imbarazzo di sentirsi in difetto perché in un corpo “sbagliato”, anzi, riscoprire addirittura che quella era la possibilità per sentirsi degni di quella passeggiata.
Un altro fratello ha riscoperto con gratitudine di sentirsi amato da Lui come mai si era sentito nel suo ambiente e che la regalità doveva passare necessariamente attraverso un percorso di liberazione dalle proprie paure, per sentirsi finalmente rinato.
Nella logica di Dio c’è un altro aspetto importantissimo: l’amore verso sé stessi non vale di meno di ciò che si fa per l’altro. Anzi, spesso facciamo l’errore di considerare che “il prossimo tuo” sia da amare più di te stesso, anche a discapito dell’amor proprio. Nulla di più sbagliato. Dio ci vuole servi , ma non ci vuole schiavi.
Dio ci vuole umili, ma ci rende liberi. Dio ci indica la croce, ma non ci vuole tristi. È il Dio della gioia, dell’amore, dell’armonia, appunto. Un Dio che rifiuta tutto ciò che rientra nel meccanismo perverso e marcio del potere, della sopraffazione, del superfluo. Lui regna nudo, con una corona di spine che gli segna la fronte.
Allora, essere Re rimanda pure a responsabilità: più semplice declinarla nel percorso delle relazioni, più complicato se calata su sé stessi. Il rischio è sempre quello di subire le cose, mai di viverle come possibilità, ma una vita autentica, una identità armoniosa la si può vivere soltanto trasformando il destino in una destinazione, come ha sperimentato un altro dei miei fratelli di viaggio.
Ad ogni passo al ritorno da quella passeggiata, si poteva sentire sulla pelle lo sguardo di quel Dio che ti cammina accanto e ti accompagna con la sua benedizione fino all’ultimo passo.
In questo incontro gli ho detto tante cose ma, soprattutto, sono rimasta spesso in silenzio ad ascoltarlo. Mi ha detto, in particolare che anche suo figlio, Gesù, ha avuto bisogno di riscoprire sé stesso, pian piano, durante le fasi della sua giovane vita. Mi ha parlato di quando al tempio, ha fatto il suo “coming-out”, riscoprendo il senso della sua missione più profonda.
Di quando i suoi genitori terreni non lo hanno capito. Delle loro preoccupazioni per averlo perso. Della sua forza nell’autodeterminarsi, a prescindere dalle risposte dell’ambiente circostante. Mi ha parlato dello stile che si è dato, ritirandosi nel silenzio della preghiera, nel deserto; del suo fervente rifiuto nei confronti del potere; del suo riscoprirsi re nel servire l’altro, seduto sul trono della croce.
Poi mi ha detto che per sentirmi davvero feconda, io, proprio io che nutro il profondo desiderio di sentirmi madre, non devo far altro che far spazio dentro di me. Il vero utero è il cuore. Sono io che devo farmi grembo. Devo farmi grembo, soprattutto cominciando da me stessa, dal partorirmi per poter vivere una vita autentica e armoniosa.
La più grande scoperta che potessi fare consiste nel pensare che non si deve più nascere per morire, ma morire per nascere. Al tramonto, dopo esserci salutati tutti, ho sentito il suo sguardo seguirmi ancora fino a casa.
Questo è quanto di più bello mi porto dentro da questa esperienza che coincide perfettamente con il mio cammino verso la cresima, sabato 13 febbraio, un sacramento consapevolizzato e desiderato all’età di trentacinque anni e che non poteva avere percorso di preparazione migliore se non questa passeggiata.
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