Le persone omosessuali non si accompagnano con i distinguo ma guardando alla loro realtà
Riflessioni pubblicate sulla pagina Facebook Il lembo del mantello il 7 febbraio 2018
“Finge di non sapere che chi ama veramente queste persone le accompagna, ma non a vivere in modo doloroso, bensì redento e felice. Quindi cercando altri percorsi.”
E’ un’affermazione che ben riassume decenni di una pastorale fallimentare che ha svuotato un poco alla volta chiese ed oratori, propugnando un’idea tanto semplice quanto folle: “Tu non sai cosa ti fa realmente felice, la Chiesa invece sì e, per il tuo bene, te lo impone.”
La felicità è un fatto oggettivo, non dipende dalle tue scelte. Tu forse pensi di essere felice ma in realtà non lo sei. Tu pensi di aver trovato una persona con la quale condividere tutta la tua vita. Tu lo pensi ma, se questa persona non rientra in dati parametri oggettivi, allora senz’altro ti sbagli e quella non è la vera felicità, è una maschera, un’illusione. Anzi, in alcuni casi non possono neppure esistere persone adatte. Come per gli omosessuali. Ad un omosessuale a priori è fatto assoluto divieto di poter anche il solo pensare di poter condividere la propria esistenza con qualcuno. Provate per un attimo a mettervi sinceramente in questa prospettiva. “Restare – soli – per – tutta – la vita”. Una persona non può impedirsi di desiderare ma soprattutto non può essere felice a comando in base a ciò che altri hanno stabilito per lui. Può funzionare, entro certi limiti, per un pazzo in manicomio al quale si impedisce, per il suo bene, di sbattere in continuazione la testa contro il muro. Ma un omosessuale non è nè pazzo né malato. Una persona omosessuale non è limitata da una patologia fisica o psichica che gli possa impedire di vivere come chiunque altra persona eterosessuale. Non c’è nulla da guarire o da curare. O peggio, da punire. Le persone possono far felice il proprio prossimo ma non forzarlo ad essere felice secondo schemi fissi, sarebbe folle solo pensarlo. Come si può obbligare qualcuno alla felicità? Quante volte nella vita abbiamo notato che qualcosa che ci fa toccare il cielo, è invece del tutto indifferente per gli altri e viceversa?
La soluzione proposta, questa sì davvero perversa, è trasformare questo divieto crudele in una croce da portare per la propria salvezza. In altri termini: si dovrebbe gioire di una punizione inflitta senza alcuna colpa, pur essendo con ogni evidenza ingiusta, anche se poi si offre una ricompensa tanto futura quanto insensata. Chi di noi, innocente, sarebbe disposto ad accettare l’ergastolo pur in vista di un premio succulento? E poi perchè il buon Dio dovrebbe premiare qualcuno per aver scontato una colpa non commessa ma in base ad una condizione che non ha fatto nulla per determinare?
Eppure la vera felicità, ci raccontano, per un omosessuale è rinunciare ai propri affetti, rinunciare a costruirsi una famiglia, rinunciare al proprio futuro, portando per tutta la vita la croce della solitudine, il tutto condito da assiomi altamente consolatori. Frasi prive di significato. Belle a leggersi ma senza contenuto. “La chiesa ti accompagna.” “Redento e felice.” (che pare una canzone di Carmen Consoli…). Le istituzioni di per sè, nemmeno la chiesa, accompagnano qualcuno, sono le persone ad accompagnare il proprio prossimo. Ma accompagnare, accogliere, accudire… significa anche mediare, comprendere, incontrare davvero l’altro. E’ per questo, a mio avviso, che don Carrega molto concretamente e giustamente ha pensato.
Le persone non si accompagnano gettando addosso divieti e punizioni, ma guardando alla loro realtà. Meglio accogliere una coppia di omosessuali che vivono la loro relazione, anche sessuale, rispettandosi e cercando di tenere presente Cristo nella loro vita, oppure è meglio allontanarli definitivamente poiche non rientrano in determinati canoni?
Davvero è pensabile che la chiesa non li possa accompagnare perché ritiene inaccettabile a priori la loro situazione, arrivando addirittura ad accogliere o a respingere secondo date categorie di peccati?
Sei vuoi fare il peccatore, almeno scegliti i peccati giusti perché se scegli quelli sbagliati allora la chiesa ti accoglierà solo dopo che sarai ritornato sulla retta via per conto tuo. Prima no. Prima devi abbandonare la persona con cui dividervi la vita ed il letto. Prima devi accettare la tua condizione intrinsecamente disordinata. Prima devi accettare d’essere nato innocente ma anche cattivo e marcio nell’animo e quindi portare la tua croce che tanto ti farà felice.