Sono la mamma di due figli gay in lotta contro l’omofobia intorno a me
Testimonianza n.18 di Latawiec, una madre polacca con due figli gay, tratta da Tell it out (Dillo ad alta voce), libro di testimonianze di genitori con figli LGBT+ di tutta Europa realizzato da ENP – European Network of Parents of LGBTI+ Persons (Rete Europea di Genitori di Persone LGBTI+) con il supporto editoriale della Tenda di Gionata ed il contributo del Consiglio d’Europa, pubblicato nel 2020, pp.33-34, liberamente tradotta da Diana, revisione di Giovanna e Giacomo Tessaro
È successo parecchi anni fa. Mio figlio maggiore Kamil ha annunciato l’omosessualità del fratello di mezzo: “Mamma, Pawel deve dirti qualcosa… è gay”. Io chiesi: “È così?”, “Sì” rispose tranquillamente Pawel. “Ma sei sicuro?”, “Sì” rispose tranquillamente mio figlio, ed entrò in camera sua, seguito da me.
Io dissi: “Sei fritto”, (intendevo dire che per lui sarebbe stata una strada tutta in salita), poi lo abbracciai. Mi sentivo triste. Sentivo che non avrebbe trovato tutte le porte aperte, ed avrebbe sempre potuto trovare qualcuno che gliela sbatteva in faccia. Ma non avevo idea di cosa fosse l’omofobia all’epoca.
Pensavo che fosse solo una comune antipatia per un gruppo di persone che appare troppo diverso in base a certi luoghi comuni, da parte di persone piuttosto ignoranti che ripetono quei luoghi comuni nelle loro “opinioni” senza molto riflettere.
Pochi anni dopo fece coming out il mio figlio più giovane, Stas. Voleva andare a trovare un amico svedese che aveva incontrato al corteo del Pride a Varsavia, e non aveva idea di come dirmelo. Stavamo discutendo dei progetti per le vacanze estive, ed a un certo punto disse: “Sai mamma, penso di essere gay”. Io chiesi: “Cosa significa che pensi di essere gay?”, “Bene, sono gay”, disse. Risi, lo abbracciai, ma dentro di me pensavo che anche la sua vita sarebbe stata tutta in salita.
Due anni dopo, la vigilia di Capodanno, Stas venne aggredito mentre teneva per mano il suo ragazzo sulla via di casa. Anche se fui scioccata dall’incidente, non avevo ancora imparato cosa era davvero l’omofobia, perché le persone che li avevano aggrediti si adattavano allo schema di uomini primitivi e pensavo che quel tipo di comportamento fosse limitato a loro.
Solo quando raccontai questo episodio la reazione della gente “normale”, che pensavo fosse progressista ed assennata, mi si aprirono gli occhi. L’omofobia è tutto quello che pensavo, ma è anche qualcosa di più grande, di più profondo e di più pericoloso. È un pregiudizio. Non si può analizzare con la logica, perché cancella ogni empatia, e non esiste solo tra le persone semplici, ma anche tra quelle istruite. Evidentemente, fino ad allora avevo considerato la gente in modo molto idealistico.
Quell’incidente mi insegnò anche che l’omofobia non esiste nella legge polacca, così non si può considerare un crimine d’odio. Dietro suggerimento di Stas mi iscrissi alla Akademia Zaangazowanego Rodzica (un’associazione di genitori) per avere maggiori informazioni sul sistema legislativo e sul modo di modificarlo.
Sono da quattro anni in questa organizzazione. Ho capito che le ingiustizie verso le persone LGBTQIA sono tantissime, specialmente nel mio Paese: siamo agli ultimi posti dell’indice ILGA [che misura il grado di omofobia di un Paese europeo, n.d.c.].
Oggi faccio parte di tre organizzazioni LGBTQIA. Il mio Paese è governato da un partito populista di estrema destra, che ammicca all’elettorato di estrema destra. I discorsi di odio nei confronti delle minoranze sono la norma.
Secondo me, oltre ad un cambio delle leggi, è cruciale lavorare per modificare la mentalità della società, perché solo tali cambiamenti potranno garantire la durata di una legge. Si tratta di una missione che si adatta perfettamente a una madre di due figli gay!
> Per leggere le altre testimonianze di genitori europei con figli LGBTI+
> Per scaricare gratis la versione in inglese o in albanese di “Tell It Out!”