Le persone omosessuali e il primato della vita sulla Dottrina
Riflessioni di Riccardo
Quando noi omosessuali cattolici-romani mettiamo in discussione l’insegnamento della Nostra Chiesa, veniamo subito annoverati tra le fila dei dissidenti e degli eretici. Il termine «eresia», infatti, deriva dal basso latino «haerésis» e questo dal greco «aìresis», traducibile come «scelta» o «elezione». In quanto omosessuale mi sono interrogato spesso su questo punto, chiedendomi: «Quando avrei scelto deliberatamente di essere omosessuale?». Non l’ho mai fatto. La mia risposta è quindi un no. Un no fermo, consapevole e limpido.
Lo ricordo come se fosse ieri, il giorno in cui compresi la mia natura omoaffettiva. Alla scuola materna c’era un compagnetto che fra tutti i bambini della mia classe era certamente il più bello, con i suoi riccioli dorati, gli occhi chiari e le lentiggini sul viso. Era il più forte e tutti andavamo da lui per farci aprire i vasetti di plastilina.
Ci difendeva sempre dai soprusi dei bambini più vivaci e, se non erro, fu lui la prima persona che suscitò in me sentimenti di affetto innocente. A tre anni non potevo riconoscermi nella condizione dell’omosessuale, ma per me era spontaneo provare quelle sensazioni. Questo fu solo il principio, ora, infatti, sono legato felicemente al mio compagno. Ma allora perché si sentono spesso molti omosessuali, donne e uomini, affermare: «Rispettate la mia scelta di vita»; «Ho il diritto di scegliere chi amare» ecc?
Esiste la “scelta” omosessuale, certamente, ma questa non consiste nella scelta consapevole dell’orientamento sessuale, bensì nell’assecondare o meno la propria natura. Il fatto che ad un certo punto un padre di famiglia decida di conformarsi alla propria natura, dopo anni passati con la propria moglie o i propri figli, non deve indurre in inganno, si tratta spesso di una scoperta.
Non sta scegliendo di “essere” omosessuale, ma soltanto di assecondare quella che è sempre stata la sua natura profonda, che fino a quel momento era latente o nascosta per paura e vergogna. E’ innegabile, però, l’esistenza di situazioni che non riguardano chi ha un orientamento omoaffettivo di tipo innato, ma coinvolge un numero considerevole di eterosessuali che vivono esperienze omoerotiche e talvolta omoaffettive.
Siamo nel campo della sperimentazione identitaria e sessuale che coinvolge, talvolta, anche l’affettività, assumendo in precisi casi i tratti della trasgressione di un tabù, di una convenzione sociale, sessuale e affettiva. Io, conscio del mio orientamento omoaffettivo, non mi sento contemplato negli articoli 2357 e 2358 del Catechismo della Chiesa Cattolica Romana, poiché non ho scelto di essere così e non scelgo neppure di compiere un atto omosessuale.
Semplicemente lo compio perché così esige la mia natura. Si tratta infatti di un’emanazione naturale, del decorso derivante dalla logica del mio corpo e della mia struttura di personalità psico-affettiva. L’esempio che fece il servita P. Alberto Maggi è alquanto esemplificativo: “sarebbe come dire ad una pianta: puoi crescere ma non puoi fiorire”. Ma possiamo fare anche moltissimi altri esempi tratti dal Creato.
A me, mia Chiesa (cattolica), chiedi sempre di stare nella Verità, sulla scia delle parole di Gesù Cristo, Nostro Signore. Bene, ecco la verità: non ho scelto niente, sono sempre stato così, ho provato a cambiare, a “guarire” tramite la preghiera, ma così sono rimasto. E non scelgo di compiere “atti omosessuali”, poiché, come l’albero non sceglie di fare i frutti, li fa e basta, così anche io esprimo il mio amore attraverso il corpo.
Certo, noi siamo esseri umani, intelligenti e senzienti, non siamo piante, potremmo scegliere di non amare corporalmente i nostri simili, ma siamo anche soggetti immessi nella logica del Creato e a questa sottostiamo nei nostri bisogni primari, di cui la sessualità e l’affettività fanno parte.
Secondo Emmanuel Mounier (1905-1950) l’individuo come persona, è uno spirito unico, specifico e, al contempo, costituzionalmente aperto alle altre persone in una relazione facente parte dello sviluppo e del carattere della persona stessa. La piena realizzazione dell’individuo si ha nella persona collettiva o personale, ecco quindi che la “persona” è un ideale e un compito che l’uomo deve gradualmente realizzare.
Se è vero, quindi, che io esisto come persona in quanto soggetto relazionale, chiederci di non essere aperti alla relazione affettiva, significa semplicemente chiederci di non esistere. Non corrisponde alla mia e alla nostra verità l’affermazione secondo cui “l’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso” (Art. 2357 del CCC).
Non è possibile ridurre la nostra vita ad “un’attrattiva sessuale”, poiché noi siamo capaci, in quanto esseri umani, di amore autentico, di cura, dono reciproco, non solo di mera sessualità. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura – che andrebbe sempre considerata anche nei suoi aspetti storici, sociologici e antropologici – le relazioni omosessuali vengono sovente presentate come gravi depravazioni (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10), ma questo non può essere riferito a me, con orientamento omosessuale.
Considerare l’omosessualità un atto fisico isolato, un’azione, e non secondo una prospettiva strutturale complessa e pluriespressiva, significa – come già è stato detto – che i nostri gesti di amore “non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale” e che “in nessun caso possono essere approvati” (Art. 2357 del CCC).
Non siamo fecondi biologicamente, ma spiritualmente sì. Tu sostieni, Mia Chiesa, che “questa inclinazione” costituirebbe per la maggior parte di noi una prova.
Bene, io ho affrontato questa prova, ho cercato di reprimere il mio anelito di amore e di vita; di guarire attraverso la preghiera e ho pregato fino a perdere la voce, implorando il Signore notte e giorno. Ma niente. Silenzio. Dio è rimasto in silenzio.
Non ho pregato con ardente fede? Inconsciamente la mia preghiera era falsa perché dentro ero compiaciuto del mio stato? E’ stata colpa del diavolo?
Io non sono “guarito” perché, io credo, il Signore non desiderava che io guarissi da una cosa che non è una malattia, ma che fa parte del Suo disegno, poiché Tu, Signore, “ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita” (Sap 11, 24-26).
Noi ci troviamo nella stessa condizione in cui si trovava l’emorroissa dei Vangeli (Mt 9,20; Lc 8,43; Mc 5,25). Questa donna si sentiva esclusa dall’incontro con Cristo e non poteva toccarlo, parlargli, avvicinarsi a Lui, poiché la Legge glielo vietava:
Levitico 15, 25: “La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle mestruazioni, o che lo abbia più del normale, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni”;
Levitico 15, 27: “Chiunque toccherà quelle cose sarà impuro; dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà impuro fino alla sera”.
Voleva salvarsi, desiderava vivere, e se avesse continuato ad osservare quella Legge la morte sarebbe sopraggiunta. Cosa intendiamo fare oggi? Vorremo continuare ad osservare la Legge, oppure, come l’emorroissa, tocchiamo il lembo del Suo mantello salvando la nostra vita? Il pensiero dell’emorroissa è stato per tanti anni anche il mio: «Se potessi anche solo a toccare il Suo mantello, potrei salvarmi!». Gesù non tardò e voltatosi mi disse: “Coraggio, figlio, la tua fede ti ha salvato” (Mt 9,21).
Da quel giorno fui salvo, perché non sempre la Legge salva, come dimostra il racconto dell’emorroissa, ma è piuttosto la fede in Cristo a donarci la salvezza. E “la fede”, scriveva Raimon Pannikar, “si manifesta nella vita […] è una dimensione umana costitutiva” (R. Pannikar L’incontro indispensabile, dialogo delle religioni, Milano, Jaka Book, 2001, p. 56).
Ecco perché non dobbiamo più temere, noi infatti toccheremo il mantello di Cristo e saremo salvi. Perché la fede, quella che salva, è primo di tutto un atteggiamento di accoglienza e disponibilità.
Significa rendersi disponibili ad accogliere il Signore che viene a salvarci ogni giorno della nostra vita, la quale ha sempre il primato su ogni cosa.