Le luci e le ombre del viaggio in Africa di papa Francesco
Articolo di Paul Vallely* pubblicato sul sito web del The New York Times (USA) il 2 dicembre 2015, liberamente tradotto da Innocenzo
Papa Francesco ora è ritornato al sicuro a Roma, ma nel suo viaggio in Africa ha perso una grande opportunità. I suoi inviti per la pace e la riconciliazione nel continente africano tra i cristiani e i musulmani, sono stati ben accolti da entrambe le fedi. La sua condanna dell’indifferenza dei ricchi, mentre stava in mezzo a una baraccopoli, sono stati opportuni. E’ stato ampiamente applaudito quando ha avvertito che sarebbe stata una catastrofe che a Parigi i negoziati sul clima, di questa settimana, fossero falliti. Ma quando si è arrivati al modo in cui le persone omosessuali sono trattate in questo continente, dove l’omosessualità è illegale in molti paesi, ha offerto solo un silenzio assordante.
I suoi difensori diranno che i diritti degli omosessuali sono un’ossessione occidentale e che, per papa Francesco, sarebbe stato controproducente sollevare questa questione, durante una breve visita in un continente che è ostile al desiderio del Papa di rendere la Chiesa cattolica più accogliente per le persone che sono gay, divorziate o conviventi senza essere sposate. Ma questo è sbagliato. Come vengono trattati le persone omosessuali è fondamentale per il futuro della Chiesa universale e Papa Francesco lo sa.
E’ vero che questo Papa, proveniente dai confini del mondo, guarda il mondo in modo diverso rispetto agli ultimi pontefici europei. In questo senso il suo viaggio in Africa è stato un esempio del nuovo approccio di Francesco all’essere Papa. Lui vuole una chiesa che sia “in missione” verso gli altri, che non aspetti che gli altri vengano verso la chiesa. Ed è particolarmente desideroso di raggiungere coloro che sono “nelle periferie”, per questo motivo ha scelto la Repubblica centroafricana – un paese in fondo alla maggior parte delle classifiche mondiali.
Il papa vuole una Chiesa misericordiosa che sia “un ospedale da campo” per i tanti feriti di questo mondo, per questo motivo si è avventurato in una delle zone calde più pericolose del mondo, per chiedere a cristiani e musulmani di terminare la spirale sanguinosa di odio in cui, negli ultimi tre anni, migliaia di persone sono state uccise. Pace e riconciliazione sono stati i suoi messaggi, che coerentemente ha lanciato nei tre paesi che ha visitato – Kenya, Uganda e nella Repubblica Centroafricana – dove la violenza tra le diverse religioni è un filo comune. Alla domanda sul pericolo di attentati armati durante il suo viaggio, Papa Francesco ha risposto, con il suo caratteristico humor: “Sono più preoccupato delle zanzare”.
Questo papa vuole una chiesa che sia “povera e per i poveri”, che è il motivo per cui ha attraversato una delle più grandi baraccopoli di Nairobi. Ha ricordato che acqua pulita e servizi igienico-sanitari efficienti sono un diritto divino e umano, nel nostro mondo dell’abbondanza. Il papa ha anche attaccato la minoranza ricca che tollera la sofferenza dei poveri, per il suo tornaconto.
Francesco è il primo papa del Sud del mondo, ma questo viaggio in Africa è stato importante per comprendere molte cose. Questo era il suo primo viaggio in un continente di cui conosce poco – anche se è ben consapevole che l’Africa sarà sempre più importante per il cattolicesimo. La Chiesa cattolica attualmente è in progressivo calo nel vecchio mondo, ma il numero dei cattolici in Africa è cresciuto del 238 per cento dal 1980.
Eppure questo sottolinea anche l’importanza di affrontare il pregiudizio africano contro le persone omosessuali. Al recente Sinodo sulla famiglia di Roma, la questione di come la Chiesa cattolica tratta i suoi membri omosessuali è stata mantenuta fuori dalla discussione grazie ad un’alleanza trasversale tra i vescovi tradizionalisti degli Stati Uniti, i conservatori dell’Europa orientale e il nuovo potente blocco dei vescovi africani, che costituivano un quinto dei padri sinodali.
Il loro non è il punto di vista di Papa Francesco che, nei suoi primi mesi di pontificato, alla domanda su un prete gay rispose: “Chi sono io per giudicare”, che è diventata una frase che ha definito il suo papato. Ma il papa, al Sinodo, ha fatto chiaramente una scelta decidendo di combattere una battaglia alla volta, dando priorità al tema della persone divorziate, che sono attualmente escluse dal sacramento della Comunione.
Può anche darsi che papa Francesco ha deciso che i sei giorni del suo viaggio in Africa non erano il momento giusto per sollevare una questione così delicata. Il dibattito sul posto delle persone omosessuali nella chiesa cattolica richiede tempo, un approccio graduale e molto soft.
Ma questo problema è un doppio impedimento per papa Francesco – poiché si tratta di un tema che avrebbe dovuto affrontare perché è un enorme ingiustizia per i diritti umani, perché l’omofobia è endemica in Africa; infatti la maggior parte dei paesi africani, come i tre che ha visitato, hanno leggi contro l’omosessualità. In Uganda un provvedimento, trasformato in legge lo scorso anno dal suo presidente, ha costretto i cittadini a segnalare alla polizia tutte le sospette attività omosessuali. Aumentando così i livelli di violenza contro la comunità gay.
Per Francesco questi atteggiamenti sono un’ulteriore problema all’interno della Chiesa cattolica, dove sono un freno ai cambiamenti che il Papa vuole portare all’indisciplinata istituzione che governa.
(L’omofobia) è un problema profondamente radicato tra i leader africani come il cardinale Robert Sarah della Guinea, un uomo che papa Francesco ha promosso, che ha dichiarato che le “ideologie occidentali su omosessuali e aborto ed il fanatismo islamico” sono, per 21° secolo, ciò che sono state per il 20° secolo la “bestiale” ideologia nazista e comunista.
Il papa dovrebbe dare, o almeno lanciare, un segnale che tale bigottismo non ha posto all’interno della chiesa. Invece ha lasciato questa minoranza chiassosa in un angolo. I difensori di Francesco suggeriscono che ha fatto un riferimento tangentale alla persecuzione dei gay in un suo discorso in cui ha affermato che “come membri della famiglia di Dio, noi siamo chiamati ad aiutaci l’un l’altro, per proteggerci l’un l’altro.”
Ma è un appello contro la discriminazione molto trasversale, in un momento in cui gli oppositori della tolleranza verso gli omosessuali sono brutali e diretti. Infatti molti di loro hanno preso il suo sostegno al matrimonio, nel suo discorso in Uganda, come un supporto esplicito per la loro posizione anti-gay. E così anche per l’attacco del Papa alle “nuove forme di colonialismo”, discorso fatto in Kenya, con il quale si è scagliato contro l’imposizione dei valori occidentali sulla salute sessuale delle donne, in cambio di pacchetti di aiuti internazionali.
L’Africa è destinata a diventare una forza crescente all’interno del cattolicesimo. Papa Francesco ha perso l’occasione per sottolineare l’ampiezza del messaggio di amore, di misericordia e d’inclusione che si deve abbracciare per diventare un membro della Chiesa universale.
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* Paul Vallely è autore di “Pope Francis: The Struggle for the Soul of Catholicism” (Papa Francesco: La lotta per l’anima del cattolicesimo”) editore Bloomsbury (USA), agosto 2015
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Testo originale: The Pope’s Failure in Africa