Articolo di Edna Costello pubblicato sul sito 360 (Svizzera) il 1 dicembre 2004, liberamente tradotto da Lavinia Capogna
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Per far fronte all’integralismo Irshad Manji giornalista, canadese, musulmana e lesbica, ha pubblicato una lettera aperta a tutti i musulmani in cui fa appello all’indipendenza e allo spirito critico nella pratica dell’Islam.
“In Iran quando una donna è sospettata,solo sospettata,di essere lesbica viene avvolta in un lenzuolo bianco e la si fa scendere in una fossa. Degli uomini le tirano delle pietre grandi come una pallina da ping pong. Come conciliare la mia fede musulmana con una tale violenza, con una tale ingiustizia?”.
Dopo anni di domande dovute ad una doppia educazione (la scuola pubblica e pluriculturale canadese durante la settimana e la scuola coranica il sabato) questa giovane donna canadese di origine pachistana (Irshad Manij è nata nel 1968 ndt) è diventata oggi la voce di tutti coloro che credono in un Islam aperto e progressista.
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Discutere il Corano
“La maggior parte delle persone considerano il Corano come un testo da imitare piuttosto che da interpretare”, Rashid Manji sostiene la pratica della Ijtihad “una tradizione islamica della riflessione indipendente che permette a tutti, musulmani, donna o uomo, eterosessuale o omosessuale, giovane o vecchio, di aggiornare la sua pratica religiosa alla luce delle circostanze presenti”.
Numerosi musulmani desiderano in effetti vivere la loro fede rispettando le diversità culturali senza timore e senza sottomettersi alle norme e ai costumi tribali.
“Ma troppo pochi hanno il coraggio di rimettere in causa ,di sfidare oppure di discutere pubblicamente sull’Islam”. Questo è quello che ha fatto Irshad Manij in questo libro, grazie ad un’inchiesta appassionante e a ricerche storiche.
Tuttavia lei resta fedele ai valori dell’Islam.Quando ci si interroga sul fatto di essere gay e musulmano lei cita il Corano: “Esso è molto chiaro:tutto ciò che Dio fa è eccellente.Niente di ciò che Dio crea è vano e Dio crea quello che vuole.
Il Corano dice che anche che se a Dio fosse piaciuto avrebbe fatto di noi un solo popolo. Ma egli ha deciso diversamente. Forse perché ci mette tutti alla prova. Questo non è solo un appello alla tolleranza,questo significa che Dio ha creato la diversità”.
Quella che Irshad Manij sostiene è la libertà di “meditare la volontà di Dio senza alcun obbligo di sottomettersi ad un’interpretazione data”. Lei parla anche del fatto di portare il velo.Mentre alcune persone sono contrarie a questa pratica altre ribattono che si tratta di una scelta che le donne fanno in piena libertà.
“Il Corano dice che non c’è nessun obbligo nella religione. Tuttavia una donna che indossa il hijab per paura di non essere considerata una buona musulmana, spiega Rashid Manij, non fa una scelta ma vive una costrizione “.
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Polemiche
L’autrice parla anche dell’incitazione dell’Islam all’odio verso gli ebrei e al conflitto arabo israeliano. “I musulmani imparano come Israele o i colonizzatori occidentali siano all’origine delle loro disgrazie, anche se da un secolo i musulmani sono stati torturati e uccisi molto di più da altri musulmani che da Israele o dalle potenze colonialiste.
Certo c’è l’occupazione militare israeliana di Gaza e questa deve finire. Ma le autorità palestinesi hanno anche una gran parte di responsabilità in questi conflitti”.
Certo, per alcuni musulmani l’autrice va troppo oltre. Ma lei affronta serenamente le polemiche: “Ricevo anche delle minacce di morte ma è così sorprendente? Le ricevevo già quando facevo Queer, la prima trasmissione gay e lesbica per la televisione canadese”.
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I discorsi non basteranno a cambiare il mondo musulmano e a ridare la loro dignità alle donne, le prime vittime dei costumi tribali. Il progresso arriverà per la via economica”. Irshad Manij difende lo sviluppo di imprese di donne musulmane.
Il Corano non proibisce alle donne di fare del commercio. Aiutarle ad ottenere in gran numero l’indipendenza economica e incoraggiare l’alfabetizzazione dona loro il potere di metter fine alla loro schiavitù.
Un progetto di micro prestiti per milioni di donne musulmane alle quali le istituzioni bancarie non presterebbero un centesimo si sta realizzando in più di 40 paesi.
L’idea lanciata da un economista del Bangladesh è così efficace che le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2005 ” l’anno dei micro prestiti “. (L’economista del Bangladesh è Muhammad Yanus che il 13 ottobre 2006 è stato insignito del Premio Nobel ndt.)
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