Sono un madre cristiana orgogliosa dei miei due figli gay
Testimonianza di Ximena Moreno (Cile)* pubblicata sul blog Los mejores gay blogs il 29 aprile 2019, liberamente tradotta da Stefano M.
Sono mamma di quattro figli, due maschi e due femmine. Non ho mai sospettato che i miei due figli maschi fossero omosessuali. Tutti e due hanno avuto delle ragazze per parecchio tempo, e li ho visti felici con loro. Il primo a dircelo è stato il maggiore, che in quel momento aveva 25 anni e viveva a Buenos Aires. Un giorno disse a me e a suo papà che voleva parlarci. In quel momento pensai che ci avrebbe detto che la sua ragazza stava aspettando un bambino, o che avrebbe voluto cambiare corso di studi.
Mentre eravamo tutti e tre seduti in camera, ci lesse una stupenda lettera che ci aveva scritto, in cui ci spiegava quello che sentiva, quello che gli stava succedendo, da quanto gli stava succedendo, e che era qualcosa non poteva più continuare a nascondere. E ci disse che era gay.
Certamente fu un dolore enorme, e l’unica cosa che feci fu piangere e abbracciarlo. Mi ricordo che in quella conversazione ciò che più ci restò impresso fu che lui continuava ad essere quello di sempre. Non lo elaborai in quel momento, ma dopo mi resi conto che effettivamente fu così.
Lui lo aveva accettato così pienamente, che ci disse che potevamo raccontarlo alle persone a cui avevamo bisogno di raccontarlo. Io ho parecchie amicizie, e non trovavo giusto nascondere una cosa così importante. Una persona nasconde le cose cattive, brutte. E mio figlio non aveva né le une né le altre. Continuava ad essere il ragazzo affettuoso e squisito di sempre.
L’unica persona a cui non lo raccontai fu mia mamma, che al quel tempo aveva più di 80 anni, era anziana. Però se ci penso adesso, sapendo com’era lei, sono convinta che non avrebbe sollevato nessun problema. Mi pento molto di non averle detto nulla.
Sono una donna di grande fede, e non ho mai preso quello che mi è successo come una punizione divina. L’ho presa così, ché così è la vita. Non è stato facile. Si soffre, si piange, bisogna lasciare andare alcune aspettative, però mi ha aiutato il fatto di restare a testa alta e di non nascondermi.
Avevo davanti due possibilità: una era quella di buttarmi a letto, coprirmi con le lenzuola e piangere in eterno; l’altra era smettere di piangere e capire cosa potevo fare.
Perciò entrai nella PADIS (la Pastorale della Diversità Sessuale all’interno della Comunità di Vita Cristiana – CVX, un’associazione laicale internazionale d’ispirazione ignaziana), dove sempre arrivano persone credenti che hanno figli omosessuali, e che non sanno che fare.
Gli insegnamenti della PADIS mi aiutarono ad affrontare la tematica, a conoscere questo mondo così da sfatare miti e sensazioni che avevo in precedenza sul tema omosessualità. Lì appresi, inoltre, che la vita non termina con me, e nemmeno con i miei figli e nipoti, ma che termina più in là, perciò mi sono messa a tessere reti, perché quando condivido il mio sentire le persone si rendono conto che l’omosessualità non deve essere né condannata, né giudicata.
Mi piace raccontare la mia realtà, con i dolori e i motivi di allegria. Credo che sbandierarlo non vada bene per tutti. Nella PADIS ho scoperto anche che in molte famiglie c’è più di un omosessuale. Io avrei giurato di essere l’unica al mondo, ma la verità è che capita di più spesso di quanto si creda possibile.
Tre mesi dopo la conversazione con il mio figlio maggiore, decisi di andare a trovarlo a Buenos Aires. Volevo conoscere il suo partner, vederli entrambi nel loro mondo. Prima di partire ero un po’ nervosa, perché non sapevo come sarebbe stato quel momento.
Però tutto si svolse naturalmente, Il giorno del mio arrivo li abbracciai entrambi, e uscimmo a mangiare. Andare a trovarlo era stata una decisione che avevo preso con un amore infinito di mamma, e rendermi conto che erano felici era molto gratificante, l’unica cosa che alla fine contava.
Tre anni dopo, sempre in gennaio, mio figlio minore, anche lui in quel momento 25enne, ci raccontò la stessa cosa, e allo stesso modo. Eravamo di ritorno dalla spiaggia, e ci disse che voleva parlarci. Anche in quel caso non me l’aspettavo.
In quell’occasione ci disse che quando suo fratello maggiore ci aveva raccontato di sé, si era reso conto di quello che gli stava succedendo. I suoi fratelli gli avevano detto che per nessun motivo avrebbe dovuto raccontarcelo, perché avremmo potuto morire di crepacuore. Pensai solamente a quanto terribile doveva essere stato questo processo per lui, ma mi dissi che no, i suoi amici e i suoi fratelli lo avevano frenato e che lui sapeva che per noi sarebbe stato molto difficile, che era meglio aspettare.
Mi chiese di non sentirmi mai in colpa, perché sapeva cosa andava fatto in quel momento. Ci abbracciammo, piangemmo, e tutto ci sembrava perfino un po’ tragicomico. Mi ricordo che il giorno seguente lo raccontai a mia cognata, che pensò stessi scherzando.
Un anno dopo avercelo raccontato, andò a studiare negli Stati Uniti con il suo partner. Io volli andare a trovarli, anche se l’idea di stare a casa sua mi dava sui nervi. Lo stesso giorno che arrivai andammo al compleanno di uno dei suoi amici in un parco.
Passai tutto il pomeriggio osservando il suo mondo, un bel mondo. Sì, quello che mi preoccupava era la notte, che sarebbe cominciata nel momento in cui se ne sarebbero andati nella loro camera, e io nella mia. E, ancora una volta, non mi accadde nulla. Credo di essere stata talmente sopraffatta e contenta di quello che vedevo, che il resto era di scarsa importanza.
I miei due figli si sono uniti civilmente, il maggiore tre anni fa. Fu una festa meravigliosa, e io e le mie figlie ci eravamo prefisse di farla diventare una giornata stupenda, così come, quando si sono sposate loro, fin dal primo giorno di preparazione avevamo discusso su come si sarebbero vestite, e con i due maschi facemmo lo stesso. La prima cosa che facemmo fu cercare dei vestiti per le mie nipotine, dopodiché tutte fossero uguali. Fu un modo di farlo sentire l’uomo più felice di quella giornata. E credo che si sia sentito più amato di quanto non si sia mai sentito.
Un anno dopo si unì civilmente il mio secondo figlio. Questa volta fu una celebrazione più intima, le mie cinque nipoti ancora una volta si vestirono allo stesso modo per festeggiare lo. Si svolse tutto in un ambiente familiare, con i loro amici, e li vidi entrambi raggianti.
Una volta uno dei miei figli mi disse che gli dava fastidio l’intolleranza degli omosessuali verso gli eterosessuali che non li capiscono, così come gli danno fastidio gli eterosessuali che discriminano. Queste parole mi sono rimaste scolpite nella mente.
Sebbene capisca che c’è gente a cui costa accettare la diversità, perché gli risulta difficile, io parlo di questa tematica perché voglio che le persone sappiano che avere figli omosessuali non è qualcosa di cui vergognarsi, anzi, al contrario. Ho due figli meravigliosi e una famiglia che ha deciso di creare una dinamica in cui tutti i temi si discutono ad alta voce. Questo è il mio maggior orgoglio.
* Ximena Moreno (70 anni) ha 4 figli ed è terapeuta familiare in Cile.
Testo originale: La homosexualidad de mis hijos