“Figlio, perché ci hai fatto questo?” (Luca 2,41-51). Il coming out del proprio figlio come un secondo parto
Restituzione dell’incontro del gruppo PAROLA… E PAROLE* di Roma del 2 marzo 2018
Il gruppo PAROLA… E PAROLE, a cui in questo incontro si sono aggiunti alcuni ragazzi, si misura con il brano di Luca 2,41-51 (riportato di seguito), una pagina evangelica che ci parla di “Gesù discepolo”, ragazzo credente, capace di ascoltare e di porsi domande, ma nella quale viene anche messo in rilievo un momento dell’infanzia di Gesù in cui le relazioni familiari diventano tese e difficili e sorgono incomprensioni. Forse proprio per questo la scelta del gruppo è caduta su questo brano.
Cogliere quella famiglia, che si vuole esemplare per le nostre famiglie, in una situazione di conflitto è confortante per chi a sua volta vive quotidianamente conflitti con i propri figli e sono altrettanto rassicuranti quelle parole riferite a Maria e Giuseppe: “Ma essi non compresero.” È troppo presto, infatti, per comprendere. È ancora lungo il cammino.
Accettare l’incomprensibilità di alcune emozioni, di alcuni gesti, comportamenti dei nostri figli e delle nostre figlie, e sostare nell’attesa di comprendere a poco a poco, arricchendo nel frattempo la relazione di pensieri, sentimenti, esperienze condivise, è una sfida che può coinvolgere non solo i genitori ma anche i ragazzi e le ragazze che a loro volta devono fare i conti con scelte e comportamenti dei propri genitori, per loro altrettanto incomprensibili.
La relazione genitori/figli, il conflitto tra genitori angosciati e il figlio che vuole andare per la sua strada fa emergere il grande cruccio di una madre che nella sua solitudine non sa mai quando e come intervenire nei confronti della propria figlia.
Vivere il coming out del proprio figlio come un secondo parto con tutta la sofferenza e il senso di rinascita che ogni parto porta con sé, sentendosi attraversati dalla forza della vita che rinasce dal dolore, può essere l’occasione per favorire una crescita interiore e di fede che sembra doverci accompagnare nell’arco della vita.
Ciò che ci interroga profondamente è quella capacità di Maria di “custodire tutte quelle cose nel suo cuore”, capacità che non sempre ci appartiene. Custodire non è la stessa cosa di tenere una cosa nel cuore, rimanda all’idea di conservare con cura nel cuore qualcosa, meditandola e facendola germinare in un frutto di autentico amore.
L’umanità che si scorge nelle parole di Maria: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, ti cercavamo angosciati”, evoca un’altra domanda altrettanto angosciata: “Mamma, perché ci hai fatto questo?”. Una domanda che però viene vissuta come innaturale, quasi non umana e tanto più inquietante quanto più rimane inespressa, taciuta.
E ancora. L’umanità di Maria, che forse intravedeva il destino verso cui sarebbe andato incontro il figlio, richiama alla mente il rifiuto di una madre rispetto a questo destino, il desiderio insopprimibile di proteggere la sua creatura.
“Senza che i genitori se ne accorgessero” racconta Luca: questa frase suscita nel gruppo ricordi amari e dolorosi. Quanti segnali, quante richieste di aiuto non sono stati colti da genitori chiusi nella loro preoccupazione e incapaci di alleviare la solitudine di un figlio in ricerca di amore e di riconoscimento.
Eppure ci si è incamminati faticosamente verso l’accettazione reciproca nella consapevolezza di volersi bene, nonostante tutto.
Quel rimprovero implicito nelle parole di Maria: “Figlio perché ci hai fatto questo?” ritorna nel gruppo e fa riemergere un urlo di rabbia in chi a sua volta si è sentito rimproverato, spesso di più, disprezzato e non riconosciuto nella propria identità creativa. Che dire del dolore suscitato da quella stessa domanda, accompagnata da una richiesta tanto più insopportabile se a pronunciarla sono dei genitori: “Vivi nascosto, perché noi abbiamo diritto alla nostra serenità”? Come mantenere una relazione serena con genitori che al proprio figlio, elogiato dagli altri per la sua sensibilità, la sua intelligenza, il suo impegno, sanno solo dire sospirando amaramente: “Se sapessero quello che sei veramente…”.
La parola di speranza dove rintracciarla?
Diventare educatori dei propri genitori alla ricerca di un ponte per raggiungerli, è un progetto di vita tutto da realizzare. Suggerisce qualcuno. Ma c’è chi si chiede: “E’ davvero auspicabile una tale inversione di ruoli?” Si impara dai propri figli, ci dice qualcuno, altra cosa è l’inversione di ruoli, fa notare qualcun altro.
Parola e parole: interpretare, giocare con le parole può andare nella direzione della contrapposizione e dell’accusa oppure, se lette con leggerezza, nella direzione della comprensione reciproca, del rivedere le cose da altri punti di vista. Se a quella domanda di Maria togliessimo il “ci” forse suonerebbe in un altro modo: “Perché hai fatto questo?”
Ascoltare gli altri consente a ciascuno di ripensare le parole del Vangelo, in particolare di capire più profondamente la solitudine di Gesù, che in quella circostanza non si sente compreso dai suoi genitori.
Invitare i propri figli a stare sereni, a superare i sensi di colpa, a condividere con gli altri le proprie esperienze, superando ogni forma di isolamento a cui la società sembra confinare, è un modo per rassicurare sia i genitori che i figli.
“Se io ho visto un’esperienza di amore incarnato l’ho vista in quella stanza di ospedale …”, parole di speranza che hanno attraversato il gruppo, parole che danno un senso ad una situazione di vita che a volte può apparire senza senso.
Luca 2,41-51: Il ritrovamento di Gesù nel tempio
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo l’usanza; ma, trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti. Non avendolo trovato tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua Madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo angosciati”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua Madre custodiva tutti questi fatti nel suo cuore.
* PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio, in v. Del Caravita 8 a. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com