Costruire un ponte. La sfida di essere sia omosessuali che cattolici
Articolo di Eve Tushnet* pubblicato sul sito del The Washington post il 1 giugno 2017 libera traduzione di Silvai Lanzi
Quando nel 1998 sono diventata cattolica, non avevo mai incontrato un’altra persona omosessuale che accettasse e volesse vivere in pieno l’etica sessuale cattolica in cui la genitalità è praticabile solo nel matrimonio eterosessuale. Non ho mai sentito di una persona così, ma non me ne importava, dal momento che ero piena dall’eccessiva, e stupida, presunzione tipica dei diciannovenni (“Sembra che non nessuno l’abbia fatto prima, ma sarà una bazzecola per me!“). Ma la vita, senza un modello di riferimento, diventa solitaria e confusa.
Da allora la comunità LGBT che ha cercato di vivere l’etica sessuale “storica” del cristianesimo ed è diventata molto più esplicita. Ecco i titoli di alcuni libri-guida: “Spiritual Friendship: Finding Love in the Church as a Celibate Gay Christian” di Wesley Hill, “Oriented to Faith: Transforming the Conflict Over Gay Relationships” di Tim Otto, ed il mio libro “Gay and Catholic”, che suggeriscono i modi in cui le persone gay possono vivere una vita d’amore nella Chiesa cattolica tradizionale.
Mi piacerebbe aggiungere qualche titolo a questa breve lista, specialmente uno in cui le persone LGBT che cercano di vivere secondo gli insegnamenti della Chiesa siano considerati parte della Chiesa universale e della comunità LGBT. Le persone gay che accettano la castità, per obbedienza alla Chiesa, affrontano sfide comuni a tutti i cristiani.
Ma affrontiamo anche l’esperienza, comune a tutte le persone LGBT, della violenza, della discriminazione e dell’isolamento. E facciamo anche l’esperienza, unica, di servire ed amare una Chiesa cattolica che sembra provare imbarazzo per la nostra esistenza e sta in silenzio sul nostro futuro. Mi piacerebbe che ci fosse un libro sui doni che le persone LGBT possono dare alle nostre Chiese e sulla guida compassionevole e creativa di cui abbiamo bisogno.
Il nuovo libro del gesuita James Martin intitolato “Building a Bridge: How the Catholic Church and the LGBT Community Can Enter Into a Relationship of Respect, Compassion, and Sensitivity” non è quello che mi aspettavo. È un libricino composto di brani di discorsi, passi biblici con domande per la riflessone e una commovente “Preghiera per quando mi sento escluso“. Padre Martin definisce la Chiesa come “la Chiesa istituzionale – vale a dire il Vaticano, i prelati ed il clero“. Egli cerca di persuadere questi preti e questi vescovi ad ascoltare di più le persone gay e le loro famiglie, e gli omosessuali ad essere più riflessivi e “politically correct” nelle loro critiche.
Padre Maritin è rimasto sgomento dalle risposte di molti leader cattolici alla sparatoria del club gay Pulse di Orlando dell’anno scorso. Sentendoli deplorare la violenza, ma rifiutare di ammettere che il bersaglio erano persone LGBT, perciò Martin ha invocato la costruzione di un ponte tra i due gruppi.
Il padre gesuita Martin ha chiesto ai leader ecclesiastici “di proclamare l’amore di Dio per delle persone che spesso le loro famiglie, dai loro vicini, o dal clero, fanno sentire come merce danneggiata, indegni di una pastorale, o addirittura subumani“. E chiede alle persone LGBT di avere, nei confronti della gerarchia ecclesiastica “un semplice rispetto umano… secondo la nostra vocazione cristiana” invece che di denigrarla.
Padre Martin non sottolinea mai che le persone gay vivono per cercare di aderite agli insegnamenti della Chiesa cattolica. È piuttosto buffo – ma del resto non ci sono libri per tutti, e le persone che la pensano come me sono una piccola minoranza. Ma dobbiamo essere capaci di offrire spunti su argomenti che questo libro evita scrupolosamente.
Per esempio, in primo luogo perché questo discorso così difficile? “Building a Bridge” non pone la questione del perché le persone LGBT e la Chiesa cattolica sembrino così spesso in due campi separati e ostili. L’etica sessuale cattolica è il segreto imbarazzante di questo libro. Non se ne parla mai, e così non si affrontano mai le difficoltà che lo stesso insegnamento della Chiesa, nella nostra cultura, pone ai gay cattolici.
Sono profondamente in sintonia con il tentativo di parlare delle persone gay e della Chiesa senza menzionare il sesso o la castità; troppo spesso le dichiarazioni più rispettose della gerarchia della Chiesa cattolica suonano più o meno così: “Gesù vi ama, ma noi vi diciamo come dovete comportarvi“. Ma non sono sicura che sia saggio scrivere come se tutta la Chiesa chieda alle persone gay di essere semplicemente più accomodanti.
La Chiesa non è semplicemente un gruppo di tipi con vestiti un po’ strani. Se ritenessino la nostra religione basata su quei prelati ai quali possiamo dare la nostra fiducia, nessuno sarebbe cattolico. Ma la Chiesa cattolica è la sposa di Cristo – nostra madre, terribile come un esercito dalle bandiere spiegate (Cantico dei Cantici 6,10) – e richiede a ciascuno un “pedaggio” maggiore di ciò che afferma questo libro.
La Chiesa chiede ai suoi pastori più del semplice rispetto e della sensibilità (sebbene Dio sappia che è un buon inizio). Richiede loro pentimento e correzione per il modo in cui hanno reso così tante Chiese ostili ai propri membri gay, trattandoli come problemi da risolvere o da passare sotto silenzio.
La Chiesa chiede alle persone gay di fare del proprio meglio per perdonare. Chiede di avere il coraggio di vivere forme ormai dimenticate di amore cristiano, compreso quello omosessuale: amicizia devota, amore casto, un intenzionale spirito di comunità e molto altro.
In una cultura dove tutto, dalle canzoni alle polizze assicurative sulla salute, quasi ci costringono a strutturare le nostre vite sul romanticismo e sul matrimonio, i gay cristiani hanno la possibilità – o il dovere – di mostrare che si può vivere in modo devoto, gioioso e con mutuo sacrificio nella castità. E i cristiani eterosessuali non solo hanno la possibilità di vivere i modelli che abbiamo mostrato loro, seguendo la via che abbiano loro mostrato, ma dovrebbero aiutarci quando la nostra chiamata all’amore non sponsale ci rende economicamente o emotivamente vulnerabili.
La Scrittura ci mostra l’amicizia di Davide e Gionata, l’affinità devota di Ruth e Noemi. Gesù, il Dio che è amore, ha amato più profondamente di ogni essere umano. La sua castità ci aiuta a vedere cosa significhi dedicare la vita a Dio e al suo popolo.
Martin scrive eloquentemente dei doni che i cristiani LGBT possono offrire alla nostra Chiesa. Ma, a parte un vago riferimento a “questioni di giustizia sociale”, non suggerisce che la nostra Chiesa possa guidarci ed ammaestrarci. Padre Martin ha scritto del celibato dei preti e di chi ha preso i voti, come nella suo articolo sul New York Times del 2002 “Choosing Celibacy”. Speravo che in questo libro esplorasse più profondamente il celibato, o riflettesse sui modelli
scritturali grazie ai quali le persone gay potrebbero capire e vivere il desiderio dell’amore e dell’intimita omosessuale. Se tutti noi siamo una sola Chiesa, allora i laici LGBT che desiderano vivere in obbedienza ai suoi insegnamenti, ne fanno parte esattamente come quelli che ne dissentono.
Dopo la sparatoria del Pulse, i luoghi di culto dell’area di Washington hanno ospitato una veglia di preghiera interreligiosa. I partecipanti erano di ogni fede e orientamento sessuale; i gay che avevano scelto la castità stavano fianco a fianco, fisicamente, nella preghiera e nelle lacrime, ai gay sposati. A volte è più difficile stare insieme nel quotidiano quando c’è una crisi. Mentre accogliamo e amiamo chi non la pensa come noi, la nostra sfida è di essere onesti su quello in cui crediamo – anche in ciò che ci sembra più difficile.
Ancora, nell’uso che fa del salmo 139, mostrando come Dio ci conosca fin nel midollo e ci ami incondizionatamente, padre Martin offre ai cattolici LGBT che accettano gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di cui hanno dispertamente bisogno. Non importa cosa facciamo o dove andiamo, Dio è lì con noi. Noi siamo “fatti in maniera tremendamente meravigliosa“: formati, fin dai primi istanti della nostra vita, dal suo amore.
Riflettendo su questo salmo, mi riempio di meraviglia per il miracolo della mia vita. Sono portata ad un’immensa gratitudine per essere fatta come sono.
La cosa di cui molti cristiani LGBT hanno più bisogno – la cui mancanza guasta profondamente la nostra vita e la nostra relazione con Dio – è l’incrollabile convinzione che Dio ci ama e si compiace della nostra esistenza. Non posso contare le volte in cui ho sentito le persone dire : “So che Gesù mi ama – tutte le canzoni lo dicono – ma è difficile credere che io gli piaccia molto” o “Vorrei poter credere che la mia esistenza è una buona cosa“.
Senza la convinzione che Dio ci ama teneramente, come possiamo essere sicuri che la sua volontà sia per la nostra pace, e i suoi comandamenti per il nostro bene? Come possiamo fidarci di noi stessi nell’amare gli altri e portare il dono di questo nostro amore alle nostre Chiese?
Coraggio, umiltà e speranza fluiscono tutte dall’esperienza dell’amore di Dio nei nostri confronti. La nostra Chiesa troppo spesso suggerisce – specie alle persone LGBT – che Dio offre un amore condizionato dal nostro comportamento morale o alla nostra conformità culturale. Se il libro di Martin, con le sue riflessioni bibliche sull’amore di Dio per la creazione e sull’accoglienza incondizionata di Gesù, può aiutare le persone LGBT e le loro famiglie a sperimentare e acredere nella
tenerezza di Dio, allora ha posato le fondamenta per il cambiamento sociale e il rinnovamento spirituale.
* Eve Tushnet è autore di “Gay and Catholic: Accepting My Sexuality, Finding Community, Living My Faith (Gay e cattolico: accettare la mia sessualità, alla ricerca di comunità per vivere la mia fede)” e di “Amends: A Novel” e scrive sul blog Patheos .
Testo originale: The challenge of being both gay and Catholic