«Che pena tante parrocchie chiuse, aprite le porte»
Articolo del 28 marzo 2013 di Gian Guido Vecchi pubblicato su il Corriere della Sera
«La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie — che pena tante parrocchie chiuse! — dei movimenti, delle associazioni, ed uscire incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre!».
La prima udienza generale di Francesco cade nella settimana di Pasqua e per il Papa, davanti a quindicimila persone, è l’occasione di richiamare i cristiani ai fondamentali e mettere in guardia da «un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio».
Il Pontefice che ha rinunciato a vivere nell’Appartamento papale, almeno per un po’, scandisce: «Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio». È «Dio che fa sempre il primo passo, si muove verso di noi». Per questo, a sua volta, un cristiano deve «uscire». Non basta «qualche preghiera» o «una messa domenicale distratta e non costante» o «qualche gesto di carità». Francesco vuole una Chiesa missionaria, «come il buon pastore non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo uscire e cercare con Lui la pecorella smarrita», e lo ripete di continuo, «uscire!», come ripete a proposito della Settimana Santa: «Che cosa significa tutto questo per noi? Significa che questa è anche la mia, la tua, la nostra strada».
Non basta «seguire Gesù solo con la commozione del cuore», sillaba: «Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto».
Il riferimento alle «periferie» riprende un tema caro a Bergoglio, che lo ha ripetuto anche durante le congregazioni dei cardinali prima del Conclave, un testo consegnato al cardinale dell’Avana, Jaime Lucas Ortega y Alamino: «Evangelizzare implica zelo apostolico. La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, del pensiero, di ogni forma di miseria».
Francesco contrappone «la Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa» alla «Chiesa mondana che vive in sé, da sé, per sé». Ai cardinali diceva: «I mali che affliggono le istituzioni ecclesiastiche hanno una radice nell’autoreferenzialità, in una sorta di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse, Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare…Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire».