T-xmas. Cambiare spiritualità per cambiare il mondo
Riflessioni del reverendo Mario Bonfanti* pubblicate sul sito della comunità MCC Il Cerchio il 24 dicembre 2017
In occasione delle festività natalizie, voglio proporre alcune libere riflessioni. La messa al bando negli USA (da parte di Trump) di queste parole e in Italia (da parte del sindaco di Como) dei poveri mi porta ad aprire l’articolo da un punto di vista sociale.
Una storia che si ripete
Partiamo dal Vangelo di Luca, dove leggiamo: “Lo depose in una mangiatoia, perchè non c’era posto per loro nella locanda” (Luca 2:7); e più drammaticamente nel Vangelo di Matteo si trova: “Erode mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai sue anni in giù” (Matteo 2:16).
Pare proprio che il bandire chi è scomodo sia una pratica piuttosto antica, che si ripete. L’Altro, qualsiasi sembianza assuma (povero, mendicante, feto, neonato, trans…) ci disturba, ci dà fastidio. Accoglierlo mette a soqquadro la casa, la quotidianità, la routine, le abitudini, lo status quo. Quindi è molto meglio lasciarlo fuori o – addirittura – bandirlo, per la “tutela del decoro del centro urbano” (recita l’ordinanza del sindaco di Como). Accoglierlo, riconoscere il suo diritto di essere, chiede di rimettere in questione il modo di vivere; chiede un profondo cambiamento sociale.
La base spirituale del cambiamento sociale
Ma quali sono le fondamenta su cui costruire un vero e stabile cambiamento della società? Lo psicologo americano Marshall B. Rosenberg (ideatore della Comunicazione Nonviolenta, che pratico e diffondo in Italia da anni), in un libretto intitolato Il cuore del cambiamento sociale, alla domanda di un partecipante, che gli chiedeva cosa possiamo fare per cambiare alla radice la società, rispondeva: “In primo luogo, io cerco di cambiare dentro di me il modello cui sono stato educato”. E più avanti aggiungeva: “Come agenti di cambiamento sociale, possiamo finire per creare più danni che benefici se non adottiamo un certo approccio alla nostra spiritualità”. Cosa intendeva Rosenberg?
Dalla traslazione alla trasformazione
Lo psicologo lo spiega in una lunghissima intervista (raccolta in un libro intitolato Preferisci avere ragione o essere felice?) dove, citando il saggista e filosofo Ken Wilber, distingue tra spiritualità traslativa e spiritualità trasformativa.
Così scrive: “Per spiritualità traslativa si intende una prassi spirituale che aiuta a rendere la propria vita più gradevole. Attraverso la preghiera e la meditazione si impara a reggere il dolore, ad apprezzare la vita e accettarla così com’è, ma da questo non nasce nessuna energia per cambiare il mondo”. E aggiunge che questo è stato spesso il ruolo assunto dalle religioni; o meglio dalle istituzioni religiose che, alleate coi potenti di turno, usavano la religione per tenere a bada le masse e impedire che si ribellassero all’oppressione. Al contrario “la spiritualità trasformatrice ci invita a lavorare su noi stessi, affinché la nostra azione politica non sia intrisa dalla stessa violenza che opera nelle strutture che vogliamo cambiare. Abbiamo bisogno di un’altra energia, di una consapevolezza diversa, per poter agire in una nuova direzione”.
Dismettere la festa buonista
Il Natale, purtroppo, nei secoli ha perso la sua forza rivoluzionaria ed è diventato una delle feste più traslative delle cristianità: una ricorrenza che ci inchioda alla sedia, ci (dis)educa a gozzovigliare per ore; e durante il quale, addirittura, la beneficenza viene deteriorata attraverso slogan e pubblicità buoniste. Ma, scrive sempre Rosenberg: “se la spiritualità è reazionaria, se non ci mobilita all’azione, non credo che saremmo in grado di creare il tipo di cambiamento sociale che mi piacerebbe vedere”. Occorre quindi cambiare la spiritualità (lo spirito del Natale) se vogliamo che esso torni ad avere la forza rivoluzionaria che l’incarnazione del divino portava con sé all’inizio.
Trans Christmas
Una delle possibili proposte davvero rivoluzionarie è quella offerta dalla teologia queer, che si pone l’obiettivo di trasformare la teologia dal suo interno, scardinandola dai sistemi eterosessuali maschilisti di potere cui è rimasta ancorata per secoli, e che hanno creato ingiustizie quali inquinamento, impoverimento delle risorse, povertà e squilibri sociali, disoccupazione, femminicidi, pedofilia, omo-bi-transfobia, ecc. E la teologia queer opera questa trasformazione in modo provocante, scuotendo le fondamenta, così che la teologia esca dai cardini che la tengono legata (e incatenata) ai poteri oppressivi e torni ad essere un lieto annuncio libero e liberante. E cosa ci può dire la teologia queer rispetto al Natale? Sconquassando le fondamenta di questa ricorrenza, porta alle estreme conseguenze i racconti biblici e popolari, rivelandone risvolti davvero rivoluzionari: messaggi veramente trans-formativi.
Vediamoli brevemente.
Bambino o bambina?
Nel libro Radical Love: an introduction to queer theology, il teologo Patrick Cheng cita l’affermazione della teologa femminista Virginia Mollenkott, che scrive: “Se diamo per assodato che Gesù sia nato da un parto verginale… questo significa che Gesù aveva due cromosomi X (non essendoci stato il contributo di uomo con cromosoma Y). Per cui Gesù era femmina a livello cromosomico con fenotipi maschili”. Stante questi dati, Gesù non sarebbe un “vero” maschio, ma una persona transgender.
Frutto di ierogamia?
Inoltre Gesù – secondo i racconti evangelici – sarebbe nato da Maria, alla quale l’angelo annunciò: “ti coprirà la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo” (Luca 1:35). Coprire è un verbo che ha una chiarissima allusione sessuale. E visto che l’aggettivo “Altissimo” sta per Dio (che nella tradizione biblica non si può nominare), qui ci troviamo di fronte a un classico esempio di “ierogamia”: l’unione mistica o rituale tra il cielo e la terra o tra un essere divino e un essere umano. Scrive Cristiano Panzetti nel primo capitolo del libro La prostituzione sacra nell’Italia antica: “Le tradizioni rabbiniche e dell’Antico Testamento attribuiscono alle popolazioni siro-fenice, in primo luogo cananee (ma anche alle tribù israelitiche dell’epoca anteriore all’esilio) la pratica di rituali sconvolgenti in onore di Ashtart: riti orgiastici propiziatori, danze lascive, orge sfrenate, offerte sessuali di vergini a idoli…”. Forse Maria era una sacerdotessa ed è rimasta incinta durante uno di questi riti?
Banditi alla riscossa
In terzo luogo, in ogni presepe che si rispetti non possono mancare i pastori. I quali non erano affatto quei carini personaggi bucolici delle odierne rappresentazioni. Come scrive il biblista cattolico Alberto Maggi nel libro Versetti pericolosi: “Servi malpagati e sfruttati da parte dei proprietari del gregge, i pastori sopravvivevano con il furto ai padroni o agli altri pastori con i quali si contendevano i pascoli… e spesso ci scappava anche il morto”. E aggiunge: “Esclusi dal tempio e dalla sinagoga, per i pastori non c’era alcuna possibilità di salvezza. Privati dei diritti civili, esclusi dalla vita sociale, ai pastori era negata la possibilità di essere testimoni, poiché, in quanto ladri e bugiardi, non erano credibili”. E invece: “Gesù tutto cambia. Proprio ai pastori, gli esseri umani ritenuti i più lontani da Dio, è annunciata la nascita del Salvatore”. Proprio coloro che la società e il potere (religioso e politico) aveva bandito ora diventano protagonisti. È proprio il caso di dire: “banditi” alla riscossa.
A alla fine… le frocie
A chiudere le feste ricordiamo l’Epifania con sfilate e rappresentazioni della venuta dei “magi”. Ma… chi erano costoro? Rev. Nancy Wilson (responsabile emerita della Metropolitan Community Churches, la chiesa di cui faccio parte anche io) nel libro Outing the Bible scrive: “Essi erano sacerdoti zoroastriani, maghi, antichi sciamani provenienti dall’antica Persia… Erano stregoni, ufficiali di alti rango, ma sicuramente non erano dei re. Piuttosto erano delle “regine”! Infatti li abbiamo sempre raffigurati con vestiti elaborati, esotici, variopinti, superaccessoriati (…) Inoltre questi sciamani e uomini santi furono gli unici a pensare di andare a fare shopping prima di far visita al bambino Gesù. Sembrano proprio una combriccola gay!”. E – elemento interessante – tradizionalmente nessuno di loro viene accompagnato (né la tradizione lo accompagna) da figura femminile alcuna, ma da giovani ragazzi (forse i loro amanti).
Concludendo
Possiamo cambiare la società se ne modifichiamo la cultura che la sostiene: il suo spirito, la sua spiritualità. E per cambiare la spiritualità occorre riscrivere la narrazione dei miti che la tradizione ci ha consegnato; miti nei secoli già narrati e rinarrati, scritti e riscritti, modificati di volta in volta per adeguarne il messaggio agli uditori del tempo.
Anche oggi abbiamo bisogno di nuove narrazioni: narrazioni che parlino oggi, narrazioni che includano, narrazioni che facciano sognare, narrazioni che trans-formino la società. Se infatti non vogliamo che la cultura patriarcale soffochi il messaggio sconvolgente del Natale e lo seppellisca per sempre sotto una montagna di inutili regali, tavole faraoniche, messaggi buonisti che pietrificano e ci irretiscono nell’ingiustizia presente, occorre un vero e proprio terremoto spirituale che scuota dalle fondamenta questo idolo falso, facendo schiantare al suolo definitivamente perbenismo, ipocrisia e falsità, così che il germoglio della compassione, armonia e giustizia possa dare luce alla neonata, nuova umanità.
E allora, buon T-Xmas a tutt*
* Sono il reverendo Mario Bonfanti, ordinato sacerdote nel 2002 e uscito dalla Chiesa Cattolica nel 2012 per essere autenticamente me stesso: spiritualmente e sessualmente impegnato nello stesso tempo. Dopo un avvicinamento alla Chiesa Anglicana ho aderito alle Metropolitan Community Churches ( www.mccchurch.org ). Attualmente mi definisco “prete queer” in quanto pastore di una comunità MCC a nord di Milano ( www.mccilcerchio.it ) e appartenente alla teologia e al movimento queer.