Il coming out di Sophie, madre di una ragazza lesbica
Testimonianza di Linda Ulanoff* pubblicata sul sito My Kid is Gay (Stati Uniti), liberamente tradotta da Chiara Benelli
Mia figlia Sophie, 16 anni, ha fatto coming out con me quando di anni ne aveva 14, nel febbraio del suo anno da matricola alle scuole superiori.
Aveva passato quasi tutta la vita a preferire “vestiti da maschio”, e quando suo fratello la chiamava lesbica perché indossava spesso capi a quadri, lei non si arrabbiava mai, quindi non cademmo esattamente dalle nuvole, ma ci volle un po’ per digerire la notizia.
Mentre elaboravo questa novità, ho scoperto che, più del fatto che le piacessero le donne, mi infastidiva che l’essere un “maschiaccio” sarebbe stato tutt’altro che una fase.
Mi resi conto che potevo dire addio all’abito del ballo scolastico, all’abito da sposa, o in ogni caso a qualsiasi altra cosa che, per tradizione, la mamma di una figlia femmina attende con tanta impazienza.
Poco tempo dopo aver appreso la notizia, ho voluto dirlo a una mia cara amica, mentre stavamo facendo una passeggiata. Camminavamo e nel frattempo parlavamo, e io all’improvviso sono scoppiata in lacrime. Poi lei mi ha messo in contatto con un’amica sua, che aveva vissuto la stessa mia situazione con suo figlio gay, e che poi era diventata la sua più caparbia sostenitrice.
Circa un mese dopo, questa amica della mia amica mi portò per la prima volta a un incontro dei Parents, Families and Friends of Lesbians and Gays ([Associazione di] Genitori, familiari e amici di gay e lesbiche, PFLAG). Lo trovai utilissimo, un insieme di persone solidali che lì avevano trovato ascolto, e altre che stavano passando per la mia stessa esperienza.
Nei mesi successivi mi sono trovata a oscillare tra l’accettazione e la disperazione derivante dal definitivo abbandono della mia personale concezione di madre di figlia femmina. Una delle nostre peggiori incomprensioni, all’inizio, fu “il grande taglio”. Mia figlia aveva i capelli lunghi e ricci, e desiderava tagliarseli molti corti e tenerli così per un po’. La prima volta che tirò fuori l’argomento (prima di fare coming out con me), mi preoccupai all’idea che si sarebbe fatta la gente al riguardo, eppure lei rimase senza parole.
Alla fine cedetti al “grande taglio”, che sarebbe avvenuto alla fine del primo anno di liceo. Quella mattina piansi istericamente, chiedendomi come avrei fatto a superare una cosa del genere e sapendo che quel taglio di capelli rappresentava di fatto una dichiarazione al mondo sulla vera identità di Sophie.
A taglio avvenuto, però, mi resi contro che era tutt’altro che un problema, e che anzi Sophie stava molto bene. (Ora ce li ha ancora più corti di allora, e oltretutto se li tinge di blu, ma la cosa non mi sfiora minimamente). Ma quel che conta di più è che, ora che finalmente il suo aspetto esteriore rifletteva fedelmente come si sentiva dentro, Sophie acquisì sicurezza e serenità con se stessa.
Una volta raggiunta anch’io la serenità con l’omosessualità di mia figlia, arrivò anche per me il momento di “fare coming out”.
Per quel che riguarda gran parte della mia famiglia e dei miei amici, confidarmi con loro non è stato poi così difficile: è stato sufficiente tirare fuori l’argomento con nonchalance. Sono stati tutti molto concilianti, e dopo essermi confidata mi sono sempre sentita meglio.
Ricordo un episodio avvenuto all’inizio dell’anno scolastico successivo, mentre facevo colazione con la mamma di un’amica di Sophie. Parlammo a lungo delle nostre figlie e del taglio di capelli di Sophie, e nel frattempo io ripetevo fra me e me: “Lo saprà? Penso proprio di sì, ma meglio non darlo per scontato”.
Alla fine, mentre andavamo via, poco prima di salutarci, mi è venuto di dire: “Lo sai vero, che Sophie è lesbica?” E lei: “Oh, finalmente”. Lo sapeva, solo che non sapeva se lo sapevo anch’io, o se sapevo che lei sapeva. Fu un grande sollievo per tutt’e due.
Non tutti i “coming out” sono stati facili. Certamente uno dei più difficili è stato, ironia della sorte, quello fatto con un’amica molto intima, che si dava il caso fosse piuttosto conservatrice. Le nostre famiglie sono molto vicine, e non sapevo come l’avrebbero presa lei e il marito. Mi ero persino preparata al destino della nostra amicizia nel caso non avessero accettato mia figlia.
Dopo mesi passati a rimandare l’inevitabile, un giorno finalmente mi decisi, e feci il mio “coming out” mentre ero a pranzo da lei. Non avrei potuto sbagliarmi di più sulla sua ipotetica reazione.
Nonostante l’iniziale perplessità, mi ribadì subito che non era cambiata la loro opinione su Sophie, la conoscevano bene e le volevano ancora bene. Da allora, sia lei che suo marito non hanno fatto che dimostracelo.
Dallo scorso giugno scorso partecipo regolarmente alle riunioni di PFLAG, e mi sono persino portata dietro mia figlia qualche volta. Sono anche diventata un membro del consiglio, e ho iniziato a occuparmi della pagina Facebook del gruppo.
Il Pride di New York era previsto per l’ultima domenica di giugno. Io e mia figlia avevamo ordinato delle magliette: la mia diceva “Amo mia figlia”, con un bel cuore arcobaleno in mezzo alla scritta. Quella di Sophie invece “Hey, indovina un po’ chi è omosessuale?”, e poi sulla schiena “Io”.
Scattammo alcune foto con le nostre magliette, e alla fine feci l’ultimo e definitivo “coming out” della mia vita, e postai la nostra foto su Facebook mentre ci accingevamo a unirci alla sfilata del Pride.
Pensai che molti dei miei amici su Facebook ne fossero probabilmente già al corrente, viste le foto di mia figlia e alcuni miei post relativi alla comunità LGBT che avevo sul profilo. Sapevo che alcuni sarebbero stati molto aperti, e altri magari non lo sarebbero stati, ma a quel punto non mi importava più. Ero consapevole che tutta una schiera di nostri famigliari avrebbe appreso per la prima volta della sessualità di Sophie.
Mentre eravamo in treno, di ritorno dalla sfilata, guardai tutti i “mi piace” e lessi tutti gli splendidi commenti sulla mia pagina Facebook. Ricevetti anche alcuni messaggi privati molto toccanti, che mi sorpresero e mi commossero fino alle lacrime. È stata una delle migliori esperienze della mia vita, e sono stata letteralmente travolta dall’ondata di affetto e sostegno per me e mia figlia.
Non molto tempo fa mi sono ritrovata a parlare a suo nome per le foto dell’annuario (che vengono fatte al terzo anno). Tradizionalmente, le ragazze indossano un abito con scollo a barca, ma sapevo che Sophie avrebbe preferito la giacca smoking.
Due anni fa avrei avuto il terrore di questo giorno; ora mi ritrovavo ad alzare la cornetta e chiamare la scuola e lo studio fotografico per assicurarmi che a mia figlia venisse data la giacca, senza bisogno di dare spiegazioni a nessuno e senza sentirsi in difetto. Sono felice di poter dire che sono stati tutti molto collaborativi e comprensivi, e la sessione fotografica è filata liscia come l’olio.
Anche se un viaggio del genere non avrei mai potuto prevederlo, posso dire onestamente che oggi non lo cambierei per niente al mondo. Mi ha avvicinato a mia figlia, e mi ha fatto scoprire una comunità che non mi sarei mai immaginata, e di cui sono contenta e lusingata di far parte.
* Linda Ulanoff è moglie e madre di una ragazza sedicenne (a cui è capitato di essere lesbica) e di un ragazzo ventenne. È attivista per i diritti LGBTQ e membro attivo di PFLAG Long Island, per cui svolge l’incarico di tesoriera, oltre a gestire la pagina Facebook del gruppo. Potete seguirla anche su Twitter: @CrankyMomma48
Testo originale: “Coming Out” as Sophie’s Mom