La misoginia verso le donne e l’omofobia nella Chiesa cattolica
Riflessioni del teologo John J. McNeill*, liberamente tradotte da Bruno
C’è stata e continua ad esserci una profonda connessione tra misoginia e omofobia nella nostra cultura. La misoginia è definita come paura e odio verso la donna.
Essa si manifesta psicologicamente nella repressione di tutto ciò che, nella psiche, è tradizionalmente collegato con il femminile (per questo io preferirei usare il termine femminofobia).
Tra le altre cose questo include tutte le emozioni, i sentimenti di compassione, tutti i sentimenti spirituali, tutte le dipendenze e tutte le necessità della comunità.
Più di sessanta anni fa G. Rattrey Taylor nel suo classico libro Il sesso nella storia [Sex in History, New York, 1954; tr. it. Longanesi, 1957] ha cercato di raccontare alcuni dei condizionamenti culturali riguardanti la sessualità.
Ha trovato una costante nelle culture basate su un principio patriarcale. Queste culture con poche eccezioni, tendono a coniugare una visione fortemente subordinata della donna con la repressione e l’orrore nei riguardi delle pratiche omosessuali maschili.
L’istituzione che, nella cultura di oggi, continua a conservare l’espressione più chiara di quella forma di patriarcato, compresa la sua omofobia, è la Chiesa Cattolica Romana.
Al contrario, le culture basate su un principio matriarcale sono inclini a combinare un miglioramento dello status delle donne con una relativa tolleranza per le pratiche omosessuali maschili.
Taylor conclude che la tradizione dell’Occidente cristiano è fondamentalmente basata sulla cultura patriarcale. Questo può aiutare a spiegare alcune anomalie sorprendenti da un punto di vista etico in tale tradizione.
Una delle anomalie più notevoli è la quasi completa indifferenza nei confronti del lesbismo nella tradizione occidentale cristiana.
Ad esempio il Codice di Santità nel Vecchio Testamento [NdR: l’insieme delle norme rivolte a Israele perché si mantenesse “santo”; tali norme occupano i capitoli dal 17 al 26 del libro del Levitico] condanna esplicitamente sotto pena di morte le pratiche omosessuali da parte dei maschi e la bestialità da parte delle donne, ma non viene fatta menzione delle pratiche lesbiche. Ciò non deve sorprendere se si ricorda la fama di re Davide di possedere un harem di quasi un migliaio di donne.
Oltre a un riferimento, la cui interpretazione peraltro non è del tutto condivisa, ad atti femminili innaturali fatto da Paolo in Rom 1:26 non c’è altro riferimento ad attività lesbica nella Scrittura e quasi nessuno in tutti gli altri documenti della tradizione cristiana.
Vi è una marcata tendenza in tutte le fonti della tradizione cristiana a condannare la sodomia come atto di un uomo che “assume il ruolo della donna” nel rapporto con un altro uomo. Ciò ha portato alla tradizione culturale di rispettare l’uomo che interpreta il ruolo attivo nella penetrazione e disprezzare l’uomo che interpreta il ruolo passivo.
Questa tradizione è ancora forte in particolare nella cultura dei paesi di origine latina. Come ha osservato Bailey, questo è stato considerato nella tradizione non tanto come una violazione della natura umana, ma piuttosto come una degradazione del maschio in quanto tale.
Se c’è un messaggio certo nella storia biblica di Sodoma e Gomorra, è la convinzione del rispetto assoluto che all’epoca doveva essere rivolto ai maschi e della relativa mancanza di preoccupazione per la femmina.
Un perfetto esempio di ciò sono le parole di Lot alla folla che minaccia di attaccare i suoi ospiti di sesso maschile: “Per favore, amici miei non siate così depravati. Ho due figlie che non hanno mai avuto rapporti con un uomo, lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace; solo non fate nulla a questi uomini, perché sono venuti al riparo del mio tetto” (Gen 19 : 7-8).
Tutti i maschi ebrei ai tempi dell’Antico Testamento pregavano così: “Grazie a Dio non sono stato creato donna!”
Stimolare o incoraggiare o costringere un altro uomo a simulare la funzione coitale passiva rappresentava una perversione intollerabile per una società organizzata secondo la teoria della subordinazione essenziale delle donne agli uomini, una società che apprezzava particolarmente l’aggressività maschile e il dominio.
La mia impressione è che questo atteggiamento sia ancora fortemente presente in alcuni settori della società musulmana.
Di conseguenza, come osserva Bailey, un uomo che “ha agito come una donna in un atto sessuale” era trattato come uno che ha tradito non solo se stesso, ma tutto il suo sesso, trascinando i suoi compagni con lui nella sua disgrazia volontaria.
Bailey conclude con questa dichiarazione: “Potrebbe forse francamente essere bene per noi guardare in faccia il fatto che la razionalizzazione dei pregiudizi sessuali, animata da false nozioni di privilegi sessuali, ha giocato un ruolo non trascurabile nella formazione della tradizione che abbiamo ereditato e probabilmente ancora oggi controlla le opinioni e la politica in materia di omosessualità, in misura maggiore di quanto comunemente si pensi.”
Più di recente la connessione storica fra misoginia e omosessualità è stata notevolmente illuminata da Richard Tarnas nel suo brillante studio dell’evoluzione della cultura occidentale: Passion of the Western Mind. Understanding the Ideas that Have Shaped Our World View (New York: Ballantine Books, 1991).
L’intuizione di base di Tarnas è che gli ultimi tremila anni di sviluppo della filosofia, della scienza, della religione e della cultura sono stati un fenomeno esclusivamente maschile, dall’inizio alla fine.
È mia convinzione che il processo storico dialettico che ha portato allo sviluppo dell’archetipo maschile, con la repressione del femminile rappresenti il movimento di quello che gli psicologi chiamano anima-animus mundi.
La sua tesi nel passato è stato lo sviluppo dell’archetipo maschile che, per qualche misteriosa ragione, doveva essere realizzato per primo; la sua antitesi nel presente e nel futuro sarà l’elaborazione di un archetipo femminile, che non contraddirà o reprimerà il maschile, ma alla fine avrà come risultato la sintesi di una completezza androgina di tutti gli esseri umani, maschi e femmine.
Io sospetto che il processo storico teso a elaborare per primo l’archetipo maschile, creando l’individuo umano separato e indipendente, avesse a che fare con la maggiore potenza e vicinanza alla vita e alla natura del femminile.
Se l’archetipo femminile fosse stato elaborato per primo, lo sviluppo maschile, che è molto più fragile, non avrebbe mai potuto verificarsi o sarebbe avvenuto solo con estrema difficoltà. A questo punto del confronto, non possiamo più semplicemente tornare alla matrice materna, come un adulto non potrebbe trovare la sua pienezza nel grembo della madre.
L’”uomo” della tradizione occidentale è stato un eroe indagatore, un Prometeo ribelle biologico e metafisico, che ha cercato costantemente la libertà e il progresso per se stesso, e che ha quindi sempre lottato per differenziarsi e acquisire il controllo della matrice da cui era scaturito.
Questo eroe prometeico è presente sia negli uomini che nelle donne.
L’evoluzione del pensiero occidentale è stata guidata da un impulso eroico a dar vita ad un sé autonomo, consapevole, razionale, separandosi dall’unità primordiale con la natura.
Il risultato di questo processo è stato il sé trascendente, l’ego individuale indipendente, l’auto-determinazione dell’essere umano nella sua unicità esistenziale, separatezza e libertà.
Il momento di bilanciamento femminile ha a che fare con la costruzione di una comunità spirituale d’amore e di una profonda relazione appassionata di amore personale con l’altro e il divino, un rapporto costruito non su una immersione del nostro ego e dell’identità in una generica collettività o matrice, ma è costruito invece su una relazione ed una comunità liberamente costituita da individui liberi, autonomi, indipendenti e auto-determinati.
Perché, si chiede Tarnas, la mascolinità pervasiva della tradizione occidentale, intellettuale e spirituale è diventata così evidente per noi nel corso degli ultimi quaranta anni, quando essa era rimasta invisibile e inconsapevole in quasi tutte le generazioni precedenti?
Solo attraverso il movimento femminista negli ultimi quaranta anni noi siamo diventati consapevoli di quanto siano esclusivamente maschili, per esempio, le nostre usuali preghiere liturgie. Hegel una volta ha osservato: “La civetta di Minerva allarga le ali solo alla caduta del crepuscolo.”
Ogni civiltà è inconsapevole di sé, fino a quando non raggiunge il suo declino; è solo allora che diviene pienamente cosciente di ciò che la pervade. La vera saggezza e conoscenza può essere raggiunta solo al punto finale. La tradizione maschile di tremila anni di civiltà occidentale sta raggiungendo il suo apogeo ed è stata condotta a prendere coscienza dell’unilateralità estrema del suo atteggiamento tardo moderno.
L’evoluzione del pensiero occidentale è stata fondata sulla repressione del femminile, “sulla repressione dell’indifferenziata coscienza unitaria, della partecipazione mistica alla natura, della negazione progressiva dell’Anima Mundi, della comunità di essere, del mistero e dell’ambiguità, dell’immaginazione, dell’emozione, istinto e sessualità del corpo, della natura e delle donne “. (Tarnas: p. 442).
Oggi uomini e donne affrontano la crisi esistenziale di essere degli EGO solitari e consci della propria morte, gettati in un universo privo di senso e in ultima analisi inconoscibile, un ambiente che è sempre più artificiale, meccanicistica, frammentato, senz’anima, e auto-distruttivo. L’evoluzione dell’archetipo maschile ha raggiunto un vicolo cieco.
Se si continua in questa dialettica unilaterale la razza umana si troverà di fronte alla reale possibilità di auto-distruzione attraverso la guerra nucleare o un diffuso collasso ambientale. Gli esseri umani si sentono progressivamente isolati, alienati dalle loro comunità, dalla natura, e gli uni dagli altri.
Tarnas ritiene che la soluzione di questa crisi sia già in atto nella nascita del grande archetipo femminile nella nostra cultura. Egli avverte questo fenomeno come visibile nella nascita del femminismo, l’emancipazione crescente di donne, e l’apertura diffusa verso valori femminili espressi sia da uomini che donne. Trova ulteriore prova di questo nella voglia diffusa di riconciliarsi con il corpo, le emozioni, l’inconscio, l’immaginazione e l’intuizione.
“La passione più radicata della mentalità occidentale è stata quello di riunirsi con il profondo del proprio essere. L’impulso che ha guidato la coscienza dell’Occidente è stata la ricerca dialettica, non solo per realizzare se stessi e forgiare la propria autonomia, ma anche per recuperare la propria connessione con il tutto, venendo a patti con il grande principio femminile nella vita: differenziarsi ma alfine arrivare a riscoprire e riunirsi con il femminile, con il mistero della vita, della natura, dell’anima.
E tale ricongiungimento può ora avvenire su un livello nuovo e profondamente diverso da quello dell’unità primordiale inconscia, perché la lunga evoluzione della coscienza umana l’ha messa in grado di abbracciare finalmente la terra e la matrice del proprio essere, in maniera libera e consapevole.
Il telos, il senso interiore e l’obiettivo della mentalità occidentale è stato quello di ristabilire il contatto con il cosmo in una partecipazione mistica e matura, per consegnarsi liberamente e consapevolmente tra le braccia di una unità più ampia, che preserva l’autonomia dell’uomo, mentre trascende l’alienazione umana.” (Tarnas: pp 443-444).
Tarnas conclude il suo notevole lavoro con l’affermazione che l’incessante sviluppo interiore e il persistente ordinamento maschile della realtà che caratterizza la mentalità occidentale sono stati gradualmente condotti verso la riconciliazione con la perduta unità femminile, verso un matrimonio profondo e a molti livelli del maschile e del femminile, una riunione trionfale e risanante. “Il nostro tempo sta lottando per portare alla luce qualcosa di nuovo nella storia umana.
Ci sembra di essere testimoni, nella sofferenza, delle doglie da cui nascerà una nuova realtà, una nuova forma di esistenza umana, un “bambino” che sarebbe il frutto di questo matrimonio archetipico e che porterebbe in sé tutti i suoi antecedenti in una nuova forma “.
“Questo stupendo progetto occidentale dovrebbe essere visto come una parte, necessaria e nobile, di una dialettica grande e non semplicemente respinto come un complotto imperialista-sciovinista.
Non soltanto questa tradizione ha prodotto le differenziazioni fondamentali e l’autonomia della persona umana, che sola può consentire la possibilità di una tale più grande sintesi, ma ha anche minuziosamente preparato la strada per la propria auto-trascendenza.
Inoltre, questa tradizione possiede risorse, lasciate alle spalle e scartate dal proprio sviluppo prometeico, che abbiamo appena iniziato a integrare e che, paradossalmente, solo l’apertura al femminile ci consentirà di integrare pienamente.
Ogni punto di vista, maschile e femminile, è qui contemporaneamente affermato e trasceso, riconosciuto come parte di un tutto più grande; ogni polarità infatti ha bisogno dell’altro per il proprio compimento.
E la loro sintesi porta a qualcosa al di là di se stessa: porta un’apertura inaspettata ad una realtà più grande che non può essere afferrata prima che arrivi, perché questa nuova realtà è di per sé un atto creativo. “ (Tarnas: p.445).
Il ruolo della Comunità LBGT nella Grande Dialettica
Anche se con mio grande stupore Tarnas non fa menzione di essa, parallelamente alla nascita della liberazione della donna, nel corso degli ultimi cinquant’anni è emersa una identità positiva gay a tutti i livelli – sociale, politico, culturale e spirituale – in tutto il mondo.
Jacque Perotti, il fondatore del gruppo cattolico gay di lingua francese europeo “David et Jonathan”, parla di questa stessa epoca come di un “declic” “uno scatto, un momento speciale nella storia, una rivelazione del lento emergere di una identità omosessuale positiva dal cuore del mondo. Dopo tanti secoli di rigetto, distruzione e intimidazione, un vento di libertà ha iniziato a soffiare”. Ai nostri giorni quel vento è diventato un uragano.
Questo emergere di una identità positiva gay ha subìto un’accelerazione negli ultimi anni in misura notevole, e credo che abbia uno scopo teleologico nello sviluppo dell’anima-animus mundi.
Questa presenza di una comunità mondiale visibile gay e lesbica, per la prima volta negli ultimi tremila anni, è parte integrante di tale dialettica, ed è un altro aspetto del recupero del femminile o, come io preferisco chiamarlo, del bilanciamento del maschile e del femminile in una nuova sintesi nella personalità umana
Chiaramente la dialettica dominante dell’archetipo maschile nel passato, insieme con la repressione del femminile, ha anche incluso la repressione degli omosessuali.
Come G. Rattrey Taylor ha sottolineato, le culture patriarcali combinano una veduta delle donne come subordinate con una forte repressione delle pratiche omosessuali fra maschi. L’ascesa del movimento femminista di liberazione in questi ultimi anni dà un motivo di speranza che le persone GLBT saranno pienamente accettate nella comunità umana che verrà.
Al centro di ogni omofobia c’è la misoginia e la repressione del femminile. I gay sono visti come una minaccia al patriarcato, perché sono spesso in contatto e in accordo con la dimensione femminile di se stessi.
È chiaro che la liberazione femminile e quella gay sono così intimamente legate che i gay dovrebbero offrire un pieno sostegno per la liberazione delle donne e viceversa.
Nessun processo dialettico può riuscire, a meno che non porti in sé il seme della sintesi. Questi semi di sintesi si trovano nella comunità gay.
La sintesi può avere successo soltanto attraverso l’emergere di un gruppo visibile in grado di vivere pienamente le proprie dimensioni, sia maschile che femminile, senza la necessità di reprimere l’una o l’altra.
Abbiamo bisogno di un gruppo che possa fungere da modello per la meta ideale dell’attuale evoluzione dell’umanità, persone che sanno mantenere la propria dimensione maschile e femminile in buon equilibrio e portare avanti una sintesi equilibrata delle due.
Questo, credo, è il ruolo provvidenziale dei gruppi politici e spirituali GLBT, che sono nati nel corso degli ultimi cinquant’anni.
Noi che siamo gay e lesbiche abbiamo bisogno di una visione e dobbiamo essere chiari su quali sono i doni che portiamo a questo momento della storia e il ruolo centrale che dobbiamo svolgere nel far emergere la pienezza di vita per tutti gli esseri umani.
Questo ruolo si gioca in modo particolare nel contesto gay di un nuovo paradigma per il matrimonio umano, che sostituisca il paradigma patriarcale ormai distruttivo.
Nel matrimonio gay entrambe le parti si relazionano fra loro da pari a pari. Nessuna delle due parti è sotto pressione per reprimere una intera dimensione di tutta la sua umanità: il femminile per gli uomini, il maschile per le donne.
Entrambe le parti possono rapportarsi l’una all’altra come esseri umani completi. Visto in questa luce il matrimonio gay è un dono di Dio che può salvare tutti i matrimoni dalla loro tendenza attuale al fallimento.
* Padre John McNeill è un pioniere del movimento di liberazione gay, ha contribuito alla fondazione di Dignity New York City, un gruppo di sostegno spirituale per cattolici gay e lesbiche, nel 1972.
Nel 1976 ha pubblicato “La chiesa e l’omosessualità”, la prima grande critica teologica alla tradizionale condanna ecclesiastica delle relazioni lesbiche e gay. Nel 2007 è stato insignito del National Gay and Lesbian Taskforce lifetime achievement award (il premio per la realizzazione di una taskforce nazionale duratura di gay e lesbiche) “grazie al fatto di aver aperto la strada nel far capire che essere gay è un dono di Dio”.
John J. McNeill ha pubblicato in Italia “Libertà, gloriosa libertà. Un cammino di spiritualità e liberazione per omosessuali credenti” (ed. EGA-Edizioni Gruppo Abele, 1996) e “Scommettere su Dio. Teologia della liberazione omosessuale” (ed. Sonda, 1994).
Testo originale
>PER APPROFONDIRE: OMOFOBIA.ORG – Cronache di Ordinaria Omofobia
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