Dopo il sinodo valdese: ‘Omosessuali si nasce, peccatori si diventa’
Riflessioni di Aldo Comba tratte dal settimanale Riforma del 26 novembre 2010
Passati ormai i giorni di più accese polemiche attorno ai dibattiti sinodali (ndr della chiesa Valdese) sulla questione degli omosessuali (vedi a esempio Nev, lug.-ago. p. XXXVIII) mi pare valga la pena di cercare di precisare alcuni concetti. Il primo è proprio questo: omosessuali si nasce, peccatori si diventa.
Peccatori si diventa nel corso dell’esistenza e ciascuno rende e renderà conto delle cose cattive che ha fatto e di quelle buone che ha trascurato di fare.
Ma omosessuali si nasce, così come si nasce neri o amerindi, mancini o rom e, guarda caso, anche donne…: tutte categorie di persone che, assieme ad altre, le civiltà del mondo – la nostra compresa e forse in prima linea – discriminano a volte pesantemente. Oggi c’è qualche sforzo per eliminare tali discriminazioni, ma siamo ancora molto lontani dalla meta, in tutti i campi.
Da questo punto di vista i documenti del recente Sinodo valdese sono buoni, anche se andranno perfezionati. Il vescovo cattolico di Pinerolo ha sostenuto un’accoglienza per le persone omosessuali, ma rifiuta nettamente una «benedizione» delle loro unioni.
Tale atteggiamento mi richiama alla mente la frase che ho letto su un quotidiano a proposito della benedizione pronunziata in una chiesa siciliana sull’unione di due donne tedesche. Tra virgolette si diceva: «è solo una preghiera ».
Quel «solo» è singolarmente rivelatore. Dietro questa parola c’è, se non la teologia, certamente la sensibilità religiosa del popolo cattolico e di molti altri (atei compresi), per cui una «preghiera» è quasi una banalità che chiunque può pronunziare, ma una «benedizione » è un atto sacro (sarei tentato di dire «magico»), che può essere effettuato solo da un personaggio sacerdotale che amministra un «sacramento», o che comunque è stato investito del potere di conferire qualche cosa di sovrannaturale. Tale distinzione non ha nessun fondamento evangelico.
Il matrimonio non è affatto un sacramento ma una promessa reciproca di un uomo e di una donna; a quel riguardo si può chiedere a Dio di concedere il suo favore e il suo aiuto a coloro che la pronunziano; la si chiami preghiera o benedizione, non fa differenza. L’unione di due persone dello stesso sesso non è affatto un matrimonio ma, come giustamente dicono i luterani, una «unione di vite», su cui non v’è motivo per non chiedere a Dio di concedere loro il suo favore. Ciò che va sotto il nome di omosessualità ha diversi aspetti. Uno è quello di Sodoma e Gomorra (Gen. 19).
In una cultura maschilista, come ha dottamente argomentato Daniele Garrone, aggredire sessualmente un uomo come fosse una donna (vedasi la storia di Lawrence d’Arabia) è semplicemente una forma di umiliazione.
La pedofilia non ha nulla di omosessuale: è soltanto una libidine violenta. Ciò che l’apostolo Paolo condanna (Rom. 1, 18 e segg.) è la «moda» di certi personaggi importanti della Grecia antica che, come Socrate, avevano una moglie (la celebre Santippe) per fare la cucina e fare figli, ma poi il loro sollazzo personale lo trovavano forse con prostitute (le «etere» greche erano famose), ma soprattutto con adolescenti, con efebi; era molto più chic, più in, come si direbbe oggi…
Ci sono infine le persone che – come è scientificamente dimostrato – hanno per nascita delle caratteristiche omosessuali; contrastarle sarebbe agire «contro natura», contro la loro natura, contro la natura assegnata loro dal Creatore.
Non si tratta solamente di accoglierle con una qualche benevola degnazione perché tale sarebbe oggigiorno l’andazzo del mondo; si tratta di riconoscere nella loro natura (diversa dalla mia o dalla nostra), una disposizione del Creatore che va rispettata come tale in tutte le sue conseguenze, anche religiose e sociali.
E chi siamo noi (senatori, vescovi o altro) per rinfacciare al Creatore le sue scelte?