I modelli di relazione in “Just Love” della teologa Margaret Farley
Articolo della teologa Lisa Sowle Cahill* pubblico su America, settimanale dei gesuiti americani, 11 dicembre 2006, Vol.195, n.19, libera traduzione di Silvia Lanzi
Just Love (Bloomsbury Publishing USA, 2008)
è l’atteso lavoro di etica della teologa e femminista cattolica Margaret Farley, un compendio di anni di esperienza, di riflessioni, di ricerche e di saggezza. Just Love è decisamente modellato sui tanti interessi di Farley: la parità sessuale di donne e uomini, di coppie gay e etero; e, più di recente, la difesa delle persone affette da AIDS, specialmente le donne in Africa. La tesi di Just Love è che la giustizia è fondamentale per la morale sessuale, in particolare la giustizia intesa come rispetto per la reale identità e le esigenze dell’altro.
Questo è un messaggio importante in un tempo in cui l’abuso sessuale e la violenza sono in agguato e in cui la Chiesa cattolica americana ancora non è riuscita a proteggere i bambini dagli abusi sessuali, mentre sta facendo una campagna contro i diritti che molti gay e lesbiche considerano espressioni essenziali delle loro identità. È un messaggio importante per una cultura, come la nostra, che spesso riduce la moralità sessuale alla libertà e al godimento e considera l’impegno come un ideale o un lusso. È ancora più importante in una società che espone sistematicamente le donne al pericolo di veder minata la loro integrità sessuale e alla loro salute.
Nel suo primo libro Personal Commitments (1986), la Farley, rifletteva sul fatto che molti religiosi esperti di etica ritengono che le certezze tradizionali, tra cui si annida anche qualche banalità, debbano essere riviste alla luce dell’esperienza individuale. Visto l’impatto dell’Humanae vitae ed il rapido aumentare dei ruoli sociali della donna, al di là della sfera domestica, uno dei compiti di quest’epoca è riconsiderare la procreazione all’interno del matrimonio. La Farley, e non è la sola, che arriva alla conclusione che la moralità sessuale coniugale stia più nella fedeltà e nell’impegno che non nella gravidanza.
Quest’ultima è sì un campo di pienezza e responsabilità, ma non la conditio sine qua non per l’attività sessuale. Pur ritendo fondamentali impegno e fedeltà, la Farley accenna anche a condizioni che possano influenzarli o anche farli finire – matrimonio compreso. Si concentra infatti sulle difficoltà d’integrazione personale, stante la possibilità di cambiamenti al di là del controllo individuale. In tutto il mondo la sessualità si definisce più in termini di parentela e gravidanza che come espressione di sé, o di amore e piacere reciproco.
Ma, nonostante la grande varietà di esperienze e realtà erotiche, la Farley offre una regola per tutte le unioni sessuali: “semplicemente l’amore“. Questo significa rispetto, libertà, reciprocità, uguaglianza, impegno, “fecondità” e responsabilità per una comunità più vasta ed anche giustizia sociale e il rispetto legale per ogni tipo di sesso, matrimonio e famiglia. La Farley riconosce che oggi, come norma sessuale, assumere un impegno è altamente “problematico” se non “impossibile“. Ma nel libro riafferma la sua convinzione che l’impegno sia essenziale nel sostenere l’amore e dare gioia profonda all’atto sessuale. Ecco alcuni commenti, e alcune critiche, sui suoi pensieri espressi nei primi due paragrafi.
I. Cosa c’entra il “Solo amore?“. Per prima cosa, come abbiamo visto, la Farley e altri, sostengono l’idea che “la moralità sessuale coniugale stia più nella fedeltà e nell’impegno che non nella gravidanza“. Anche se la procreazione è importante, “essa non costituisce una condizione fondamentale per ogni atto sessuale“. Ora, nonostante la grande responsabilità nel generare, la Farley suggerisce situazioni “che possono influire sull’impegno di coppia, matrimonio compreso, o anche farli finire“. In secondo luogo per la Farley, la regola dell’unione sessuale è “semplicemente l’amore“.
Di nuovo sottolinea “rispetto, libertà, reciprocità, uguaglianza, impegno, ‘fecondità’ e responsabilità per una comunità più vasta ed anche giustizia sociale e il rispetto legale per ogni tipo di sesso, matrimonio e famiglia“. Ma, di fatto, la norma è una non-norma. La Farley è vaga su ciò che potrebbe essere utile per aiutare la formazione della coscienza di ogni persona. Per esempio, come definire si può definire la “reciprocità”, o cos’è la “giustizia sociale”? Il carattere di questa regola mi ricorda i criteri vaghi e fumosi (come “la crescita creativa verso l’integrazione”) degli autori di “Human Sexuality: New Directions in Catholic Thought” (1977), uno studio commissionato dalla Catholic Theological Society of America e pubblicato dal reverendo Anthony Kosnik. All’epoca sia i vescovi statunitensi che la Congregazione per la Dottrina della Fede l’avevano criticato parecchio.
Inoltre, si presume che una norma morale dovrebbe guidare le nostre scelte perché siano conformi alla verità morale. Ma la regola del “semplicemente l’amore” della Farley include la nozione di libertà (sarebbe meglio parlare di “consenso”). Nondimeno il “rispetto”, l’uguaglianza e simili, dovrebbero caratterizzare anche tutte le relazioni umane non-sessuali: per esempio quelle tra genitori e figli, fratelli e sorelle, amici dello stesso sesso e di quello opposto e così via.
Ma, dal momento che il matrimonio è un’intima amicizia sessuale dalle caratteristiche uniche, esso richiede criteri morali appropriati: soprattutto uno, nell’unione tra uomo e donna, che sia permanente e aperto alla trasmissione della vita umana. Il rispetto dovrebbe assolutamente essere tra questi criteri, ma l’autrice del libro avrebbe dovuto concentrarsi di più sul fatto che, in un rapporto sessuale, non si debba scientemente violare la norma dell’apertura alla vita.
Da ultimo la “fecondità” enunciata dalla Farley è più figurata che letterale – non tanto fisica quanto spirituale. E ciò comunque indica la fecondità, o procreazione, come valore basilare, piuttosto che descriverne il ruolo centrale nel matrimonio. Comunque è proprio la procreazione il motivo – e la biologia ce lo insegna – del perché il matrimonio coinvolga i due sessi e debba durare tutta la vita.
Dicendo questo, non intendo dire che in un matrimonio, la procreazione sia il più alto e solo valore; sto solo sottolineando che è quel che lo definisce, essendo il tipo di intima relazione corporea che è – diversa da qualunque altro genere di amicizia tra uomo e donna.
Ma ricordiamo che la Farley non limita l’espressione sessuale genitale al matrimonio o al rapporto uomo/donna. Vale a dire che anche il sesso prima del matrimonio e le relazioni omosessuale possono essere moralmente motivate. Non c’è nulla nella norma intrinseca del “semplicemente l’amore” che li escluda. Quello che è cruciale, per la Farley, e che queste relazioni siano rispettose, reciproche, all’insegna dell’uguaglianza…
Sebbene la Farley dia al concetto di “impegno” un ruolo più significativo rispetto alla “fecondità”, notiamo che, per lei, è solo una pallida immagine del suo significato tradizionale: non comprende la sua permanenza assoluta nel tempo.
L’impegno si può “cambiare” o anche “rompere”. Il matrimonio non è immune alla dissoluzione e così il divorzio, almeno in teoria, è una scelta moralmente positiva. La Farley si chiede anche se l’“impegno” (o patto) possa essere una “norma sessuale” credibile. In questo contesto “il punto centrale della Farley sono la difficoltà dell’integrazione personale e la responsabilità, dal momento che ci sono circostanze e cambiamenti che esulano dal nostro controllo individuale“.
Sembra un modo fantasioso per dire “non possiamo essere adulti responsabili e prometterci per la vita, perciò, viste le incontrollabili pressioni esterne che ci remano contro, non dobbiamo vivere secondo le norme oggettive della moralità sessuale“.
In conclusione il libro della Farley aveva come obiettivo la critica della morale sessuale alla luce dell’esperienza individuale. Ma va detto che la nostra esperienza umana non è solo quella della redenzione, ma è anche quella della caduta – del fallimento, del peccato (originale, personale e sociale).
La Chiesa cattolica comunque insiste che la rivelazione divina deve giudicare l’autenticità dell’esperienza personale piuttosto che il contrario. La Farley non vuole fare della “gravidanza [io direi della procreazione]” la norma di ogni atto sessuale. In pratica questo è il passo più importante che la Farley fa per “far crollare” l’intera etica amore-e-vita-sessuale della Chiesa.
Secondo il suo punto di vista, non solo è consentita la contraccezione, ma – secondo una logica che è insieme revisionista e tradizionalista – lo sono anche la masturbazione, la sodomia e le altre realtà sessuali. Nessuna meraviglia se la Congregazione per la Dottrina della Fede è intervenuta sul libro, anche se l’ha fatto con parecchio ritardo.
* Lisa Sowle Cahill, docente di teologia al Boston College (USA)
Testo originale: ‘Patterns of Relationship’