La nostra storia di genitori cattolici con un figlio gay alla luce di Amoris laetitia
Testimonianza di Mara Grassi e Agostinello Usai, genitori de La Tenda di Gionata, al Convegno “Famiglia e Sinodo. Per una Pastorale delle fragilità” organizzato dell’Ufficio di Pastorale famigliare dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano (Tropea, 9-11 settembre 2022)
Nel raccontarvi la nostra storia (di genitori cattolici con un figlio gay) volevamo tenere come traccia il n° 250 di Amoris laetitia e rileggerlo insieme a voi.
Inizia così: “La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni.” La salvezza di Gesù è per tutti, come l’amore del Padre per tutti i suoi figli, questo lo abbiamo imparato fin da bambini al catechismo. La Chiesa lo deve annunciare perché è casa e scuola di comunione e non deve certo creare dei muri, un dentro e un fuori.
Eppure noi ci siamo sempre sentiti molto dentro, un po’ più salvati degli altri. Dall’ adolescenza impegnati in Parrocchia, siamo stati fondatori di una piccola comunità di famiglie che fa parte di un Movimento più ampio e che ha proprio come carisma quello dell’educazione dei giovani attraverso le scuole, momenti di formazione e ricreativi, lo sport… Abbiamo sempre puntato alla misura alta della vita cristiana come diceva S. Giovanni Paolo II, attraverso l’eucaristia quotidiana, la meditazione della parola di Dio, l’assidua frequenza alla confessione.
Eppure alla scoperta dell’omosessualità del nostro primogenito non siamo stati in grado di accoglierlo e di abbracciarlo perché lo abbiamo sentito fuori da quello che noi credevano essere il piano di Dio, lo abbiamo sentito nel peccato. Il messaggio che, soprattutto la mamma gli ha dato è stato: “Sei sbagliato, non puoi farci questo, ti cureremo, passerà”. E come si dice ‘chi sbaglia paga’ e noi abbiamo speso tanto in terapie psicologiche individuali e familiari, ma… lui non è guarito, perché l’omosessualità non è una malattia. E’ una variante naturale del comportamento umano come l’OMS ha affermato il 17 maggio del 1990.
Non lo abbiamo accolto, lui non ce l’ha più fatta a vedere la nostra sofferenza ed è andato via di casa.
“Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenze omosessuali, esperienza non facile né per i genitori né per i figli”.
Vi assicuriamo che “non facile” è un avverbio molto riduttivo. È un vero sconvolgimento e una sofferenza grande che travolge la famiglia, soprattutto quella credente. Tutto viene messo in discussione: il cammino che hai fatto fino ad allora, le relazioni in casa e fuori, anche la tua fede e l’appartenenza alla Chiesa. Perdi le tue sicurezze, un cammino tracciato con chiarezza dalle norme della Chiesa. Ti senti da solo, non sai a chi rivolgerti.
Per noi sono stati anni molto duri, dilanianti in cui non sapevamo come conciliare l’amore a nostro figlio e quello alla Chiesa. Col tempo siamo riusciti a riallacciare i rapporti con lui e ad accogliere lui e il suo compagno, ma tutto rimaneva all’interno della nostra famiglia non riuscivamo a parlarne nemmeno con gli amici di comunità, ci avvolgeva un muro di imbarazzo, di commiserazione, avevamo una croce che dovevamo portare.
“Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza.
Nostro figlio Giovanni non ha avuto forme di aggressione, se non un biglietto anonimo trovato nella cassetta delle lettere. La violenza più grande per lui e per noi è stata il silenzio.
Era scontato che dopo il coming out non potesse più frequentare la parrocchia e continuare il suo impegno di educatore. Quasi tutti gli amici lo avevano abbandonato. La violenza che lui dice di aver provato in una confessione gli ha fatto abbandonare completamente la fede.
“Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento”
Noi abbiamo cercato aiuto, con insistenza, soprattutto dai sacerdoti del nostro movimento che ci continuavano a ripetere come una frase fatta: “Dovete volergli bene, ma ribaditegli cosa dice la dottrina”. E noi nella preghiera, nel confronto anche duro tra noi e con lui abbiamo cominciato a capire che quella dottrina era sbagliata perché era una dottrina disumana, che ci allontanava da Dio e dal suo amore.
Siamo stati da soli per tanto, troppo tempo. La nostra presenza metteva in imbarazzo, abbiamo resistito diversi anni all’interno della nostra comunità cristiana poi, soprattutto quando siamo usciti dall’armadio come genitori con un figlio gay, siamo stati accompagnati gentilmente all’uscita.
Infatti solo dopo 12 anni dal suo coming out, il 17 maggio 2017, in una Veglia contro l’omofobia abbiamo sentito una Chiesa che diceva parole diverse.
È stato soprattutto dall’incontro con altri genitori credenti, che avevano iniziato un cammino insieme che siamo riusciti a cambiare lo sguardo e a fare il nostro coming out. E’ importante che i genitori sappiano dell’esistenza di questi gruppi per non abbandonare i loro figli lgbt, ma anzi per essere aiutati a vedere in loro un segno speciale dell’amore di Dio. Anni di travaglio e di sofferenza inaccettabile sarebbero risparmiati.
Affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.”
Scriveva il cardinal Semeraro: “Dio, dove sta nella vita di questa persona? Qual è il disegno di salvezza per lui? Come possiamo noi come Chiesa, essere strumento e luogo d’incontro per questa precisa persona, con la misericordia di Dio?”
Solo una Chiesa che sa mettere la persona davanti alle norme può dare la risposta.
“Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG 49).
Il nuovo paradigma che chiede Francesco è quello di una Chiesa dalla forza sorgiva e fresca:
- una Chiesa che si immerge invece di una che attende;
- che sa curare le ferite e riscaldare i cuori;
- che sa piangere e accarezzare invece di rinchiudersi nelle norme;
- una Chiesa autorevole non per la dottrina ma per la misericordia;
- per la quale di non negoziabile c’è solo l’uomo, come per Dio sono tutti i suoi figli.
Autorevole perché si abbassa, pulisce, lava, solleva come il samaritano buono. Il mondo non ha bisogno di giudici, ma di samaritani. ( p. Ermes Ronchi, Mia chiesa amata e infedele)