Il bivio dei cristiani conservatori di fronte alla vittoria epocale delle unioni gay
Riflessioni di Cynthia Nordone, pubblicata sul blog cattolico Bondings 2.0 di New Ways Ministry (Stati Uniti), il 7 gennaio 2016, liberamente tradotto da Marius
In un recente post dal titolo “Out of Options: Christians’ Losing Battle Over Equality” (Senza scelta: i cristiani hanno perso la battaglia contro la parità), Kaya Oakes, blogger di Religion Dispatches, afferma che i conservatori cristiani hanno perso la lotta contro il matrimonio gay, ma che il modo in cui risponderanno a questa sconfitta potrà avvenire con modalità differenti.
La Oakes osserva, … che generalmente le risposte dei pensatori cristiani conservatori hanno seguito due tendenze: la prima, di austerità – che invita a tornare alla visione biblica (tradizionale) del matrimonio e della seassualità al fine di riportare il cristianesimo a una posizione di centralità nella cultura e nella moralità della società – che vede “l’affermazione dell’omosessualità” come una negazione della verità sulla natura umana. L’altra tendenza invoca “un esempio pacifico di impegno” in merito ai temi della sessualità e del genere, al fine di “creare un modello di vita cristiana più gradevole rispetto all’austerità […]”.
Secondo la Oakes, la vittoria per il riconoscimento della parità delle donne e delle persone LGBT spinge la Chiesa cattolica e le chiese cristiane conservatrici in un vicolo cieco: “Se mai dovessero accogliere le donne nella dirigenza e accettare le famiglie omosessuali e le persone trans, rischierebbero di inimicarsi alcuni dei loro membri più impegnati (oltre che loro benefattori).
Se dovessero rifiutare quegli stessi principi di parità, rischierebbero di perdere (e in molti casi hanno già perso!) tutti coloro che, nati fra gli anni ’60 e il 2000, sono cresciuti con il femminismo come un dato di fatto e l’uguaglianza LBGTQ come il nodo centrale dei diritti civili della loro epoca”.
Queste stesse chiese rischiano anche di perdere “il concetto di un senso unico stabilito di una Verità che non può cambiare”, sostiene la Oakes. “Quello che vediamo di recente nei loro scritti è la frantumazione di questo concetto che è emotivamente difficile da testimoniare. L’atteggiamento difensivo, il puntare il dito e i ragionamenti circolari equivalgono alla stessa cosa: un sentimento di paura che si trasforma in rassegnazione per la sconfitta, giungendo ad attacchi agli uomini […]”
La Oakes paragona il timore espresso da alcuni scrittori cristiani conservatori alle esperienze dei cristiani fondamentalisti o ortodossi che persero la fede quando dovettero affrontare l’idea che le donne erano uguali agli uomini, o che alcune persone amavano delle persone del loro stesso sesso, o che potesse essere accettabile vestirsi in un modo “inappropriato” per il proprio genere sessuale:
“Lo schema che si sentirà sarà più o meno lo stesso: rabbia, rifiuto, paura. E poi a poco a poco, se si è fortunati: accettazione, tolleranza, accoglienza. Queste ultime cose di solito provengono dalle persone, non dalle istituzioni, e sono il frutto di dialogo”.
Anche se la Oakes non lo dice esplicitamente, la via da seguire è il dialogo. Questo è l’esempio di Gesù. Il ministero di Gesù era caratterizzato da gesti di dialogo e di interessamento per le persone, spesso quelle emarginate del suo tempo. Come nelle parole di papa Francesco sul racconto evangelico dell’incontro di Gesù con il cieco Bartimeo:
“Gesù è appena uscito da Gerico. Nonostante abbia appena iniziato il cammino più importante, quello verso Gerusalemme, si ferma ancora per rispondere al grido di Bartimeo. Si lascia toccare dalla sua richiesta, si fa coinvolgere dalla sua situazione. Non si accontenta di fargli l’elemosina, ma vuole incontrarlo di persona. Non gli dà né indicazioni né risposte, ma pone una domanda: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51).
Potrebbe sembrare una richiesta inutile: che cosa potrebbe desiderare un cieco se non la vista? Eppure, con questo interrogativo fatto “a tu per tu”, diretto ma rispettoso, Gesù mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio”.
Il dialogo è anche la strada da seguire come Chiesa (Cattolica). Di recente, papa Francesco ha sottolineato questo punto ai vescovi italiani riunitisi a Firenze nel mese di novembre:
“La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia.
Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà. E senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. È fratello”.
Sono d’accordo con la Oakes che una forma di cristianesimo i cui membri predicano “un Vangelo di intransigenza e di esclusione” probabilmente dovrebbe estinguersi “perché ha molto poco a che fare con Gesù che lo ha iniziato”, ma sono fiduciosa che il cattolicesimo si rinnoverà attraverso il dialogo e l’impegno.
Testo originale: Can Encounter Be a Way for Conservatives to Go Forward on LGBT Equality?