Troppi vescovi non vogliono comprendere quali sono le cause reali degli abusi sessuali nella chiesa cattolica
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 15 novembre 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Durante l’Assemblea della Conferenza Episcopale Statunitense, tenutasi a Baltimora, alcune dichiarazioni di vescovi e vari manifestanti hanno preso di mira i sacerdoti gay e padre James Martin SJ. Le dichiarazioni che riportiamo in questo articolo sono solamente alcuni dei segnali che indicano che i vescovi statunitensi oppongono una forte resistenza agli sforzi riformatori di papa Francesco.
L’arcivescovo Salvatore Cordileone sui sacerdoti gay
L’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone ha detto alcune cose contraddittorie sui sacerdoti gay e lo scandalo degli abusi sessuali durante un intervento con cui ha proposto ai vescovi presenti di commissionare uno studio sul legame tra i due fenomeni. Cordileone ha esposto l’opinione di alcuni commentatori di destra, secondo i quali gli abusi sessuali si devono ai sacerdoti gay, dicendo che non hanno tutti i torti, anche se le loro conclusioni sono “troppo semplicistiche”: “Voglio chiarire subito che molti si affrettano a trarre conclusioni troppo semplicistiche, secondo le quali esisterebbe un nesso causale diretto tra la presenza di sacerdoti e vescovi omosessuali e gli abusi sessuali sui minori. Può esserci la tentazione di trarre quella conclusione, ma ovviamente sarebbe sbagliato, perché ci sono sacerdoti dall’inclinazione omosessuale che non compiono abusi sui minori e che sono fedeli servitori della Chiesa, e sacerdoti dall’inclinazione eterosessuale che compiono abusi e sono pessimi servitori della Chiesa”.
Poi, però, l’arcivescovo ha citato uno studio di un sociologo, padre Paul Sullins, largamente smentito e finanziato da una fondazione anti-gay, il Ruth Institute, secondo il quale ci sarebbe una totale correlazione tra l’aumento di sacerdoti gay e l’impennata degli abusi: “La cosa peggiore che possiamo fare è screditare lo studio [di Sullins], lasciarlo da parte, ignorare o negare questa realtà: penso invece che dovremmo accettarla per imparare. Questa correlazione esiste, e dobbiamo guardarla in faccia: fuggirla significherebbe fuggire dalla verità, e i fedeli se ne accorgerebbero […] Sempre meno cattolici credono alle conclusioni dello studio del John Jay Institute [uscito nel 2004, negava la correlazione tra sacerdoti gay e abusi], compresi diversi professionisti nel campo”.
Cordileone suggerisce due direzioni per l’indagine: 1) uno studio commissionato dai vescovi, e 2) permettere ai ricercatori l’accesso agli archivi delle diocesi. L’arcivescovo sembra pensare che tale studio potrà e dovrà essere di beneficio agli stessi sacerdoti gay, almeno in parte: “È molto importante non inferire dallo [studio di Sullins] un legame causale diretto […] L’indagine [che propongo] non farebbe che studiare più in profondità le cause e il contesto […] Non solo ci aiuterebbe ad andare alla radice del problema, ma sarebbe anche un servizio reso ai molti ottimi sacerdoti che rischiano di subire le malignità ingiuste e fuori luogo di chi vorrebbe risposte facili e veloci. Dobbiamo sostenerli”.
Il giorno dopo il suo intervento, l’arcivescovo di San Francisco è stato eletto a capo del Comitato per i Laici, il Matrimonio, la Vita Famigliare e la Gioventù della Conferenza Episcopale. Cordileone in passato ha fatto spesso commenti anti-LGBT ed è stato a capo dei vescovi contrari al matrimonio omosessuale. Negli ultimi anni, tuttavia, è stato più conciliante: non è intervenuto quando, nella sua arcidiocesi, un liceo gestito dalle Suore della Misericordia ha mantenuto nel suo lavoro un insegnante che era diventato transgender, e ha incontrato dei rappresentanti di New Ways Ministry e DignityUSA.
Un vescovo sembra attaccare padre James Martin per il suo ministero LGBT
Un intervento del vescovo di Tyler (nel Texas), Joseph Strickland, è stato interpretato da molti come una dura critica del ministero LGBT di padre James Martin SJ e del suo libro Un ponte da costruire, pubblicato lo scorso anno. Monsignor Strickland ha parlato della bontà della “correzione fraterna” e si è chiesto se i vescovi credono davvero alla condanna dell’attività omogenitale da parte della dottrina cattolica: “C’è un sacerdote che in pratica va in giro a dire che non [crede alla dottrina cattolica sull’omosessualità]. Sembra ben introdotto in vari ambienti. Fratelli, penso faccia parte della correzione fraterna e del sostegno fraterno che ci offriamo l’un l’altro il dire ‘Può essere presentato nella nostra diocesi un libro che afferma che il matrimonio omosessuale è cosa buona e che un giorno la Chiesa diventerà abbastanza matura per capirlo?’. Noi non insegniamo questo, e penso che dobbiamo farci qualche seria domanda. Se non condanniamo nessuno, veniamo però giudicati per un bigottismo che in realtà non esiste”.
Alcuni osservatori, tra cui Joshua McElwee del [quotidiano] National Catholic Reporter e il responsabile cattolico per le università Rich Raho, ritengono che monsignor Strickland, il cui intervento ha riscosso un moderato applauso da parte della platea, abbia voluto attaccare padre Martin. Vale la pena notare come monsignor Strickland sia stato il primo vescovo statunitense a sostenere pubblicamente monsignor Carlo Maria Viganò e la sua prima lettera di accuse a papa Francesco, piena di teorie anti-gay.
Il Consiglio Consultivo Nazionale parla di “comportamenti predatori omosessuali”
Anita Raines del National Advisory Council (Consiglio Consultivo Nazionale, NAC), organo della Conferenza Episcopale Statunitense, ha fatto una relazione sul lavoro svolto dal Consiglio sui casi di abuso sessuale, e ha fatto la seguente raccomandazione: “Il Consiglio invita unanimemente e accoratamente a una indagine nei seminari del Paese per capire come siano possibili gli abusi di potere e i comportamenti predatori omosessuali. Dobbiamo assicurarci che i nostri futuri sacerdoti possano beneficiare di un ambiente sicuro per la loro formazione”.
Tutti questi punti di vista, che considerano l’omosessualità in maniera negativa, anche se con alcune sfumature, rivelano il fatto che un certo numero di vescovi americani sembra ancora non comprendere le vere cause degli abusi sessuali, le quali non consistono nei sacerdoti gay e nelle questioni sessuali, bensì negli abusi clericali di potere. Collegare l’omosessualità agli abusi, fare riferimento ai “comportamenti predatori omosessuali” e attaccare James Martin per il suo ottimo lavoro a favore dell’inclusione delle persone LGBT distraggono dal dovere di curare il clericalismo, che tanti problemi ha creato nella nostra Chiesa, ed è un modo di distrarre l’attenzione che non aiuta a risolvere il problema.
Grazie a Dio, papa Francesco ha nominato l’arcivescovo pro-LGBT maltese Charles Scicluna in Vaticano per indagare sugli abusi sessuali: è un segno di speranza, la speranza che le cause [degli abusi] vengano discusse in maniera più intelligente e ragionata, senza fare dei preti gay un capro espiatorio.
Fino a che i vescovi statunitensi non ammetteranno le vere radici degli abusi sessuali, ogni sforzo diretto a fermarli e a fermare i preti e i vescovi colpevoli sarà fatalmente vano. I sopravvissuti [agli abusi], le persone vulnerabili, i sacerdoti gay e l’intero Popolo di Dio si meritano molto di più di quanto è accaduto a Baltimora.
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e del blog Bondings 2.0. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: Homophobia Flares at U.S. Bishops’ Meeting, Targeting Gay Priests and Fr. James Martin