Le parabole di Gesù racchiuse in un Twitter
Articolo di Franca Giansoldati tratto dal Messaggero del 26 settembre 2013
In principio era il tweet. Duemila anni fa l’uccellino azzurro cinguettante non c’era ed era Gesù che parlava alle folle con un linguaggio talmente immediato e cristallino, e con frasi talmente essenziali da far dire al cardinale Gianfranco Ravasi, biblista raffinato ed animatore del Cortile dei Gentili, l’agorà tra credenti e non credenti, che le parabole contenute nel Vangelo è come se fossero state pensate proprio per twitter, frasi scolpite, racchiuse in 140 caratteri, ma talmente esplosive e rivoluzionare da scaldare il cuore, nutrire la mente, convertire gli increduli, scuotere le coscienze.
Dopo la lettera di Papa Francesco a Scalfari, e dopo una seconda lettera di Ratzinger a Odifreddi, un matematico ateo, gli uomini di Chiesa e il mondo della stampa ieri mattina si sono riuniti per parlare del rapporto tra informazione e verità.
Che legami sussistono? Obiettivo dello scambio è stata la ricerca di punti comuni, in primo luogo in termini etici, in una società in rapido cambiamento sul piano delle culture e dei linguaggi. Nel Tempio di Adriano i primi ad aprire le riflessioni sono stati Scalfari – il destinatario della lettera di Francesco – e il “ministro” vaticano della Cultura, Ravasi. «Se un pastore non si interessa di comunicazione è al di fuori del suo ministero. Gesù disse: andate e fate l’araldo, proclamate l’annuncio sui tetti. E oggi questo non si può fare con la retorica classica».
Effettivamente il problema, soprattutto per la Chiesa, è come rapportarsi con i nuovi sistemi comunicativi, perché sul web avanza «un nuovo modello umano», oltre che una «nuova grammatica».
Insomma, «cambia il concetto di verità», che oggi non è più vista come in passato «esterna e da conquistare», bensì «elaborata dal soggetto, che estrae la sua visione dalle mille fonti possibili, pronto anche a cambiarla in un momento».
Scalfari ha ricordato di aver vinto, da ragazzo, il premio del catechismo, poi di avere fatto un mese e mezzo di esercizi spirituali con i Gesuiti da cui si era rifugiato come renitente alla leva, e di aver appreso da loro «il ragionamento, la logica». Dal dibattito che ne è nato è chiaro che nessuno vuole convertire nessuno, ma, per parafrasare Socrate, una vita senza ricerca non merita essere vissuta.
Così la mattinata si è ben presto riempita di tanti interventi di direttori di giornali, suddivisi in tre momenti. Dopo il confronto Ravasi-Scalfari, moderati da Emilio Carelli, c’è stata la tavola rotonda con de Bortoli, Mauro, Calabresi e Napoletano, infine un’ultima tavola rotonda conclusiva, moderata da Fiorenza Sarzanini, tra Vian, Cusenza e Tarquino. Diversi punti di vista, differenti sollecitazioni sul rapporto con la fede, sia l’attività informativa.
Per De Bortoli è chiaro che in questo contesto «se c’è una colpa di cui ci siamo macchiati è non aver rispettato la centralità della persona, spesso dimenticata nella rapidità dell’informazione, col rischio anche di distruggere vite umane». Spesso sarebbe utile il «beneficio laico del dubbio».
Mauro ha richiamato all’onestà nei confronti dei lettori e alla «separatezza» rispetto al potere, mentre per Vian «il giornale è la Bibbia laica, ma molto più interessante è la Scrittura Sacra vera». E intanto come dimostra anche Papa Francesco è Twitter che muove ormai tutto. Il tweet sia con voi, andate in pace.