Dove siamo? Conversazione su Chiesa, mondo e società
Intervista a José Arregi di José Manuel Vidal, tratta dal sito Religión Digital (Spagna), del 13 dicembre 2012, liberamente tradotta da Dino
La Chiesa spagnola si colloca in un’altra epoca, in un altro pianeta, in un’altra cultura”. “Ci vergogneremo delle affermazioni della Chiesa sul matrimonio omosessuale, l’aborto o il divorzio”. José Arregi ha partecipato alla Settimana Andalusa di Teologia, tenutasi a Malaga il 24 e 25 novembre scorso. Blogger di Religión Digital, afferma con tristezza che “la Chiesa cattolica istituzionale negli ultimi 30 anni si è andata allineando con gli interessi della destra, delle grandi banche e delle grandi multinazionali”, e questo porta a chiederci, a volte, “se Gesù e i vescovi parlano dello stesso Vangelo”.
Quanto all’opposizione della Chiesa al matrimonio omosessuale, Arregi crede che “tra non molti anni ci vergogneremo di ciò, come delle affermazioni dei vescovi riguardo all’aborto o al divorzio” e ritiene che “se due uomini si amano, è sacramento”.
Queste posizioni “antistoriche e controculturali” sono quelle che hanno portato la Chiesa, secondo Arregi, a perdere negli ultimi secoli gli intellettuali, i lavoratori, le donne e i giovani. “L’unica gioventù che rimane è proprio la più tradizionalista nell’indirizzo politico, culturalmente piuttosto disorientata, e dal punto di vista religioso è orientata all’involuzione” conclude.
Qual era il titolo della tua presentazione?
Il titolo che mi hanno proposto era “Logica del Regno, logica del capitalismo”. Non conosco niente di economia, ma tutti conosciamo a grandi linee le deplorevoli conseguenze che il capitalismo ci sta portando. Quello che cerco di fare è una contrapposizione di ciò che Gesù aveva nella mente e nel cuore quando annunciava la Buona Novella del Regno di Dio per i poveri, e il capitalismo selvaggio nella sua versione neoliberale.
Ciò che voglio dire, in ultima analisi, è che il punto essenziale della proposta di Gesù del Regno di Dio è la priorità e l’interesse per il povero, che questo cessi di essere povero e viva dignitosamente. Mentre l’interesse primario del capitalismo è il guadagno. C’è una netta contrapposizione tra la posizione di Gesù che propone la compassione come motore e orizzonte umanizzatore e quella del capitalismo, che mira all’interesse insensibile di pochi.
Ci troviamo allora di fronte ad un sistema anti-evangelico? Non possiamo superare tutto ciò?
Credo che più che mai ci si debba lamentare a gran voce, perché la logica economica che sottostà all’economia neoliberale che spadroneggia dagli anni ’80, ma che nello stesso tempo sembra stia crollando, è contraria alla logica del credente. Credo che chi segue Gesù, al giorno d’oggi, abbia il dovere di denunciare questo capitalismo neoliberale che si basa sulla speculazione di pochi, qualunque cosa accada. Il capitalismo è senza pietà.
E oggi questo è più evidente?
Certamente. A volte in anni di maggior benessere qualcuno potè parlare del Fine della Storia e ci fu una teologia conservatrice che affermava che il sistema neoliberale era la realizzazione perfetta del Vangelo di Gesù.
Ma oggi basta guardare quello che ci circonda, non solo nello stato spagnolo, ma anche a livello planetario: le lacerazioni, le crescenti diseguaglianze, l’orizzonte futuro inesistente, il disastro ecologico che avanza… Tutto ciò corrisponde alla prassi e alla logica di fondo del capitalismo neoliberale.
Cosa proponi, una volta fatta la diagnosi?
Non lo so. Per dare consigli dovrei aver piena conoscenza di tutti i dettagli dell’economia. Quello che so è che esistono tanti movimenti sociali, al di là dei confini confessionali, che stanno proponendo misure di correzione dell’economia a livello planetario: persecuzione della corruzione, regolamentazione del mercato, tassazione di tutte le transazioni finanziarie, la Tobin-tax…
Auspico che i governi politici abbiano davvero capacità di decidere al di sopra dei poteri finanziari, perché in definitiva stiamo vivendo sotto la dittatura finanziaria delle grandi imprese, e i politici non sanno dire altro che non possono fare diversamente. Credo che questo sia il momento della grande politica. I politici che eleggiamo debbono prendere decisioni che rispondano al bene della cittadinanza.
Come possiamo noi cattolici promuovere questo cambiamento?
Non importa essere cattolici o meno, c’è un gran numero di persone che danno impulso, in sintonia e collaborazione con movimenti di ogni tipo (il 15-M, il 25-S, Stop Desahucios…), a questo nuovo grido sociale. Dando voce alla sensibilità che chiede una trasformazione.
Credi che questo grido possa produrre qualcosa che aiuti le vittime?
Di sicuro sarà produttivo. E se no, in un modo o nell’altro, anche se non tutto d’un colpo, il cambiamento ci sarà. E deve realizzarsi a livello planetario. Già sappiamo che lo stato spagnolo, ad esempio, ha poco spazio decisionale. Le decisioni devono essere ogni volta più condivise. Le Nazioni Unite dovranno servire a questo scopo, affinché ci sia realmente una democrazia di tutti i popoli, di tutte le specie del pianeta, di tutti gli esseri viventi. E che vengano prese decisioni per il bene comune, l’equilibrio e l’armonia.
Che ruolo pensi stia giocando in questo momento la Chiesa cattolica, che è una Chiesa universale, che potrebbe avere una certa autorità morale per spingere questo cambiamento di modello?
Se si pensa al ruolo rivestito dalla Chiesa cattolica istituzionale, in confronto ad altre confessioni che sono più audaci (talvolta perché sono più libere), si vede che è piuttosto misero, e che negli ultimi 30 anni si è allineato in maniera evidente (è molto triste doverlo dire) con gli interessi della destra, delle grandi banche e delle grandi multinazionali. Credo che la Chiesa (mi riferisco alla gerarchia e al Vaticano) non è stata una voce simile a quella di Gesù nella Galilea di 2.000 anni fa, che stava chiaramente al fianco dell’interesse degli ultimi, dei poveri.
Ma tutto questo non è un tradimento dell’essenza del messaggio del Nazareno?
È evidente. Quali sono le grandi questioni che provocano pronunciamenti e prese di parola da parte dell’istituzione ecclesiale? Perché i vescovi di Spagna si sono attivati ed hanno invitato a manifestarsi pubblicamente? Non è stato per gli stranieri, né per gli immigrati, né per i disperati. Ultimamente si sentono voci di alcuni vescovi che si stanno muovendo a prendere posizione, in una linea che dovrebbe essere molto più visibile.
Intendi dire che l’istituzione dovrebbe essere in prima fila in questi movimenti?
Sì. Ma Rouco (l’arcivescovo di Madrid) è stato il primo a cacciare dall’Almudena (la cattedrale di Madrid) i disperati che vi si erano rifugiati. La domanda è: quale Vangelo leggiamo? Di quale Gesù parliamo?
La gerarchia ti delude?
A dire il vero, sì. Sorrido soddisfatto nel vedere la decisione, la coerenza e i costi personali che molta gente deve sostenere per riflettere, ad esempio, in alcune giornate come queste, nella mia amata terra di Andalusia.
Qui ci sono persone di qualità umana e spirituale molto grande. Sono loro la Chiesa di Gesù. Magari la Chiesa cattolica, rappresentata dalla sua gerarchia, seguisse lo stesso comportamento! Ma la sensibilità non dovrebbe limitarsi soltanto a parole e buoni desideri, ma dovrebbe dare una spinta all’azione e al cambiamento politico ed economico.
Un esempio sarebbe il gesto concreto che hanno appena fatto i sacerdoti di Bilbao, chiedendo al loro vescovo di mettere a disposizione degli sfrattati le case rettorali o i terreni non occupati di alcune parrocchie di campagna?
Mario Iceta è uno dei vescovi più impegnati in questa causa, per questo devo dire che lo ammiro. Nella diocesi di Bilbao c’è una gran parte della popolazione cristiana cattolica, come nella diocesi di San Sebastian, il Gruppo di sacerdoti di Vizcaya… che sta indicando e aprendo il cammino. La gerarchia, a causa del peso istituzionale, degli interessi, ecc., è rimasta indietro.
I vescovi si sono appena pronunciati sul matrimonio omosessuale, chiedendo che il Partito Popolare faccia marcia indietro, anche dopo la sentenza del Tribunale Costituzionale. Che te ne sembra?
Mi dispiace. Faccio fatica a capire come al giorno d’oggi possa essere un problema tanto grande per un’istituzione importante come la Chiesa il fatto che al matrimonio omosessuale siano riconosciute uguali condizioni giuridiche che a quello eterosessuale.
Un primate anglicano recentemente diceva, a proposito della non approvazione dell’ordinazione delle donne come vescovi nella Chiesa anglicana, che è una questione che farà fatica a spiegare alla società. Lo stesso avviene in questo caso.
Può anche far perdere credibilità alla Chiesa?
Chiaro. La Chiesa spagnola si colloca in un’altra epoca, su un altro pianeta e in un’altra cultura. Come potrà capire questo atteggiamento la grande maggioranza di questa società che la Conferenza Episcopale, praticamente al completo, tramite il suo portavoce chiama a una specie di obiezione di coscienza o di insubordinazione, come fece in passato per l’aborto?
La Chiesa ha fatto queste cose soltanto per il divorzio, la legge di eutanasia, per condannare l’insubordinazione dei giovani che rifiutavano di fare il servizio militare… Com’è possibile? Credo che fra non molti anni ci vergogneremo di queste dichiarazioni, così come adesso chiediamo perdono per dichiarazioni del passato, che si sono rivelate totalmente antistoriche e controcolturali. E tutto ciò per non voler capire i nuovi modelli sociali, che non devono per forza essere migliori o peggiori, sono soltanto diversi. Se due uomini si amano, è sacramento di Dio. Dov’è il problema?
Dicono che il matrimonio deve essere collegato con la procreazione, ma la Chiesa non ha mai condannato il matrimonio di due nonni che mai avranno figli. La questione allora sta nel fatto che debbano essere un uomo e una donna? E questo da dove lo desumono? Questo è un semplice schema culturale, storico, e pertanto soggetto a modificarsi. Ma questa frattura ha un costo molto caro.
Ogni religione è sempre esposta al grande rischio di far sempre ricorso all’assoluto, alla tradizione, a Dio o alla rivelazione, per giustificare, legittimare e mantenere quelli che non sono altro che modelli culturali e pertanto contingenti. La vita non si ferma mai. Va avanti, progredisce. E anche la religione dovrebbe evolversi insieme alla vita.
Uno di quegli scandali dei quali dici che sicuramente tra poco ci vergogneremo è forse la situazione della donna all’interno della Chiesa cattolica?
Ne abbiamo già pagato il pedaggio. Come si suol dire, la Chiesa ha perso gli intellettuali tra il secolo XVIII e il XIX, assumendo una posizione contraria alla ragione. In seguito ha perso i lavoratori, collocandosi contro la maggior parte delle richieste e delle rivendicazioni sociali della classe lavoratrice. A partire dal Concilio Vaticano II, a metà del XX secolo, ha perso la gioventù, che adesso sta in un altro schema (la postmodernità, la cultura dell’informazione, della complessità, della globalizzazione, della crisi delle grandi tradizioni e la sua propria conseguente crisi…).
Ed ora evidentemente sta perdendo la donna, se già non l’ha persa. E se perde la donna, perde le madri; e se perde le madri, perde la possibilità di trasmettere alle generazioni future, che è proprio quello che sta avvenendo. Basta dare la colpa di tutto ciò alla cultura di oggi e a tutti gli “ismi” immaginabili.
Tutto questo non è avvenuto in contrasto al Concilio?
Sì. Il Concilio ha fatto uno sforzo di riconciliazione con la libertà del soggetto e con la ragione. Ciò che succede è che, già prima che il Concilio fosse terminato, la cultura europea stava assumendo un’altra connotazione, e con il pontificato di Giovanni Paolo II ci sono stati importanti indietreggiamenti. Da un lato la Chiesa è indietreggiata dal tentativo di riconciliarsi con la cultura moderna, e dall’altro la cultura ha fatto un passo avanti verso lo schema post-industriale dell’informazione.
Quindi ciò che adesso separa la Chiesa istituzionale dalla cultura attuale non è soltanto un gradino nella scala di evoluzione culturale, ma sono due: perché la Chiesa è retrocessa verso uno schema premoderno, mentre la società è avanzata verso uno schema postmoderno. Di modo che ci sono due passi di distanza tra l’istituzione ecclesiale e la cultura.
Com’è possibile che sia avvenuto tutto questo, in un’istituzione che dispone di persone esclusivamente addette alla riflessione, come i teologi o i pensatori? Questa involuzione è dovuta ad una strategia premeditata, che si incentra sul garantire la sopravvivenza della Chiesa lungo la storia?
Certamente non si tratta di cattiva volontà, ma mancano una diagnosi e una lettura adeguata della situazione del nostro mondo. A volte esiste un calcolo che l’istituzione ecclesiale sta facendo, in accordo con la linea del neoliberalismo politico ed economico, verso i quali, come ho già detto, la Chiesa ha compiuto un allineamento che mi sembra piuttosto perverso.
A volte il calcolo consiste nel credere che il neoconservatorismo abbia un futuro, come l’ha il neoliberalismo, e che i paesi emergenti non siano tanto secolarizzati e laicizzati come i paesi moderni, e poi che il futuro possa essere connotato dalle norme che essi imporranno, con la religione come presenza forte nella società.
Credo che siano questi i calcoli che la Chiesa sta facendo quando spinge questa involuzione tanto chiara, e ogni volta più evidente. A me però sembra che sia una lettura sbagliata, una diagnosi che sta trascinandosi dietro un processo di emarginazione a causa della settarizzazione della Chiesa nella nostra società. Perché non credo che il modello della pluralità possa far marcia indietro.
L’indirizzo della Chiesa non potrebbe cambiare, come all’epoca di Giovanni XXIII, che cambiò radicalmente rotta all’istituzione?
Può succedere. Dato che la Chiesa è tanto centralista e totalitaria, tutto dipende dalla decisione di una sola persona. Ma ci si dovrebbe anche chiedere quanto comanda attualmente Benedetto XVI in Vaticano. Formalmente ha la piena autorità, e se avesse coraggio, potrebbe imporre la sua volontà, dare un colpo di timone e provocare il cambiamento. Ma non credo che questo possa avvenire.
Inoltre la situazione sociale e religiosa dell’Europa è molto diversa. Quando la Chiesa, con Giovanni XXIII, si decise a lasciarsi alle spalle la condanna, l’offensiva e i profeti di calamità, per riconciliarsi col mondo, c’era ancora una grande massa sociale cristiana e cattolica.
I giovani riempivano le chiese, e così si sarebbe potuto progredire. Ma già oggi non ritroviamo più questa situazione. Gli unici giovani che si vedono occasionalmente in chiesa e poi nei grandi raduni, sono proprio i giovani politicamente più tradizionalisti, culturalmente piuttosto disorientati e religiosamente tendenti all’involuzione.
Vuoi dire che la situazione è irreversibile?
Mi sembra di sì. Non si sta voltando pagina. Il Vangelo di Gesù continua ad avere un enorme potenziale ispiratore per la società, ma succede che viene dilapidato, e mi sembra che riuscirà a sopravvivere soltanto in piccoli circoli. La Chiesa come istituzione sociale si sta trasformando in un fenomeno molto marginale, quasi settario (nel senso di piccolo gruppo chiuso e sulla difensiva nei confronti della cultura).
In contrapposizione, in questa cultura non continua ad esserci una ricerca di valori spirituali?
Esattamente. E nella gioventù è molto evidente. I vescovi parlano molto male dei giovani di adesso, come parlano molto male di quasi tutta la società. Quando ricordiamo le Beatitudini di Gesù e vediamo i vescovi (a cominciare dal loro portavoce) che di continuo ci fanno rimproveri, torniamo a chiederci se stiamo parlando dello stesso Vangelo.
Ed è triste che la Chiesa creda così poco nella gioventù, che ha sete di recuperare la spiritualità, la religione autentica, al di là delle forme tradizionali ereditate dal passato, che non dicono niente, o che accompagnano credenze che sono ormai insostenibili.
Testo originale: José Arregi: “Si dos hombres se quieren, es sacramento”