Suore lesbiche: un dono per la chiesa cattolica
Riflessioni di suor Jeannine Gramick tratte da Adista Documenti n. 4, 4 Febbraio 2012, p.10-13
(…) I temi legati all’omosessualità hanno acquisito negli ultimi decenni grande importanza nell’agenda della Chiesa cattolica, per lo meno da quando ho intrapreso il mio ministero.
Ma quando si tocca l’argomento omosessualità e ministero la conversazione inevitabilmente si focalizza sui preti o frati gay. Pochissima attenzione viene riservata alle suore lesbiche che ritengo rappresentino la minoranza più silenziosa ed invisibile nel mondo dei gay e delle lesbiche cattolici. (…).
Riflettendo sul percorso storico compiuto, ho sentito emergere nella mia mente, in particolare, tre osservazioni centrali, specialmente guardando agli ultimi 40 anni. La questione fondamentale che è emersa per le religiose nei primi 20 anni, dal mio punto di vista, è stata quella dell’identità sessuale.
Cioè le suore che scoprivano di essere lesbiche, che pensavano di essere lesbiche, parlavano tra loro e si domandavano l’un l’altra: come sai di essere lesbica?
Perché pensi di esserlo? Nei successivi 20 anni, la questione fondamentale è sembrata essere quella del coming out. Ma ciò che dominava la scena in entrambi i periodi era il tema del celibato. (…).
L’autrice Judith Brown ha narrato, nel suo libro (Immodest Acts, ndt) la storia di Benedetta Carlini, una suora del XVII secolo, per via della sua relazione erotica con una consorella. Molti pensarono – e molti lo pensano ancora oggi – che sia l’attività sessuale a definire una donna lesbica.
Ai tempi del primo ritiro per suore lesbiche nel 1979, risultò evidente che le autorità vaticane fossero convinte di questo, cioè che fosse l’attività sessuale a definire una donna lesbica. (…). In altre parole, essere lesbiche significava essere sessualmente attive.
Non potevi, cioè, essere lesbica e nubile. Molte persone, incluse alcune suore, avevano questa idea errata riguardo all’attività sessuale.
Ritengo sia possibile che molte suore non si definissero lesbiche per il fatto che non praticavano attività sessuale. A seguito di quanto ascoltato e di quanto confidato, credo che anche molti preti e vescovi siano gay, ma che non lo riconoscano perché per loro significherebbe dichiarare di essere sessualmente attivi. Se sei celibe o nubile non sei gay o lesbica. (…).
La comunità scientifica, nonché le stesse suore, testimoniano quanto questo sia grottesco, ma ci sono ancora molte persone che mettono in relazione le due cose e ritengono, sbagliando, che, se sei lesbica, non vivi e non puoi vivere da nubile.
Mi capita di sentire simili considerazioni da parte di alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica, quando pongono domande del tipo: «L’orientamento omosessuale incide sulla capacità di restare celibi?». Non sentiamo mai fare la domanda: «L’eterosessualità incide sulla capacità di restare celibi?».
Oppure sentiamo chiedere: «È più difficile per una suora lesbica che per una eterosessuale vivere in una comunità di donne?». Credo che l’implicazione alla base di domande come questa sia l’errata convinzione che una lesbica sia attratta da qualunque donna.
Questa “attrazione universale” non è reale per le suore lesbiche, tanto quanto non è vero il concetto che una donna eterosessuale sia attratta da ogni uomo.
Credo che la questione rilevante sia la seguente: «Come possono le suore lesbiche, così come le eterosessuali, vivere il nubilato in modo sano?». È questa la domanda cruciale e non certo se sia più difficile per le suore lesbiche rispetto alle eterosessuali. «Come vivere il celibato/nubilato in modo sano?».
Ho posto questa precisa domanda ad un piccolo gruppo di suore lesbiche e le risposte sono risultate piuttosto in linea le une con le altre. Hanno dichiarato che gli strumenti che aiutano a condurre una sana vita da nubile sono la fedeltà e la costanza nella preghiera e la capacità di stringere rapporti di amicizia sinceri e profondi, assieme ad altri di cui dirò in seguito.
La chiave essenziale per portare avanti un sano nubilato è una vita di preghiera, di vicinanza a Dio, e di relazioni di qualità.
Nel rispondere al quesito, le suore hanno dichiarato di sentirsi fortunate per aver avuto la possibilità di stringere amicizie sincere con cui condividere le problematiche legate non solo alla sessualità e alle frustrazioni che ne derivano, ma agli alti e bassi che contraddistinguono l’esistenza.
Inoltre, hanno detto di aver sperimentato la comunione con Dio e di essere state aiutate dalla presenza di direttori spirituali in grado di comprendere la loro sessualità, la loro spiritualità profonda. Ecco, questi elementi sono il valido supporto per una sana vita nel celibato/nubilato.
Molte hanno dichiarato che vivere una sana vita da nubile significa essenzialmente condurre una vita equilibrata. E hanno detto di nutrire il loro nubilato con buone letture, film, esercizio fisico, divertimento, natura. (…).
La testimonianza di queste sorelle lesbiche, quindi, mostra come, per vivere degnamente il celibato/nubilato, si renda necessaria una vita equilibrata, che è possibile coltivare attraverso la crescita spirituale e le relazioni e le amicizie con le altre persone.
IDENTITÀ LESBICA
Negli anni ’50 neanche si parlava di un tema del genere. Ma, a partire dagli anni ’60, la rivoluzione sessuale e i movimenti per i diritti dei gay hanno certamente fatto il loro ingresso nelle congregazioni religiose. (…).
Le sorelle (…) hanno quindi incominciato ad interrogarsi sul proprio essere lesbiche, sul sentirsi soddisfatte della propria vita in un ambiente femminile, omo-sociale (…), tradendo l’idea che, se non avessero avuto una vita sessuale attiva, non avrebbero potuto conoscere la loro vera identità sessuale («come posso sapere se sono omosessuale o eterosessuale se vivo da nubile?»).
Altre si chiedevano: «Se avessi avuto relazioni sessuali con altre donne, significherebbe che sono lesbica?».
Tutte le suore sono lesbiche perché vivono con altre donne? «I miei bisogni sociali ed emotivi vengono soddisfatti primariamente – magari non esclusivamente – da donne. Quindi sono lesbica?».
CHI È LA SUORA LESBICA?
Negli anni ’80 ho trascorso molto tempo facendo counseling individuale per le suore che si ponevano questioni in merito, ed organizzando workshop per gli ordini religiosi femminili in modo da poter fare chiarezza rispetto a questo tipo di perplessità.
Tentai all’epoca di spiegare cosa il lesbismo non è, cercando al contempo di spiegare cosa è. C’erano dei dati, all’epoca, che dimostravano come un terzo delle donne lesbiche fosse stato sposato e più della metà di queste avesse avuto figli biologici. Quindi il fatto di aver avuto rapporti sessuali con uomini non significava che esse fossero eterosessuali.
Ad oggi, ben poche donne lesbiche si prestano a matrimoni eterosessuali poiché gli stereotipi sono meno rigidi e non richiedono simili costrizioni.
Ma ritengo che il punto sia chiaro, e cioè che il comportamento sessuale non sia un indicatore sufficiente della identità sessuale (…): insomma, l’attività sessuale non determina l’orientamento sessuale.
Vivere o lavorare in un ambiente omo-sociale non significa necessariamente, quindi, che una persona sia lesbica o gay. I rapporti sociali sono solo questo: rapporti sociali, non rapporti sessuali. Se le proprie umane necessità di toccare, stringere, baciare sono soddisfatte da un’altra donna, ciò non indica necessariamente il lesbismo.
Esprimere un’affettività significa solo essere umani. Ritengo che uno degli azzardi dello stile di vita celibatario sia il fatto che si rischia di perdere quel calore naturale poiché si teme di toccare l’altro.
Mi preme particolarmente sottolineare questo aspetto perché vedo cosa è stato fatto ai preti nella nostra Chiesa. Hanno paura non solo di toccare i bambini, ma addirittura di mettere il braccio attorno alla vita di qualcuno. (…).
Un’affettuosa amicizia tra due donne non è necessariamente un rapporto lesbico. Amicizie tra persone dello stesso sesso sono sempre esistite, sia nella vita religiosa che al di fuori.
Esiste altresì l’amicizia tra lesbiche che resta semplice amicizia; esiste l’amicizia tra una donna lesbica e una eterosessuale, così come esiste l’amicizia tra due donne eterosessuali.
Le amicizie ci spingono a scoprire chi siamo realmente. Le amicizie ci spingono a scoprire quanto valiamo. Dimostrano la nostra capacità di prenderci cura l’uno dell’altro, di amare l’altro.
Quindi, semplicemente, se una suora ama una donna o ha una donna come migliore amica o confidente non significa automaticamente che sia lesbica.
Ritengo che la differenza sostanziale tra un’amicizia e un rapporto lesbico sia l’erotismo. Le amiche tra loro hanno un legame affettivo molto forte ma senza sentimenti romantici o erotici come invece avviene in un rapporto lesbico. (…).
Nella mia esperienza, è la dimensione emozionale la più preziosa per le donne. Vogliono sentirsi comprese, vogliono condividere situazioni e confidenze per poter godere di valori comuni, per sentirsi vicine ad un’altra persona.
Questa predominanza dell’emozione sull’erotismo può falsamente portare una suora a considerarsi lesbica quando sperimenta questo tipo di vicinanza emotiva, anche in assenza dell’aspetto erotico (…).
La componente emotiva contraddistingue un’amicizia; la componente erotica contraddistingue il rapporto lesbico. Il percorso migliore, per una suora o per chiunque altro, per determinare il proprio orientamento sessuale è quello di rispondere a questa domanda: di chi mi sono innamorata?
Se, nel corso della sua vita, una donna si è nella maggior parte dei casi innamorata di donne, il suo orientamento sessuale primario è lesbico.
L’orientamento è determinato dalla direzione di genere e dalla forza dei sentimenti d’amore, dei desideri erotici e delle fantasie sessuali. Quello che definisce una donna lesbica, o una suora lesbica, non è il comportamento esteriore, ma i desideri sessuali più intimi. Credo che l’innamoramento sia la migliore descrizione per questo intimo sentimento.
COMING OUT
Se l’identità sessuale era la questione fondamentale per le suore negli anni ’70 e ’80, il coming out lo è nel ventennio successivo. Nel 2008, suor Janet Rozzano, dell’ordine delle Figlie della Misericordia, spesso oratrice nelle conferenze di New Ways Ministry, ha riflettuto sulla sua condizione di suora lesbica e ha scritto un libro dal titolo Out of Silence God Has Called Us (“Dio ci ha chiamati fuori dal silenzio”).
Uscire dal silenzio e tornare a parlare è stato per lei come un sacramento. È stato una sorta di manifestazione di grazia. (…).
Nelle conferenze annuali che ho menzionato nel mio excursus storico, destinate alle suore, alle superiori delle congregazioni, ai formatori e agli operatori pastorali e vocazionali, c’è sempre stata la testimonianza di due suore lesbiche, una delle quali ha fatto il suo coming out mentre era in convento.
Al suo ingresso, la suora non si era neanche domandata se fosse eterosessuale o lesbica, non aveva neanche avuto pensieri sessuali. Si era resa conto di essere lesbica solo nel corso della sua vita religiosa. L’altra storia è invece quella di una suora che ha realizzato quale fosse la propria identità già prima del suo ingresso nella vita religiosa.
Nella conferenza dello scorso anno, uno dei responsabili della formazione vocazionale ha detto: «Una delle esperienze più toccanti per me è stata quando una piccola e timida suora dai capelli brizzolati, attorno ai 70 anni, si è alzata in piedi e ci ha detto che eravamo i primi a sapere che aveva scoperto di essere lesbica. Sì, a 70 anni». Un’esperienza toccante ed emozionante.
Il coming out è argomento di molti tra gli articoli presenti nella newsletter (rivolta alle suore lesbiche, ma anche ai superiori religiosi e ai formatori delle congregazioni, ndt) che viene distribuita da oltre vent’anni.
Alcune suore che scrivono sulla newsletter usano un soprannome, altre solo il nome, altre invece si firmano per esteso, con il nome della comunità e spesso con la fotografia.
Dai testi della newsletter prendo un racconto molto toccante di suor Linda Taylor, suora di S. Giuseppe, che ha scritto una testimonianza molto bella sul suo coming out.
Cito dal suo scritto: «Avevo vissuto da lesbica nel silenzio per 50 anni. Avevo paura che definirmi lesbica mi avrebbe portato fuori dalla mia comunità e una tale possibilità mi procurava un dolore indicibile.
Quando ero più giovane, sapendo già di essere lesbica, portavo con me il segreto come fosse una moneta nella mia tasca. L’avrei tirata fuori al momento giusto. Ma in realtà ero felice di avere quella moneta nella tasca.
Dopo molti anni, e comunque solo dopo aver incontrato alcune donne lesbiche che erano contente ed orgogliose di esserlo, i miei sentimenti cominciarono a cambiare. La mia moneta era diventata pesante come un container pieno di dollari.
E quei dollari avevano cominciato ad occupare ogni angolo libero dei miei pensieri. I miei pensieri erano ormai pieni di tasche e di dollari. Arrivai così ad un punto di svolta. Un giorno, seduta nella mia stanza, pensai di andare nell’armadio a pregare. Perché non pregare in quel piccolo spazio con le ante in legno, dato che era lì che vivevo?
Chiedendomi come sarebbe stato, mi strinsi nell’angusto spazio e chiusi le ante. Cominciai a notare piccoli fasci di luce che filtravano attraverso le fessure delle ante.
Guardai la mia stanza attraverso le fessure e vidi che era piena di luce. E pensai: “Perché sono qui al buio quando potrei essere fuori a godere della luce del sole?”.
Immaginai una delle sorelle della comunità che mi domandava: “Linda, che ci fai nell’armadio? Esci fuori!”. Avvertii una profonda tristezza.
Tutti i miei sforzi per nascondere la mia identità di lesbica mi avevano portato a far sì che conoscessero solo la metà di me.
Pensai quindi che tutte le persone lesbiche o gay che conoscevo e che erano fuori stavano rischiando il tutto per tutto sulla loro pelle. Sentii nel profondo di voler essere come loro. Pensai: “Non voglio morire nell’armadio!”.
Pregare nell’armadio quel giorno è stato l’inizio della consapevolezza di voler gradualmente uscire fuori, trovare il modo di integrare il mio essere lesbica con la mia vita religiosa.
Nel considerare la mia vita religiosa così come si è svolta a seguito dei passi che ho intrapreso per uscire letteralmente dall’armadio della mia camera da letto, sto sperimentando una gioia e un entusiasmo che prima non avevo mai neanche immaginato prima». (…).
Ci possiamo domandare: se tutte le suore lesbiche sperimentano questo senso di gioia e di entusiasmo per la vita, un senso di libertà e di grazia derivante dal coming out, perché non tutte lo fanno? La risposta ha a che fare con i rischi legati al coming out.
Nella maggior parte dei casi, le suore lesbiche esitano ad uscire allo scoperto perché temono di perdere il proprio ministero. Ed è il ministero a cui sono profondamente legate: aiutare le persone. Temono che possa venir loro impedito.
Inoltre, alcune temono di infangare la reputazione della comunità religiosa di appartenenza e questo è profondamente frustrante. Tale timore tradisce la nostra cultura eterosessuale.
Essere lesbica è un bene tanto quanto essere etero: perché la reputazione della comunità religiosa dovrebbe essere minacciata? Per la reputazione è indifferente che ci si trovi di fronte a un sistema eterosessuale o alla presenza di suore lesbiche.
Questi tre temi – il celibato, l’identità sessuale e il coming out – che hanno dominato le nostre considerazioni sulle suore lesbiche sono presenti da molti decenni.
Ma la questione resta: quali vantaggi offre questa discussione alla Chiesa in generale? È una faccenda che interessa i fedeli? Le suore lesbiche influenzano positivamente la vita della Chiesa?
Premettiamo che la comunità ecclesiale è stata senza dubbio arricchita dalle lotte che le suore lesbiche hanno portato avanti. Le loro vite sono come carismi a disposizione della comunità, per tutti noi. (…)
La testimonianza delle suore lesbiche ci insegna (…) che la loro naturale frustrazione sessuale, quella che ciascuno di noi ha esperimentato di tanto in tanto – anche se ho incontrato persone che mi hanno detto di non aver mai provato desideri sessuali nella vita: è possibile, anche se raro – migliora in presenza di amicizie affettuose.
Ci ricorda che il vero significato della creazione, la storia di Adamo ed Eva, riguarda l’unione tra due individui. Nel secondo capitolo della Genesi Dio dice: non è bene che la persona – non l’uomo – sia sola. Le persone hanno bisogno di compagnia. Abbiamo bisogno di amicizia, di amicizia intima, per saziare la sete umana di affetto che avvertiamo nello spirito.
Le lotte delle suore lesbiche per la comprensione della propria identità sessuale le hanno rese capaci di essere guida per altre, altre lesbiche e gay che stanno imparando ad abbracciare la propria sessualità. (…).
Quando le suore lesbiche escono allo scoperto, diventano modelli di riferimento per altre persone lesbiche o gay.
Ad esempio, alcuni gay hanno confidato a suor Jackie Griffith, una sorella di S. Giuseppe che aveva fatto il suo coming out, di aver trovato il coraggio di svelarsi poiché lei l’aveva fatto. Quindi questa suora è servita da modello positivo per chi la conosceva.
Le suore lesbiche possono rappresentare un modello anche per coloro che hanno difficoltà a rapportarsi ad un’istituzione che li definisce come «intrinsecamente disordinati». Ho chiesto alle sorelle: «Come vi sentite rispetto all’abitudine della Chiesa di etichettare i gay come persone intrinsecamente disordinate?».
Mi hanno risposto di sentirsi a volte depresse, infastidite o perfino arrabbiate per questa facile etichettatura nei confronti delle persone omosessuali; alcune hanno detto di aver scritto lettere molto pacate e rispettose ai vescovi o ad altri leader religiosi sull’utilizzo di questo linguaggio.
Una delle suore ha detto: «Bene, ora ho capito come considerare coloro da cui le etichette provengono!», aggiungendo di provare una sorta di vergogna per l’appartenenza a queste istituzioni. «Ma sono Gesù Cristo e il Vangelo che mi tengono legata alla Chiesa, che poi è il popolo di Dio».
In grande maggioranza, le suore lesbiche si oppongono alle etichette della gerarchia semplicemente ignorandole e lavorando per la costruzione di un ambiente ecclesiale che nutra e accolga. La maggior parte di queste lavora nelle comunità religiose e lo ritiene davvero arricchente. (…).
Altre affermano di valorizzare i sacramenti e di apprezzare la dottrina sociale della Chiesa a partire dal Vaticano II e che è questo che dà loro speranza: gli insegnamenti del Concilio. È per questa ragione che restano legate alla Chiesa. Ritengo che le suore lesbiche ci insegnino la fedeltà, una fedeltà nella fede attraverso grandi difficoltà.
Queste sono alcune delle ragioni – e so che ce ne sono moltissime altre – per cui credo che le nostre sorelle lesbiche rappresentino un valido dono per la nostra Chiesa. (…).