Ebrei e omosessualità: “Sono un rabbino ortodosso gay”
Articolo di Delphine Matthieussent pubblicato su Liberation (Francia) il 2 dicembre 2009, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Nel 2008 Ron Yossef creava un’associazione di ebrei ortodossi gay. Un anno dopo faceva il suo coming out alla tv israeliana. La sua speranza è quella di far accettare questa sua doppia identità.
Quando ha preso consapevolezza della sua omosessualità la prima immagine che è venuta a Ron Yossef è quella di Mosé che spezza le tavole della legge.
“Quando a 18 anni ho potuto esprimere a parole ciò che sentivo è stato un vero e proprio cataclisma. Ho pensato a Mosé che scendeva dal Sinai e vedeva il suo popolo abbandonarsi all’idolatria. Mi son sentito tradito.
Tutto a un tratto il mondo non era più lo stesso. Avevo solo domande in testa centuplicate dagli stereotipi e dai pregiudizi di un adolescente che proviene dall’ambiente (degli ebrei) ortodossi”, ricorda il primo e unico rabbino in Israele apertamente gay.
Dopo anni di dubbi e tentennamenti Ron Yossef, 35 anni, ha fatto un’uscita spettacolare in aprile partecipando a una trasmissione televisiva molto popolare. Era già conosciuto con il suo nome come il fondatore dell HOD (acronimo delle parole ebraiche “omosessuale” e “religioso”), la prima associazione, nata nel 2008, che rivendicava una coesistenza possibile tra identità omosessuale e ebraismo ortodosso.
Il suo cavallo di battaglia è il riconoscimento dell’omosessualità maschile, largamente tenuta nascosta nel mondo degli ebrei ortodossi e l’apertura di discussioni rabbiniche sul tema, per aiutare gli omosessuali religiosi a conciliare la loro doppia identità.
“Ho pensato che avevo la responsabilità come ebreo e come rabbino di dire a tutti: ecco avete davanti a voi un rabbino ortodosso omosessuale, ora non potete più dire che i rabbini omosessuali non esistono”.
Dopo questa partecipazione televisiva ha rivendicato molte volte la sua omosessualità nei mass media israeliani e stranieri ed ha partecipato come consulente al film di Ham Tabakman “Eyes Wide Open” (Non amerai affatto). Storia di un amore folle tra un macellaio ultraortodosso di Gerusalemme ed un giovane studente di una scuola talmudica. Il film è stato visto al festival di Cannes e ha incontrato un certo successo in Israele ed in Francia.
Uno dei più grandi tabù dell’ebraismo
L’omosessualità è uno dei più grandi tabù dell’ebraismo. Contrariamente a vari divieti, che sono derivati dall’esegesi dell’antico testamento, la Torah menziona esplicitamente l’atto sessuale tra uomini come un abominio (Levitico 18 22) e dà una forza particolare al divieto.
Nonostante l’ambiguità delle relazioni spesso interpretate come omosessuali tra i personaggi biblici, ad esempio David e Gionata, il mondo ortodosso ebraico rigetta in blocco gli omosessuali, assimilati nel miglior caso a dei “malati che bisogna liberare dalle loro tendenze cattive”.
Come risultato la maggioranza degli ebrei ortodossi gay si sposa per non essere messa al bando dalla propria comunità.
Queste discriminazioni contrastano con l’apertura della società israeliana laica sul tema dell’omosessualità. Tel Aviv è una delle grandi capitali gay mondiali e i tribunali israeliani hanno concesso molti diritti alle coppie gay: diritto di adozione, congedo di paternità, stessi vantaggi fiscali che hanno le coppie eterosessuali.
“Gli ebrei gay religiosi, come gli arabi musulmani gay, sono quelli che soffrono di più in Israele”, sottolinea il deputato Nizan Horowitz, del partito Meretz (estema sinistra), l’unico gay dichiarato del parlamento israeliano che aggiunge: “I gay ortodossi sono spesso perseguitati, sottoposti a violenze fisiche e psicologiche”.
Ron Yossef ha pagato a caro prezzo il suo coming out, subendo minacce di morte e ha trovato varie volte disegni di uomini impiccati appesi alla porta di casa sua.
Certi rabbini hanno fatto pressione invano sulla sua famiglia e sui suoi amici per indurlo a lasciare la sinagoga di Netanya, nei pressi di Tel Aviv, dove officia da ben 12 anni. Le rivendicazioni di Ron Yossef e la popolarità della sua associazione Hod hanno cambiato i codici del mondo ortodosso.
Fino ad allora l’unica associazione per i gay religiosi proponeva loro un aiuto sotto forme di ritiri destinati a curare gli orientamenti omosessuali dei partecipanti per riportarli alla norma eterosessuale. Con l’associazione Hod Ron Yossef ha colto la sfida di conciliare ciò che si riteneva fino ad allora inconciliabile.
Egli spiega che la legge ebraica non vieta l’identità omosessuale: “La legge ebraica vieta i rapporti sessuali tra due uomini, ma è diverso. Ma questo divieto non vieta il fatto di essere attratti da una persona del proprio sesso. La Halacha (insieme di regole di vita stabilite dall’ebraismo) s’interessa solo ai rapporti sessuali, non all’identità sessuale. Questa distinzione apre il campo a molte domande, se l’attrazione non è vietata perché promuovere terapie per cambiarla? Perché bisogna sposarsi?”. L’ebraismo deve dare risposte agli ebrei gay. Ron rimprovera i rabbini di non essersi mai pronunciati sul tema per ipocrisia.
Chi siamo? Marziani?
“L’ebraismo si occupa nei minimi dettagli della vita quotidiana fino a prescrivere alla gente quale tipo di sapone utilizzare e quale no. Ma tace sull’omosessualità, un problema cruciale per le decine di migliaia di persone coinvolte. Non è una posizione coerente.
I rabbini non possono accontentarsi di dire agli omosessuali che le relazioni tra persone dello stesso sono vietate. Non possono condannarci all’astinenza, quando il voto di castità è estraneo alla religione ebraica.
Come sugli altri temi devono decidere ciò che è lecito o ciò che non lo è. Chi siamo noi? Creature prive di desiderio, una specie di marziani e non esseri umani”, s’indigna.
Concepito inizialmente solo come un sito internet per gli ebrei gay che desideravano conciliare la propria identità sessuale con i precetti religiosi ebraici, Hod ha superato le ambizioni iniziali di Ron Yossef.
Il sito ha registrato più di trentamila connessioni da quando è stato creato e duemila persone si sono rivolte all’organizzazione per ottenere consigli. Gruppi di discussione si riuniscono regolarmente, divisi in due categorie: una per gli uomini sposati, l’altra per i ragazzi dai 18 ai 25 anni.
“La maggioranza degli uomini sposati che si rivolgono a Hod hanno una trentina d’anni e già 3 0 4 figli, ma non hanno mai potuto parlare a nessuno della propria omosessualità. Il semplice fatto di vedere che non sono soli toglie loro un peso enorme. Non si consiglia loro di divorziare perché sarebbe contrario all’Halacha e se prendono questa decisione devono farlo da soli. Ma il fatto di potere parlare, per due o tre ore, delle loro difficoltà rende la loro vita più accettabile”.
Lettera aperta al mondo ortodosso
Il fondatore di Hod ha scritto una lettera aperta, in dieci punti, inviata ai rabbini e ai leader del mondo ebraico ortodosso. Pur affermando il suo attaccamento ai principi dell’ebraismo ortodosso, sottolinea che gli ebrei gay non dovrebbero essere costretti a sposarsi se affermano di essere omosessuali e che dovrebbero continuare a partecipare alla vita della propria comunità.
I suoi sforzi stanno dando i loro frutti: varie decine di rabbini ortodossi hanno sostenuto pubblicamente il suo manifesto. Tra di loro Youval Sherlo, una delle personalità dell’ebraismo ortodosso e direttore di un centro di studi talmudici della periferia di Tel Aviv.
“Il divieto religioso sull’atto sessuale tra uomini è inderogabile, ma l’atteggiamento del mondo religioso si sta evolvendo.
Ancora pochi anni fa la maggioranza dei rabbini diceva ai gay di sposarsi, che tutto sarebbe andato a posto dopo il matrimonio. Oggi sempre più rabbini cercano di capirli e di aiutarli.
Non sono più respinti in maniera sistematica dalle proprie famiglie. C’è una lenta presa di coscienza della realtà omosessuale e delle sofferenze sopportate dai gay religiosi” spiega Youval Sherlo.
Sulle sue difficoltà e il suo percorso Ron Youssef è poco prolisso. Seduto sotto una luce fioca del neon nella cucina ordinatissima, dove benedizioni ebraiche sono a fianco di bandiere arcobaleno, dice: “non voglio che altre persone vivano ciò che ho sofferto io”.
Evoca i primi anni che hanno seguito la sua presa di coscienza dell’essere gay “Non c’era nulla, nessun aiuto, nessuno a cui rivolgermi, vivevo due vite parallele.
Fingevo di essere un duro, di interessarmi alle ragazze e di volermi sposare.E andavo alle riunioni segrete dei gay religiosi, ma avevo il terrore di non distanziare abbastanza i due universi, temevo che il mio rabbino mi escludesse e che il direttore della Yeshiva (centro di studi religiosi) mi rimandasse a casa.
A un certo punto mi è divenuto insopportabile vivere nella menzogna, muovermi nel questo mondo religioso, della preghiera e della sinagoga, sapendo che se la verità è venuta fuori, non potevo essere lì. ” sapendo che non avrei potuto più essere lì”.
Da allora in poi Ron Youssef ha cominciato a trovare risposte ai dilemmi degli ebrei ortodossi gay, avendo fede nell’espressione ebraica “Nikam divrei emet”. Le parole di verità finiscono sempre per emergere.
Testo originale: «Vous avez devantvous un rabbin homosexuel»