Eccellenza sono lesbica, ma voglio continuare ad essere lievito per la mia Chiesa
Lettera di Silvia Lanzi inviata al Vescovo di Crema mons Cantoni il 18 ottobre 2010
Monsignor Cantoni, sono una fedele della sua diocesi.(ndr di Crema). Pur essendo un po’ grande per la Missione Giovani, l’ho seguita con profondo interesse. È stata senz’altro un’occasione di crescita spirituale ed umana.
Parlando con i religiosi e le religiose che hanno animato la missione, mi sono resa conto che la vita consacrata, non è “altro”, non è una vocazione speciale: si tratta solo di una maniera, tra le tante, per declinare LA vocazione di ogni cristiano: quella all’amore.
Ho conosciuto ragazzi e ragazze come me, miei coetanei e anche più giovani, con lo stesso background culturale e gli stessi gusti musicali, che hanno abbracciato, nel saio, Gesù.
È stato uno shock. Benefico. Ho sperimentato, grazie a loro, che nessuno, che si dica cristiano, si può chiamare fuori dalla sequela di Cristo. Nemmeno io.
Forse pecco di presunzione, o forse no. Ma io voglio essere lievito per la Chiesa, voglio dare frutti in essa, da quel tralcio della vite viva quale sono.
Sembra però che mia madre, quella Chiesa che amo tanto, abbia dei sentimenti ambivalenti nei miei confronti.
Da un lato auspica che i suoi ministri mi trattino con delicatezza e sensibilità. Dall’altro mi bolla come persona “intrinsecamente disordinata”. Perché sono lesbica.
Ma io non mi sento affatto diminuita dalla mia omosessualità: io so, e lo so per certo, che anche a me Dio ha dato uno spirito da figlia. E come tale voglio dare il mio apporto.
Il concilio Vaticano II auspica un maggior coinvolgimento dei laici e io credo che la Chiesa, per tenere fede al suo mandato, debba saper interpretare i bisogni e le istanze della società, facendole sue.
Credo che, una di queste istanze, un bisogno non più prorogabile, sia quello che la Chiesa si metta in dialogo con i suoi figli e le sue figlie omosessuali.
Gruppi di gay e lesbiche credenti sono già una realtà ben radicata nel tessuto ecclesiale italiano, è innegabile, ma siamo sempre “ai margini”.
Vorremmo essere parte viva e feconda della Chiesa, e non relegati a pregare “nelle catacombe”.
Mi rivolgo a lei perché credo che questo sia possibile. Lo stanno dimostrando fattivamente almeno un paio di gruppi di preghiera che, nelle diocesi di Cremona e Torino, sono stati fortemente voluti dai fedeli omosessuali e dalla curia.
E che stanno camminando in direzione di una crescita umana e spirituale.
Ora, credo che sarebbe bello se anche nella nostra diocesi potesse esistere una possibilità del genere. Perché anche i talenti delle persone omosessuali possano moltiplicarsi e il seme della nostra fede non sia soffocato dalle spine dell’indifferenza.
Grazie per avermi ascoltato.
Silvia Lanzi