Mi chiamo Adam, sono trans e sono cristiano
Testimonianza di Adam Plant pubblicata sul quotidiano The Washington Post (Stati Uniti) il 31 marzo 2016, liberamente tradotta da Silvia Lanzi
Sono trans. E sono cristiano.
Messe insieme, queste due parole a volte mi attirano strane occhiate. Ma, in verità, queste due identità sono tessute fittamente in me – e mi hanno tenuto profondamente insieme – sin da quando ero un bambino.
Per le prime due settimane di vita non ho avuto nome. “Piantina” era il nomignolo, mentre i miei genitori cercavano il nome perfetto per la loro bambina. Se fossi nato maschio, il mio nome sarebbe stato Adam. Questa verità mi diede conforto da bambino, quando sussurravo quel nome e lasciavo che fluisse sopra di me.
Altri nomi mi allettavano. Ho provato inutilmente a dire alla mia famiglia e agli amici di chiamarmi Jack, o Tony. I nomi non mi rimasero addosso, ma la mia profonda sensazione di essere un ragazzo, quella non mi abbandonò mai.
Il North Carolina è stato sempre la mia casa. La mia anima freme nel vedere i suoi cieli aperti. Ma la legge che è passata in North Carolina la settimana scorsa – la prima nel Paese che obbliga gli studenti come me ad usare i bagni che si confanno al genere scritto sul nostro certificato di nascita – porta feroci nuvole di tempesta agitate sopra la mia testa, mascherando alla vista la bellezza del mio Stato natale.
I bagni pubblici, come saprete, sono un luogo di paura e ansia per molte persone trans, me compreso. Io associo i bagni alla paura fin dalla prima volta che, bambino, ho iniziato la scuola. Ho iniziato presto a sentire vergogna per il modo maschile in cui mi vestivo e apparivo. Ho imparato dai miei coetanei che essere diversi era peccato, qualcosa da punire. Ho imparato a nascondermi, aspettando nel gabinetto con i piedi tirati su, finché il bagno non fosse vuoto. Preferivo un rimprovero del mio insegnante alle punizioni imprevedibili impartitemi in quel gabinetto di ceramica freddo.
Anche oggi, come studente di teologia e come persona trans che ha il privilegio di poter passare per maschio, i bagni pubblici sono uno dei posti più spaventosi tra quelli che frequento ogni giorno. Apro la porta pregando non solo che ci sia un gabinetto libero, ma perché l’intero bagno sia vuoto. È meglio non essere affatto visti. Se sono fuori città o in un luogo che non mi è familiare e qualcuno entra mentre sono nel gabinetto, aspetto che vada via.
Ho visto le storie dei telegiornali, i resoconti della polizia. Le persone trans – soprattutto le donne trans – sono regolarmente aggredite e molestate nei bagni pubblici. Non ho voglia di diventare una di queste storie. E così aspetto. E, mentre aspetto, penso al me stesso che aveva l’età di andare a scuola. Gli dico che, un giorno, non avrà più bisogno di nascondersi. Un giorno, non dovrà più essere spaventato. Tranne che in bagno.
Indipendentemente da ciò che ora dice la legge sul mio stato e indipendentemente da ciò che appare sul mio certificato di nascita, non ho intenzione di frequentare toilette femminili ora o in qualsiasi momento in futuro. Fare questo mi procurerebbe certamente due cose: un senso disagio, il mio e quello delle donne che dividono il bagno con me. Così continuerò ad usare bagni che corrispondono alla mia identità di genere.
Se questo è un atto di protesta, allora lasciate che sia un atto di protesta. Ma, personalmente, io lo chiamo solamente “fare pipì”. Credo che siamo tutti in viaggio verso il divenire – un viaggio per trovare il nostro vero nome. Per molti dei nostri progenitori biblici questo nome è diverso da quello con cui sono stati chiamati per la loro intera vita. Abramo e Sarai erano “in viaggio” per diventare il nostro patriarca Abraamo e la nostra matriarca Sara. Giacobbe diventò Israele dopo la sua lotta con Dio. Nel Nuovo Testamento, Simone fece un “viaggio” per diventare Pietro e Saulo per diventare Paolo. E ho finalmente capito il mio vero nome: non il nome che mi venne dato due settimane dopo la nascita e non Tony o Jack. L’ho sentito tutta la vita, intessuto nella storia della mia nascita. Adam. Adam. Adam.
Nel mio viaggio le voci che mi hanno sostenuto sono state mescolate con poche, ma potenti, voci di condanna. All’inizio della mia transizione un pastore mi disse che il suo cuore si stava spezzando per me a causa del passo che avevo fatto, lontano dal piano che Dio aveva per la mia vita. Mentre stavo parlando, quello che potevo pensare era “Sono spiacente che il tuo cuore sia spezzato per me, ma il mio cuore sta appena iniziando a guarire”.
Questi fragili pezzi del mio cuore, che avevo paura diventassero polvere lasciandomi vuoto, iniziavano ad essere riportati in vita da un Dio che mai avevo sentito così reale e vicino finché ha soffiato la vita in un corpo che mai avrei pensato potesse essere il mio. Come di fatto è, questo è il mio corpo. È passato attraverso qualche cambiamento – ha un paio di cicatrici in più rispetto al passato – ma queste sono la mia storia. Il mio corpo racconta la storia di un Dio che mi ha formato e ha visto che ero buono. Non perfetto, non un prodotto finito, ma buono.
Io e i miei compagni trans del North Carolina resisteremo per quel bene che sappiamo essere dentro di noi mentre continuiamo questo viaggio, che dura tutta una vita, per diventare ciò che realmente siamo. Lo faremo con o senza il supporto del governatore Pat McCrory e della legislazione statale. Ma non sarebbe meglio se non dovessimo più nasconderci? Se non avessimo più bisogno di sentire paura? Se imparassimo ad accogliere quelli che non capiamo e scoprire che siamo tutti esseri umani, dopo tutto?
Sono trans. Sono cristiano. Sono del North Carolina. La mia fede mi appartiene nel profondo e il Dio che conosco è grande abbastanza da includere ognuno di noi.
E la mia fede non si ferma alla porta del bagno.
Testo originale: I’m a transgender Christian in North Carolina. My faith should not stop at the bathroom door.