I cattolici prendono posizione sull’omofobia in Africa
Editoriale tratto dal sito di America, the National Catholic Review (Stati Uniti), del 10 marzo 2014, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Con cinque parole diventate famose, “Chi sono io per giudicare?”, papa Francesco ha offerto una nuova incarnazione del magistero cattolico, secondo il quale gli omosessuali “devono essere accettati con rispetto, compassione e sensibilità”.
È tragico che viviamo in un mondo dove non solo si viene giudicati duramente per il proprio orientamento sessuale, ma si viene perfino presi di mira e puniti.
Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha recentemente firmato una legge che criminalizza e punisce “la promozione o il riconoscimento” delle relazioni omosessuali. La prima infrazione può costare il carcere fino a 14 anni; ripetute infrazioni possono costare l’ergastolo.
La Nigeria ha già approvato una legge che prevede il carcere fino a dieci anni per chi “direttamente o indirettamente” è responsabile di una “pubblica esibizione” di relazione omosessuale. La legge punisce anche che è affiliato, anche marginalmente, a club o organizzazioni gay.
Tali leggi hanno provocato molti arresti e hanno innescato ondate di violenza, spesso ignorate dalla polizia, contro chiunque sia anche solo sospettato di essere omosessuale, e sono così vaghe che chiunque può essere accusato di essere gay unicamente in base al modo in cui parla o veste, o in base alle amicizie.
In quei Paesi i gay e le lesbiche vivono sotto una spada di Damocle, sempre con la paura che possano essere scoperti e perseguitati. Molti sono disperati e finiscono per suicidarsi.
È chiaro che molti fattori hanno contribuito a questa situazione: la paura, molto radicata, che l’omosessualità costituisca una minaccia mortale per la società, una interpretazione della Bibbia troppo letterale e selettiva, l’opposizione, molto diffusa in Africa, all’imposizione neocolonialista dei valori liberali “occidentali” e gli interessi di cinici politicanti che vogliono rafforzare le loro posizioni di potere.
Sconcerta in particolare il fatto che tali leggi siano popolarissime in Paesi a maggioranza cristiana come l’Uganda, dove il 40% della popolazione è cattolica romana e dove i vescovi cattolici hanno mandato segnali contraddittori sull’argomento.
Nel 2009, quando il progetto di legge era in fase di studio, l’arcivescovo di Kampala Cyprian Lwanga, parlando a nome della Conferenza Episcopale locale, disse che la legge “contraddiceva i valori fondamentali” del cristianesimo.
Tuttavia nel 2012, quando la legge fu reintrodotta, il Consiglio Cristiano Congiunto dell’Uganda, composto dai vescovi cattolici, anglicani e ortodossi, espresse il suo sostegno. Nel frattempo l’arcivescovo di Jos, in Nigeria, Ignatius Kaigama, lodò il presidente Goodluck Jonathan per la “decisione coraggiosa e saggia” di firmare la nuova legge.
La preoccupazione cristiana per la preservazione della tradizionale istituzione del matrimonio non può giustificare queste misure punitive eccessive, che vanno molto oltre la semplice definizione del matrimonio. Non è dunque incoerente sostenere il matrimonio tradizionale e opporsi a tali provvedimenti, che costituiscono degli attacchi ingiustificabili ai diritti umani e all’intrinseca dignità delle persone gay e lesbiche.
Perché nessuno possa pensare diversamente, i sostenitori del matrimonio tradizionale hanno infatti l’obbligo di denunciare ad alta voce ogni ingiusta discriminazione contro gli omosessuali.
Il vigoroso sostegno da parte della Chiesa nei confronti del matrimonio tradizionale deve essere inoltre accompagnato, in eguale misura, dalla difesa dei diritti umani di gay e lesbiche. Questo è richiesto dallo stesso magistero della Chiesa.
In effetti, sempre più leader cattolici hanno offerto il loro completo sostegno alla decriminalizzazione dell’omosessualità. Nel dicembre 2009 la delegazione della Santa Sede alle Nazioni Unite affermò che la Chiesa si oppone “a tutte le forme di violenza” e alle “leggi penali discriminatorie” contro le persone gay. Quello stesso mese, in un cablogramma diplomatico pubblicato da WikiLeaks, il cardinale Ennio Antonelli, allora presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, disse che i vescovi cattolici in Uganda “e altrove non dovrebbero sostenere la criminalizzazione dell’omosessualità”.
Più recentemente, lo scorso 29 gennaio, un editoriale di The Southern Cross, il giornale dei vescovi di Sudafrica, Botswana e Swaziland, ha invitato i cattolici africani a “stare dalla parte di chi non ha potere” e ha suonato l’allarme “di fronte all’avanzata, nell’intera Africa, di una legislazione draconiana che mira a criminalizzare gli omosessuali”.
Aggiungiamo la nostra voce a questo coro sempre più grande. Papa Francesco ha descritto i gay come “socialmente feriti” perché “sentono di essere sempre stati condannati dalla Chiesa”.
I cattolici devono fare un esame di coscienza e chiedersi in che modo possiamo aver contribuito, magari inavvertitamente, alla cultura della paura e della vergogna. Negli ospedali da campo dopo la battaglia, una delle responsabilità fondamentali dei soccorritori è “non fare del male”.
La Chiesa dovrebbe opporsi alla violenza contro le persone gay e dovrebbe sostenere con forza la decriminalizzazione dell’omosessualità. Nessuno dovrebbe essere soggetto alla legge penale solo perché omosessuale. Se leggi come queste non costituiscono la “ingiusta discriminazione” contro le persone gay che la Chiesa giustamente denuncia, allora che cosa lo è?
Testo originale: When the Law Is a Crime