Omogenitori: intervista a Costanza
Articolo del 1° luglio 2013 di Sara Kay pubblicato su Bambini zerotre
«Io e Monia ci siamo conosciute al circolo ArciLesbica di Roma, nel ’98. Ormai qualche anno fa» (ride, ndr). Ci siamo messe insieme sei mesi dopo circa. All’epoca io non ero dichiarata, se non a pochi amici attentamente selezionati, ed era per me impensabile pensare di fare coming out a casa senza conseguenze! Non era contemplato… Fin dall’inizio del nostro rapporto parlammo tanto dei figli, poiché io non ero convinta e lei, per carattere molto testarda, aveva fin da piccola questo fortissimo desiderio di maternità.
Nel frattempo abbiamo conosciuto altre donne, una di loro era Giuseppina La Delfa, ora presidente di Famiglie Arcobaleno, che stavano facendo il nostro stesso percorso e ho capito che evidentemente impossibile non era. Il dialogo e il confronto sono stati fondamentali per aiutarci a decidere di muoverci e scegliere come farlo.Inizialmente pensavo che omosessualità e maternità fossero inconciliabili, ma pian piano mi sono resa conto che non era così.
Avevo quest’opinione anche perché anni fa, quando mi sono scoperta lesbica, l’omosessualità era considerata molto più negativamente di oggi, e io stessa avevo sviluppato un’omofobia interiorizzata molto forte. Monia invece si dichiarò ai suoi all’età di 12 anni, era già molto consapevole, seppur spaventata, ma contava molto sull’appoggio dei genitori.
Prese la madre da parte e le disse: “Mamma ti devo dire una cosa… Forse mi piacciono le donne!”
E sua mamma, con un sospiro di sollievo, rispose: “Meno male! Chissà che mi credevo…”
Mia madre invece l’ha saputo da mio fratello e la sua prima reazione è stata “Dove ho sbagliato?”. Poi nel tempo fortunatamente si è molto tranquillizzata perché ha visto che ero sempre io, non ero diventata una pazza solo perché lesbica. Nel 2004, quando ormai eravamo considerate coppia anche a casa, abbiamo comunicato in famiglia il nostro progetto di genitorialità. In realtà, per evitare ulteriore stress, avremmo voluto condividerlo a gravidanza già avviata, ma questa tardava ad arrivare…
Poi quando la moglie di mio fratello è rimasta incinta, ho buttato lì un: “Potrebbe non essere l’unica, ci stiamo provando anche noi”. E mia madre mi rispose: “Ma chi ve lo fa fare? È una fatica! Avete già il cane!» (ride). In realtà era il suo modo per esprimere la preoccupazione che la società intorno a noi non fosse pronta ad accoglierci come famiglia.
«Il primo viaggio in Belgio risale all’ottobre 2002: facemmo il biglietto aereo in agenzia, sembra una vita fa… A Bruxelles ci siamo tornate 13 volte, Beatrice, che ormai ha 7 anni, è arrivata dopo 3 anni di tentativi! Una lunga attesa… Per Ludovico, nato un anno e mezzo fa, ci siamo tornate altre 5 volte, ma anche in questo caso la gravidanza tardava ad arrivare. Quando abbiamo capito che in Belgio avevamo esaurito le possibilità a nostra disposizione, abbiamo fatto un tentativo in Spagna e infine quello in Danimarca che è andato bene!
Difficoltà nell’ambiente scolastico non ne abbiamo mai avute. Beatrice è andata all’asilo nido a un anno e tre mesi, ma a quell’età i bambini interagiscono poco. Lei naturalmente ha sempre raccontato la sua vita con due mamme. Quando aveva circa un anno e mezzo, parlava appena, ci fece una domanda: aveva notato che altri bambini avevano il papà, e una sera mentre preparavamo la cena disse “E papà Bea?” e allora le abbiamo spiegato che ci amavamo tanto ma mancandoci il semino eravamo andate a prenderlo in Belgio.
Ora ai suoi amichetti lo racconta tranquillamente, tanto che un giorno accompagnandola a scuola una sua compagna mi ha chiesto semplicemente: “Ma è vero che Bea ha due mamme?”, e io gliel’ho confermato. Bea è molto orgogliosa di noi, nonostante percepisca che la sua famiglia non sia “ordinaria”.
All’inizio ci siamo poste il problema: “Donatore anonimo o amico? Tra i nostri amici c’è qualcuno che vorremmo includere nel progetto genitoriale?”. La risposta è stata negativa, perché il progetto era nostro, era la nostra famiglia quella che stavamo creando.
Abbiamo optato dunque per il donatore anonimo, ma questo non significa che nella nostra famiglia i modelli maschili manchino: i nostri figli hanno nonni, zii, cugini… Paure vere e proprie non ne avevamo, è stata una scelta molto ben ponderata, ci siamo fatte molte domande che poi sono quelle che si fanno tutti: come vi chiamano? Come farete a dirle com’è nata? Ecc.
L’esperienza nostra e di tante altre famiglie arcobaleno mi ha fatto capire che in Italia c’è una frattura enorme tra la vita concreta, il tessuto sociale reale e le dinamiche che muovono le scelte del Parlamento, perché lì fanno tante chiacchiere sul nulla, innalzano barricate ideologiche basate sull’aria fritta dimenticando le problematiche oggettive delle nostre famiglie e dei nostri bambini. È capitato, e capiterà ancora, di incontrare persone con pregiudizi, che spesso non vengono palesati, però problemi veri, difficoltà reali non ne abbiamo mai avute. La gente se ha dei pregiudizi, dopo averci conosciuto, li supera. Se prendi mia figlia e la metti in mezzo ad altri bambini finché non te lo dice non indovineresti mai che ha due mamme!»