L’istituzione è per l’uomo e non viceversa
Riflessione del teologo don Leandro Rossi* pubblicata sul bollettino de Il Guado, n.72, anno 2000, pp.4-10
Vi riproponiamo il testo con cui, già su “Famiglia Oggi”, il teologo di morale don Leandro Rossi ha affrontato il tema delle unioni di fatto partendo da una riflessione che la teologia morale cattolica sta portando avanti.
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Fare leva sul positivo
Seguendo l’insegnamento del Vangelo si scoprono valori che vengono prima della famiglia. Il buon Samaritano, ad esempio, ha soccorso un bisognoso sconosciuto, non un consanguineo. Ma la ‘comunità di vita e d’amore’ va difesa con sincerità.
Quando facevo il chierichetto, accompagnavo il sacerdote per la benedizione delle case. Mi accorsi che non si benedicevano le abitazioni delle coppie irregolari (allora equivalevano alle famiglie dei concubini e dei non sposati religiosamente), che, del resto, non potevano confessarsi né comunicarsi; alcuni venivano anche privati del funerale fatto in chiesa.
Mia sorella (che poi avrebbe avuto invece una famiglia ‘regolare’ con sei figli e un marito pazzo) riteneva che l’emarginazione di queste coppie non fosse una cosa giusta. È da anni che cerco di trovare la soluzione del problema.
Per essere garbato dirò che non l’ho ancora trovata; per essere meno modesto dirò che siamo in uno dei casi per i quali oggi possiamo batterci il petto e dire il nostro mea culpa. Nel Vangelo di Matteo si legge: “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore” (9,36). E concluse mandando i discepoli in missione dicendo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (10,8).
Sono ormai 40 anni che la Chiesa cerca una soluzione senza trovarla, incontrando, anzi, qualche contestazione al suo interno perché nega i sacramenti a chi convive. Monsignor Fiordelli, ex vescovo di Prato, subì un processo per aver definito ‘concubini’ una coppia sposata solo civilmente; la Chiesa, nei suoi documenti, usa parole comprensive nei confronti di queste coppie, definendole: “care e appartenenti ancora alla Chiesa”, ma non cambia la posizione drastica che ha assunto, malgrado le richieste di vari episcopati cattolici.
La Chiesa, a volte, ingiustamente addebita alle coppie irregolari di ‘offendere’ la famiglia-istituzione. Così le coppie eterosessuali, non sposate e risposate, non dovrebbero rivendicare diritti e agevolazioni che sono attribuiti alle coppie ‘regolari’, che erano, in passato, tutte le coppie sposate con matrimonio cattolico; ora, invece, ci si accontenta dell’irregolarità (mancanza dell’aspetto giuridico, canonico o civile che sia). Insomma: non si respingono più tutti gli sposati civilmente, perché qui almeno un matrimonio istituzionale c’è. Sarebbe il minor male.
La Chiesa, oggi, si sente sola a difendere la famiglia, che è un grande valore. E fa bene. Tuttavia, per il Vangelo, la famiglia non è il supremo valore. Il prossimo, che il buon Samaritano deve soccorrere, non è necessariamente il consanguineo; ma il bisognoso, anche se estraneo alla propria famiglia. Inoltre, quando una donna gridò al Cristo: “Beata chi ti è stata madre!”, Gesù rispose: “Beato piuttosto chi fa la volontà di Dio”.
Questo non era un affronto alla Madonna, anzi! Ma la collocazione dei valori al vero posto che occupano. Ci sono i valori del regno di Dio che vengono prima della famiglia. Questa differenza può collocare “padre contro figlio e madre contro figlia”. E ancora: “Chi non odierà (‘amerà di meno’) il padre e la madre, non è degno di me”. La famiglia, dunque, è un grande valore, ma non il massimo valore.
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Laicità dello Stato
Il Vangelo non è integrista, non vede solo il valore della famiglia; non pretende che si imponga per legge tutta la morale cattolica. Già prima del Concilio Vativano II, Pio XII parlò di ‘laicità dello Stato’.
Il Vaticano II promulgò la dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae) pagando il prezzo della lacerazione con lo scisma di Lefevbre. C’è dunque la reciproca libertà della Chiesa e dello Stato. La laicità dello Stato non è una benigna concessione ma il riconoscimento di un diritto.
A ciascuno il suo. L’evangelico: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, lo richiamava anche Oscar Luigi Scalfaro, che è stato il più cattolico capo dello Stato, ma anche il più laico presidente nei riguardi del Vaticano.
Sono molti i motivi che spingono a scelte diverse dal matrimonio. Anzitutto, la cerimonia del matrimonio è uno sfarzo che non tutti possono permettersi. Altri intendono contestare l’istituzionalizzazione della sessualità e dell’amore, per realizzare non già una promiscuità indiscriminata, ma il libero amore, ove soltanto la responsabilità dei partners e non la legge sancisca il comportamento dei due.
C’è un’incantevole canzone di Modugno che esalta l’amore come libera scelta quotidiana. Ma, esaltando il fragile amore umano, da rinnovare più volte al giorno perché rimanga saldo e duraturo, ha esaltato il matrimonio che noi consideriamo la difesa dell’amore (e non già la sua tomba).
Altri motivi che spingono in questa direzione sono: la convinzione che l’amore interessi solo la coppia, e non già la società civile o ecclesiastica; la diffidenza verso le istituzioni giuridiche; il mito della libertà, intesa come assenza assoluta di vincoli; l’esaltazione della spontaneità dell’amore; l’opposizione ai formalismi legali e alle ipocrisie che il diritto potrebbe sancire; un’adolescenziale ed eccessiva fiducia in se stessi e nelle proprie capacità di mantenere da soli gli impegni assunti.
Non è poi detto che quanti contestano il matrimonio siano i peggiori, né che quanti lo accettano o lo difendono supinamente siano i migliori. Si può contestare, infatti, il matrimonio istituzionale in nome dei valori della libertà e dell’amore in cui si crede; come lo si può accettare in nome di una visione ingenua che lo fa considerare come il paradiso in terra; o in nome di una visione calcolatrice che lo fa ritenere una sistemazione definitiva per sé e per i propri figli; o di una mentalità fatalista che lo fa sopportare come un male necessario per evitare gli inconvenienti maggiori di una vita da zitelle o da barboni.
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L’amore che dura
Ritengo che i veri motivi dell’istituzionalizzazione del matrimonio naturale siano realmente quelli poggianti sull’amore e sulla prole. L’argomento, però, può risultare più convincente se non lo si fonda unicamente su dati psicologici più o meno naturalisti, o più o meno unidirezionali.
Si tratta di prendere atto della bellezza dell’amore, ma anche della sua precarietà, del suo bisogno di durare nel tempo e della sua difficoltà a farlo.
Contraendo un vincolo sociale si mostra, a fatti oltre che a parole, che l’amore non riguarda solo i partners innamorati, ma coinvolge la società alla quale fornisce nuovi membri. Tutto questo vuole che l’istituzione sia a servizio dell’amore e non ne costituisca la tomba. L’istituzione è per l’uomo, non l’uomo per l’istituzione. Mi tornano in mente analoghe parole di Cristo: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27).
Chissà perché noi cattolici usiamo spesso il discorso repressivo per convincere a fare il bene, invece di illustrare la bellezza della fede. L’annuncio di gioia del Vangelo è agli antipodi della repressione. La droga è proibita, l’aborto è reato, il divorzio è inammissibile, il suicidio è condannato, l’eutanasia è contraria alla legge e così di seguito. Le frustate sono per gli asinelli, non per gli uomini. Non sarebbe meglio fare un discorso positivo, così da spiegare e sollecitare il consenso di chi crede?
Il Concilio Vaticano II ha detto che la teologia morale: “Deve illustrare l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutti nella carità per la vita del mondo” (Optatam totius, n. 16).
La teologia morale di padre Haering venne così assunta dal Concilio. Non c’è prima un Dio che pretende, ma un Dio che dona, ama, chiama, sollecitando la nostra risposta d’amore. Così è anche della teologia morale del matrimonio descritta nella costituzione pastorale “Chiesa e mondo” (Gaudium et spes, nn. 47-52).
Rimandando alla lettura di questo documento, ricordo che non parla di coppie che devono vivere come fratello e sorella. Si legge infatti: “Là dove è interrotta l’intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli; allora corrono serio pericolo anche l’educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri.
La Chiesa ricorda che non può esserci vera contraddizione tra le leggi divine del trasmettere la vita e del dovere di favorire l’autentico amore coniugale” (GS, n. 51).
Le coppie di fatto di cui abbiamo parlato fino a ora sono quelle eterosessuali, che aspettano il riconoscimento della loro convivenza (diritto civile, che spetta allo Stato riconoscere).
Ma la rivendicazione è avanzata ora anche dalle coppie gay, troppo spesso emarginati, disprezzati, delusi.
Se muore l’intestatario della casa, il partner viene messo sulla strada. I documenti ufficiali della Chiesa cattolica dicono di no al riconoscimento dei diritti: perché non c’è procreazione, non c’è complementarità, è un’offesa alla famiglia fondata sull’amore e al matrimonio che richiede sessi contrapposti.
Si potrebbe obiettare che, dato e non concesso che non ci possa essere la procreazione, anche il matrimonio tra coniugi sterili o anziani si celebrano continuamente. Allora, cosa manca? Conosco coppie che si vogliono un bene e il sano assiste il malato notte e giorno. Non c’è complementarità? C’è tutto l’amore reciproco possibile.
Solo l’integralista potrebbe esigere di più. Non c’è la famiglia? Ma conta di più il ‘sì’ giuridico o l’amore vero? Non c’è spazio per affrontare qui il tema dell’omosessualità. Ricorderò soltanto la parabola evangelica del fariseo che dice: “Io non sono come quello là in fondo”, mentre il pubblicano si batte il petto. Siamo lontani da Cristo che accoglieva peccatori e peccatrici aprendo queste persone alla speranza.
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Una morale non repressiva
La famiglia, intesa come ‘comunità di vita e d’amore’, ha un grande valore, che merita una difesa sincera, ma senza esagerazione, né retorica, né integrismo. La contrapposizione di due integrismi non giova alla famiglia, ma anzi finisce per nuocerle.
Le questioni politiche debbono rispettare la ‘laicità dello Stato’, se vogliono che lo Stato rispetti gli interventi legittimi della Chiesa. Se ci mettessimo nei panni delle coppie di fatto, ci vedremmo anche noi defraudati di un nostro diritto di cittadinanza.
Due cose soprattutto dovremmo ricordare. Che i nostri ‘avversari’ qui non avrebbero niente da rimproverare a Cristo, mentre se la prendono con la Chiesa (Cristo era comprensivo). La morale conciliare (e quella insegnata da Haering) non sta nella repressione, ma nell’esaltare la bellezza della vocazione familiare ed educativa; non sta nell’invidiare gli altri che non hanno ancora capito la bellezza e la grandezza dell’amore, simile a quello di Dio per il suo popolo e di Cristo per la sua Chiesa.
Mi direte: “Ma cos’è questa morale repressiva? Essa crea in me una grande confusione”. Quando ho fatto questa domanda a un mio insegnante, egli mi rispose: “Meglio le idee confuse che si possono chiarire che le false certezze”. Io aggiungerei: la morale anti-repressiva è lo Spirito Santo che ci parla nel cuore, perché è lui la nuova legge del cristiano. La morale farisaica è quella che pone l’accento sul proibito; la legge di Cristo (Gal 6,2) sottolinea il positivo e le motivazioni di fondo.
La Chiesa è tra ieri e domani in cammino con l’umanità. La Chiesa è il popolo di Dio pellegrinante nella storia, sotto la guida dello Spirito Santo. Ma siamo un popolo di peccatori! La grande tentazione della Chiesa è da sempre la tentazione del potere (il trionfalismo). Eppure ha qualche motivo per non vantarsi gloriosamente di tutta la propria storia, né può nascondere i propri caratteri umani.
È la Chiesa dei santi, ma anche la Chiesa dei peccatori. La sua è tanto la storia della fedeltà a Dio quanto quella dei fallimenti umani. Perciò ogni cristiano e l’intero popolo di Dio è costantemente sottoposto all’esigenza della conversione. “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). È il popolo di Dio in cammino. Il suo compito non è quello di camminare nel futuro con lo sguardo rivolto indietro.
Al contrario, non è orientato al passato, bensì al futuro. Non ci meravigliamo quindi se troviamo nella Chiesa molte cose condizionate dai tempi. Abbiamo bisogno della capacità di discernimento tra ciò che è duraturo e ciò che può mutare nella Chiesa. Duraturo è il suo amore e la sua fedeltà, la sua parola e il suo mandato, il suo corpo e il suo Spirito.
I cristiani devono avere una triplice fedeltà: a Dio, anzitutto, come è logico; alla Chiesa, nella quale incontriamo Cristo e avvertiamo gli impulsi dello Spirito Santo nel popolo di Dio e nel mondo di oggi; all’uomo, infine, perché la preoccupazione di Dio è, appunto, l’uomo. Insieme a questa missione, Cristo promette alla sua Chiesa lo Spirito santo: “Egli vi guiderà verso tutta la verità” (Gv 16,13).
Incaricati del magistero sono uomini che parlano agli uomini; molte cose della dottrina ecclesiastica possono così mutare secondo i tempi e la storia. Per molti interrogativi della vita non ci possono essere ricette morali e soluzioni sicure.
Piuttosto si devono alla luce del Vangelo indicare i veri valori e ideali. Il portatore umano dell’infallibilità è innanzitutto e nel più profondo l’intero popolo di Dio, perché lo Spirito vive e agisce nella Chiesa. “La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dallo Spirito santo” (1Gv 2,20), non può sbagliarsi nel credere (Lumen gentium, n. 12).
Oggi si sottolinea maggiormente in teologia morale la libera scelta secondo la coscienza e l’amore. Non si tratta pertanto di un adeguamento alla moda, ma, da una parte, di un radicale richiamo al Vangelo e, dall’altra, prendere sul serio l’uomo d’oggi. Ne viene fuori una morale della responsabilità e delle intenzioni fondamentali. Che conta è l’atteggiamento fondamentale del nostro animo.
Tante norme sono concepite semplicemente come un aiuto per orientarsi, ma non come soluzioni sicure. Ciò che è importante è lo Spirito. Esso dà la vita. La lettera uccide (2 Cor 3,6).
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Bibliografia
Per la posizione tradizionale si vedano tutti i documenti magisteriali: dal Codice di diritto canonico al Catechismo della Chiesa cattolica, ai documenti conciliari: Gaudium et spes (Chiesa e mondo, nn. 48-52), Dignitatis humanae (Libertà religiosa).
Tutta la manualistica teologica difende la tradizionale posizione cattolica. La posizione nuova è sostenuta più dai laici e riportata dall’agenzia “Adista”. Al riguardo, inoltre, si veda Thellung A., Morale coniugale scompaginata, Paoline, 1999. La voce Sessualità del “Dizionario enciclopedico di Teologia morale”, I edizione, Valsecchi A.; altre edizioni di Haering B., Ed. Paoline. Rossi L., Il piacere proibito: per una nuova comprensione della sessualità, Marietti, 1977, cap. I: “Il matrimonio a difesa dell’amore”, pp. 101-114; Rossi L., Morale familiare, Edb; soprattutto i capitoli: “La sessualità per il cristiano” e “Il personalismo matrimoniale”, pagg. 113-217; idem, Pastorale familiare, per una realistica imposizione del problema, Edb, 1969: specie la parte riguardante: problemi coniugali, familiari e parrocchiali (pagg. 125-326), e la nuova pastorale coniugale, preconiugale ed extraconiugale; idem, Morale sessuale in evoluzione, Edizioni Gribaudi, Torino; I edizione 1968, II edizione 1969, III edizione 1970
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* Don Leandro nasce a Guardamiglio il 3 agosto del 1933. Nel 1943 entra in Seminario a lodi
Il 15 Luglio 1957 viene ordinato sacerdote. Dal 1957 al 1960 studia presso la Facoltà di diritto dell’università Gregoriana di Roma. Dal 1960 al 1964 studia presso la Facoltà teologica di Milano. Pubblica in questi anni numerosi opuscoli di Teologia Morale apprezzati dai vertici Ecclesiastici del Vaticano.
Dal 1960 al 1969 è docente di Teologia presso il Seminario di Lodi. La cattedra gli viene poi revocata per alcune Sue posizioni giudicate, dalla Curia Lodigiana, troppo avanguardiste.
Dal 1961 al 1965 ricopre anche l’incarico di Vicecancelliere della Curia Diocesana.
Nel 1968, revocati tutti gli incarichi presso gli uffici della Curia, viene nominato Parroco del Tormo, una minuscola frazione del territorio Lodigiano.
Nel 1973 con Ambrogio Valsecchi pubblica il PRIMO Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale.Nel 1977 viene nominato Parroco a Cadilana dove, nel Natale dello stesso anno, ospita nella Canonica il primo tossicodipendente.
Da quel momento Don Leandro abbandona gli studi accademici, anche se continuerà a scrivere sulla pace, su Paolo Freire e la Teologia della Liberazione, sul Vangelo. Affiancato dalla sorella Angioletta e dalla fedele Angiolina aprirà la sua porta a tutti coloro che chiedono accoglienza ed ha inizio l’avventura di “Famiglia Nuova”.
Nel 1994, la curia di Lodi, gli impone una scelta tra Parrocchia e Comunità. Gli viene quindi revocato l’incarico di Parroco e si trasferisce dapprima a Borgonovo Val Tidone, in una Comunità gestita dalla Cooperativa.
Nel 1997, quando cominciava a farsi sentire la malattia che lo aveva colpito, viene accolto nella Diocesi di Piacenza che gli ha dato l’incarico di Parroco a Gazzola. Nel 2000, ormai molto provato dal Parkinson che lo ha devastato nel fisico ma molto addolcito nel carattere, torna a Crespiatica, in Comunità. Muore il 30 Giugno del 2003.