Le violenze e gli abusi della polizia egiziana sulle persone gay
Dossier pubblicato sul sito di Human Rights Watch (Stati Uniti) il 1 ottobre 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte undicesima
Murad, 28 anni. Nel 2017, mentre alle dieci del mattino Murad si dirige verso l’università di Alessandria, viene notato da un poliziotto che gli dice “Vuole darmi il suo cellulare o venire con me alla stazione di polizia?”. L’agente “si mise a cercare qualcosa nel mio cellulare, e trovò delle foto private di me vestito da donna. Disse ‘Sei un frocio. I tuoi genitori non hanno saputo insegnarti la disciplina e allora te la insegnerò io’”.
I poliziotti lo picchiano, lo insultano e lo costringono a confessare di aver fatto sesso con un uomo. Lo accusano di “imitare le donne” e si rivolgono a lui con i pronomi femminili.
Murad viene detenuto nel carcere di Burj al-Arab, vicino ad Alessandria, in una cella sovraffollata e malsana: “Era impossibile trovare spazio per dormire”. I secondini lo pestano e minacciano di ucciderlo, i detenuti lo stuprano senza che i secondini facciano nulla per proteggerlo.
Il tribunale condanna Murad a un anno di carcere per “incitamento alla debosciatezza”: “Tutt’ora non posso trovare un lavoro, e non posso viaggiare. L’unico mio desiderio è essere come i miei fratelli, che vivono liberi e con la fedina penale pulita”.
Testo originale: Egypt: Security Forces Abuse, Torture LGBT People