Sull’omosessualità lasciamo che la Chiesa episcopale dica Amen

L’Assemblea dei Vescovi della Chiesa episcopale degli Stati Uniti (the House of Bishops of the Episcopal Church) ha votato, in modo schiacciante, per rovesciare la moratoria triennale che vietava l’elezione di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e omosessuali all’episcopato. Molti di questi, ed i loro alleati, hanno fatto salti di gioia ma la battaglia non è terminata.
L’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha espresso la sua preoccupazione circa la recente decisione dicendo all’Associated Press: “Lamento il fatto che non ci sia stata la volontà di osservare la moratoria in una parte così significativa della chiesa nel Nord America”.
Ma la Chiesa episcopale sta veramente ostacolando lo scisma dovuto alla spaccatura teologica creatasi dopo la consacrazione del primo vescovo apertamente gay? O è in preda alla confusione, una chiesa in lotta con se stessa per essere finanziariamente solvibile e teologicamente preparata nel competitivo mercato religioso di ogni? Per coloro che discutono sull’autorità delle Scritture ciò non ha alcun peso, perché la Chiesa episcopale è sempre stata contestata su questo argomento.
Per esempio, negli anni ’70, la questione dell’autorità delle Scritture sorse con l’ordinazione delle donne, che comportò ugualmente la minaccia di uno scisma. Ma nel 1989, la Chiesa consacrò ugualmente il suo primo vescovo donna, Barbara C. Harris. I conservatori si sentirono oltraggiati, non solo teologicamente, ma anche nel sentimento razziale, perché Barbara Harris era un’afro-americana.
Nel 2006, scintille di gioia, ma anche di esasperazione, attraversarono tutta la Comunione anglicana quando venne annunciato che Katharine Jefferts Schori sarebbe stata il primo vescovo alla presidenza della Chiesa episcopale degli Stati Uniti.
Comunque tutto ciò non sorprende affatto: durante tutta la sua storia la Chiesa episcopale ha assunto un atteggiamento di superiorità morale nelle questioni di giustizia sociale. Nella spaccatura dovuta alla schiavitù americana, questa chiesa disapprovò l’interpretazione letterale della Bibbia, sostenendo che la schiavitù violava lo spirito della Bibbia stessa.
La Old North Church, che ebbe un ruolo molto attivo durante la Rivoluzione americana, fu il faro che guidò la “corsa di mezzanotte” di Paul Revere. Mentre l’Emmanuel Episcopal Church nel Cumberland (Maryland), fu un ostacolo di rilievo per la Underground Railroad.
Molti vogliono credere che la battaglia delle congregazioni episcopali secessionisti contro i vescovi liberali, che sostengono gli omosessuali, sia dovuta alla crisi finanziaria della Chiesa episcopale, ma le sue casse erano vuote ancor prima della consacrazione di Robinson. Quale ne è la ragione? Il declino dei suoi membri durante i decenni; l’ascesa dei suoi vescovi del Terzo Mondo in Africa, Sud America e Asia; ed il suo egregio atto di inospitalità ed esclusione per la popolazione omosessuale.
La tensione presente attualmente nella Comunione anglicana a livello mondiale è innegabile. Ma ciò che molti non sanno è che questa deriva tanto dal modo in cui, grazie a sfrenati sforzi missionari, è dilagata nel Terzo Mondo, sia per la forza conservatrice nella Chiesa che è il ripudio dell’omosessualità.
I due aspetti comunque si alimentano entrambi con Robinson che, sin dalla sua consacrazione, è stato il capro espiatorio della Chiesa. Facendo combattere tra loro i gruppi emarginati, come i gay o gli africani, la Chiesa maschera le sue geopolitiche di razza e potere, mentre colpisce l’omofobia. Vi suona familiare questo scenario?
Quando l’ala liberale della Chiesa episcopale consacrò Robinson, il Global South anglicano – costituito essenzialmente da paesi del Terzo Mondo in Africa, Sud America e Asia – non abbracciò il cambiamento radicale, da una religione di trasformazione personale a una fede di affermazione personale. Secondo il Global South, quella trasformazione non metteva in questione solo la fede religiosa, ma anche il loro potere ecclesiastico all’interno della Chiesa.
Secoli di missionari anglicani hanno percorso in lungo e in largo l’entroterra e le giungle dei paesi del Terzo Mondo, per trasformare i pagani, dediti alla pratica del culto della fertilità, in buoni cristiani; giramondo evangelizzatori che diffusero non solo messaggi razzisti e omofobi, che hanno avuto ripercussioni molto forti sui loro sottoposti colonizzati, ma che portando anche la nozione di potere in paesi non ancora integrati e che essi volevano nel feudo ecclesiastico anglicano.
Un segno di accesso è l’invito alle conferenze di Lambeth. Sono riunioni globali che si tengono una volta ogni dieci anni, cui partecipano vescovi e arcivescovi anglicani che un tempo operavano come in un club, di soli uomini bianchi, mediatori del potere eterosessuale. Ignoravano, senza alcuno scrupolo morale, le loro chiese missionarie. Ma le cose cambiarono e, quando ciò accadde, il cambiamento non fu solo radicale, ma anche razziale.
“Fra dieci anni, quando i vescovi africani si porranno al microfono in questa conferenza, noi saremo così numerosi e potenti che si farà fatica a riconoscerci”, aveva detto Joseph Adetiloye, un ufficiale in pensione della chiesa nigeriana, alla conferenza di Lambeth del 1978, stando al The New Yorker. Mentre gli Stati Uniti, al massimo, hanno approssimativamente 2.2 [milioni] di episcopali oggigiorno, il centro di gravità della chiesa anglicana non è né qui, né in Gran Bretagna, ma in Africa.
Ce ne sono all’incirca tre milioni in Kenya e nove in Uganda. E i due paesi insieme non arrivano neanche vicino ai venti milioni presenti in Nigeria, che fanno di Peter Akinola, loro arcivescovo, uno dei più potenti uomini della Comunione anglicana.
Oppositore clamoroso dei diritti civili degli omosessuali, Akinola ha usato Robinson come suo capro espiatorio per mostrare la sua forza, come segno del potere africano nella Chiesa anglicana, così come per espandere il suo potere missionario, capitalizzandolo nello scisma teologico che ha prodotto.
Robinson ora è una voce isolata tra i vescovi, ma è anche un modo per la Chiesa anglicana per evitare di spingere troppo sul proprio etero sessismo. Ricordo un pastore alla consacrazione di Robinson. Era il reverendo Douglas E. Theuner, al quale era subentrato Robinson. Theuner esortò al cambiamento necessario, di cui si ha bisogno nella chiesa per poter accogliere ogni persona, non solo gli omosessuali. Disse: “Quando cerchiamo di condurre i margini verso il centro, necessariamente spingiamo il centro verso i margini.
Se Canterbury o New York, per esempio, desiderano aiutare la Nigeria o i Caraibi a muoversi verso il centro, allora, dato che ognuno continua a occupare lo spazio disponibile, Canterbury e New York dovranno muoversi verso il margine.
Noi che siamo stati nel centro non amiamo muoverci verso il margine, neanche se fosse verso spazi diversi, ma dobbiamo farlo se vogliamo sostenere gli emarginati. Questa è stata la spinta del ministero di nostro Signore… Sia benvenuta la vita che Gesù scelse… al margine!”.
Per me è fonte di gioia, in questo momento della storia della Chiesa episcopale, che essa si diriga verso l’accoglienza, benché zoppicando e a dispetto dell’opposizione. Perché quelli di noi ai margini, nelle nostre chiese e nelle comunità di fede, abbiamo bisogno di vedere i principi dell’amore in atto. L’Assemblea dei Vescovi [episcopali] ha votato. Lasciamo che la Chiesa episcopale dica Amen.
* Il reverendo Irene Monroe è un ministro donna nativo di Brooklyn, New York. E’ stato pastore di una chiesa afro-americana del New Jersey prima di entrare alla Harvard Divinity School a fare il suo dottorato. Negli Usa è conosciuta a livello nazionale come un attivista lesbica afro-americana, studiosa e teologa. I suoi editoriali sono apparsi sul Boston Globe, il Boston Herald e Metro News
Testo originale: Let the Episcopal Church say Amen